Nasce a Bologna la “zona grigia” tra crisi degli affitti e razzismo

RADIO CENTO MONDI INCHIESTA 

di Marco Marano


La crisi degli affitti sotto le due Torri sembra essere diventato un processo sistemico che rivela l’emergere di una nuova categoria sociale, ridefinendo le dinamiche urbane della città: dalla riduzione dell’offerta alle difficoltà per un cittadino straniero di trovare una casa.

Bologna, 6 novembre 2017 – Sono un paio d’anni ormai che un pezzo della dimensione urbana di Bologna sembra avere cambiato pelle: il mercato degli affitti. Già, un pezzo che però è una chiave di lettura ma anche un segnalatore dello scollamento tra corpo sociale e comparto pubblico. Da un lato vi è un corpo sociale spaccato in due: i proprietari edilizi, che hanno ritirato l’offerta dei propri immobili dal mercato, generando una aperta crisi, e i cittadini, i quali riempiono chilometriche liste e database delle agenzie immobiliari alla ricerca di un appartamento, trasformandolo in un lavoro a tempo pieno, gestendo anche le difficoltà che comporta non trovare una casa dove poter vivere. In realtà ci sono due tipi di cittadini, quelli italiani che subiscono la crisi degli affitti, e quelli stranieri che in quanto tali non gli è concessa la possibilità di una locazione: nasce la cosiddetta “zona grigia”. Dall’altra parte c’è il comparto pubblico il quale tradizionalmente non riesce a stare al passo con le trasformazioni sociali in atto, che sono sempre più veloci ed estemporanee. Così, anche in questo caso, il modello di gestione sul tema casa, ancora legato al concetto di edilizia popolare tipico degli anni ottanta e novanta, dell’altro secolo, non ha la capacità di rapportarsi a nessuna delle  fratture insite nel tessuto sociale. 


Una crisi di settore

“Non ci sono più case! Ormai sono un paio d’anni che l’offerta di affitti ha avuto un crollo. A fronte di una richiesta di appartamenti sempre più ampia…”  Sono le prime parole che sentiamo ripeterci da uno dei tanti agenti immobiliari che visitiamo. Essendoci presentati come potenziali clienti in cerca di una casa da affittare, il nostro non ha neanche ammiccato con il solito sorriso da venditore, ma ha subito rivelato una certa sofferenza nei riguardi del tema. “Se fino a due anni fa – continua l’agente –  chiudevamo 400 affitti all’anno, oggi non superiamo la quindicina… Abbiamo liste chilometriche di persone che cercano appartamenti. Sono così tanti che non siamo più in grado di inserire altri nominativi nei nostri database”. Un tempo non molto lontano, quando contattavi un'agenzia immobiliare ti veniva fissato un appuntamento immediatamente. Oggi si è passati ai tempi di attesa delle liste, che in generale si traduce in una bassissima possibilità d'essere richiamati per un appuntamento. A meno che non si cerchi casa in provincia, trovando maggiore disponibilità e prezzi più bassi.

Ma quali sono le cause che hanno determinato questo nuovo scenario sociale? Se un paio d’anni orsono finiva l’effetto deflagrante della crisi economica, c’è da dire che questa, nel mercato immobiliare, aveva determinato una situazione emergenziale. Ad una caduta verticale della domanda di acquisto di case, in modo direttamente proporzionale, corrispondeva un diffuso abbassamento del costo degli affitti. Se appena fuori le mura, quindi a ridosso del centro, in zone tipo Saffi o Murri si potevano trovare monolocali a 350 euro mensili, oggi non vanno al di sotto di 500. “Le cause – sottolinea il nostro agente immobiliare – possono essere individuate in due fattori… Da un lato c’è il pagamento dell’Iva  per i possidenti di case passato dall’1 all'1,9 per cento. Dall’altro i tempi troppo lunghi per sfrattare i morosi, due/tre anni, scoraggiano chi potrebbe mettere a mercato le proprie case”.

Ma se l’offerta di affitti si ritrae, chi possiede un bene immobiliare cerca nuove soluzioni per renderlo produttivo. In tal senso sembra esserci una implementazione dei prodotti immobiliari all inclusive, che, attraverso varie modalità, offrono la possibilità di una casa con annessi servizi per chi dovesse soggiornare per brevi/medi periodi, diciamo così a tempo determinato: “Residence Porta Saragozza offre bilocale a tariffe convenzionate per ricoveri ospedalieri. Nel prezzo sono comprese le utenze, la biancheria da camera e da bagno una pulizia settimanale e quella finale e il cambio della biancheria, tv con Mediaset Premium Gallery e calcio. Tariffa settimanale 450€, mensile da 1450”.

I target dei beni all inclusive sono variegati: professionisti, chi deve accudire un parente in ospedale, chi è solo di passaggio… In questo mercato sempre più emergente molti padroni di casa individuano una migliore soluzione di business poiché vi sono minori rischi e possono guadagnare, in proporzione, massimizzando i profitti.

“Non facciamo – conclude il nostro agente immobiliare – neanche più promozione online: praticamente quando escono gli annunci gli appartamenti sono già presi. E’ quindi consigliabile per chi cerca una casa andare direttamente, in modo sistematico, alle agenzie per parlare di persona con gli operatori del settore… Solo per spiegare l’entità del fenomeno: nell’ultimo affitto che abbiamo messo online in due giorni si sono presentate 120 persone…”

Non si affitta agli stranieri

E’ diventato il tormentone razzista per eccellenza. Una frase che ripercorre storie del ventesimo secolo che sembravano essere state seppellite dal tempo. Chi non ricorda, dalle pagine dei libri di storia, studiati nelle scuole dell’obbligo, il divieto agli ebrei, durante il nazismo, di accedere agli esercizi commerciali. Oppure, quando si pensa alla Milano o Torino degli anni sessanta e settanta, non possono che tornare alla mente gli stessi identici avvisi dedicati ai meridionali. E invece rieccola quella frase tornare in auge. E’ una storia tutta italiana questa che non fa differenza tra città e città. Proprio per questo anche la fu progressista Bologna è oggi al centro del fenomeno.

In questi mesi le cronache cittadine ci hanno raccontato di alcune discriminazioni fatte uscire fuori alla luce del sole. Seguendo un rapido sondaggio, anche solo tra conoscenti stranieri che cercano casa, è possibile dire con certezza che questo ormai è un fenomeno strutturato. E la risposta, che sia essa telefonica o vis a vis, è sempre la stessa: “Mi spiace non affittiamo a stranieri!”. Che siano essi africani, asiatici, mediorientali: se sei straniero a Bologna, cerchi un appartamento ma non hai una rete di sostegno a cui puoi aggrapparti,  c’è poco da fare, ti verrà chiusa la porta in faccia.

"Si ricorda che eventuali subentri, in caso di contratto, di nuove persone fisiche devono essere approvati dalla proprietà. Non si prendono in considerazione stranieri anche se in possesso di permesso di soggiorno". 

Queste parole, pesanti come macigni, hanno costituito un caso circa un paio di mesi fa. In un palazzo in via Borgo di San Pietro 99, al rientro dalle ferie, quindi fine agosto inizio settembre, è apparso questo cartello che ha destato così tanto sdegno da spingere i condomini a protestare fortemente con la proprietà, che lo ha lasciato appeso per due settimane.

Così, gli inquilini del palazzo hanno fatto circolare su Facebook una lettera aperta alla  proprietà: "Non possiamo accettare che l'ideologia competitiva, del tutti contro tutti, della guerra tra poveri che cerca di esserci inculcata in ogni contesto istituzionale, si rifletta anche così vicino da noi, o meglio in quella che riconosciamo come casa nostra. Vogliamo essere liberi di poter condividere i nostri appartamenti con chi vogliamo, a prescindere dal colore della sua pelle… La proprietà si impegni a confermare che in futuro non proveranno a far valere quel regolamento razzista".

Abbiamo voluto riportare questo caso proprio perché è sintomatico da un lato dell’aria che si respira nelle città, dall’altro perché la reazione dei condomini potrebbe essere considerata più unica che rara. Infatti per lo più l’indifferenza e la compiacenza a questo tipo di pratiche è diffusissima. Ma c’è anche da dire che i condomini di via Borgo San Pietro hanno centrato il bersaglio nella loro reprimenda: “Tutti contro tutti”, “guerra ai poveri più che tra poveri” sono diventate le dinamiche sociali più in voga. Non pagano, cucinano cose maleodoranti, sono queste le motivazioni alla base del quale un cittadino proveniente da un altro paese non riesce a firmare un contratto d’affitto, anche quando accanto a lui si presentano degli italiani che fanno da garanti.

Così intercettiamo la storia di Laura, una rifugiata camerunense che vive a Bologna da più di cinque anni. Abitava in via Roncaglio, nel ghetto edilizio di transizione del Comune di Bologna, da cui è stata sfrattata. Lavora a chiamata nelle mense cittadine, dopo aver preso un diploma dedicato di alimentarista. E riuscita ad ottenere il ricongiungimento familiare con una delle sue figlie, malgrado che la sua assistente sociale la tormentava dicendole che in Italia non aveva nessuna speranza e che doveva andare via, senza sapere che anche volendo il regolamento di Dublino lo impedisce. Quante angherie ha dovuto subire Laura da parte di operatori delle istituzioni o progetti finanziati dal pubblico che l’hanno osteggiata. Ma lei non ha mollato, ha cercato di andare avanti smarcandosi dalle cattiverie sociali. Ha cercato di guadagnarsi a tutti i costi quell’integrazione agognata. Con il suo compagno ha cercato di costruirsi un futuro che adesso è messo in discussione a causa di questo sfratto. “Il mio compagno ha un lavoro a tempo determinato – ci dice la donna – io lavoro a chiamata, in un modo o nell’altro riusciamo a garantirci una vita dignitosa. Ma adesso che siamo in mezzo ad una strada non ci vogliono dare un affitto perché siamo africani… Viviamo ospiti di altri africani che ci stanno aiutando, ma per quanto tempo ancora potranno farlo?”

Lo slittamento del comparto pubblico che non riesce a fare da “garante”


A Bologna esiste la Rete Antidiscriminazioni dell’Unar, a cui il Comune ha aderito, che si è interessata al fenomeno, ma più che un’azione di semplice denuncia la Rete non riesce ad andare oltre… Poi c’è l’idea partita dall’assessora alla Casa Virginia Gieri, all’inizio di quest’anno, che potrebbe rappresentare il punto di svolta: il Comune garante degli affitti agli stranieri. Purtroppo però, la dimensione burocratico-amministrativa, non è che consenta un’azione incisiva. Ad aprile, l’assessora così si esprimeva sul fenomeno in una intervista al quotidiano la Repubblica: "…Oltre a condannare una discriminazione che nel 2017 è inaccettabile, occorrono i fatti: individuare alloggi, tranquillizzare i proprietari facendo noi da garanti. Va costruito un sistema di regole chiare, con operazioni serie di intermediazioni. Certe diffidenze più che dal razzismo sono generate dalla mancanza di certezze. Si è indotti a credere, per esempio, che gli stranieri siano inquilini più rischiosi, cattivi pagatori, e non è necessariamente così".

L’idea dell’amministrazione comunale sarebbe quella di potenziare l’AMA, l’Agenzia Metropolitana per l’Affitto, che si occupa prioritariamente di indirizzare i propri sforzi a quella che definisce “zona grigia”. Si tratta di un’area sociale formata da persone che non rientrano nelle liste per accedere alle case popolari Erp, ma al tempo stesso hanno difficoltà ad affittare un appartamento sul mercato privato. L’obiettivo dell’AMA è quello di inserire in una sorta di lista speciale persone che hanno i requisiti per poter pagare una locazione però a prezzi calmierati. Un operatore dell’AMA al telefono sottolinea un elemento fondamentale: “L’Ama non esplica le funzioni di un’agenzia immobiliare, poiché individua le persone sulla base delle graduatorie del calmierato… Rispetto a questi soggetti da zona grigia fa da garante con il mercato privato”.

E' chiaro che i contorni della zona grigia sono più ampi di quelli definiti dall'AMA. E’ gioco forza, infatti, che interventi come questi non riescano a far fronte ad un fenomeno come quello delle discriminazioni sulle locazioni. L’azione dell’AMA, almeno per ciò che concerne questa fattispecie, dovrebbe invece essere proprio quella di costituire una agenzia pubblica, che, sulla base di criteri certo strutturati, possa fare da incrocio tra domanda e offerta, ponendosi come garante delle persone straniere dentro la zona grigia.

Ma poi c’è un altro tema che si va ad incrociare alle problematiche della zona grigia, cioè quello di garantire il diritto inalienabile di una casa a tutti, in quanto diritto di cittadinanza. Tutto questo non riguarda stranieri o italiani, ma entrambi. Gli sfratti di massa nei luoghi pubblici o privati occupati segnalano che gli strumenti più o meno legati alla logica dell’edilizia popolare di venti o trent’anni orsono non rappresentano più il modello sociale dell’oggi. 

Occorre riscoprire un nuovo modello di convivenza sociale solidale e sostenibile, dove genti di varie estrazioni e nazionalità possano assicurare ai propri cari una vita dignitosa. In tal senso le esperienze dei quartieri e villaggi solidali o dei villaggi verticali, nati dagli anni ottanta in poi nel nord Europa, sono la risposta più appropriata. Ma questo obbligherebbe l’amministrazione pubblica ad un cambio di paradigma assoluto, laddove sui paradigmi di gestione della città si sono costruite negli anni rendite di posizione e centri di potere, come ad esempio l’Acer, l’agenzia cittadina che gestisce l’edilizia pubblica. Ecco perché ridisegnare un nuovo modello significherebbe partire proprio da una ridefinizione dell’Acer. Ma prima ancora, sia la zona grigia che la dimensione proprietaria dovrebbero essere ricondotte, dal comparto pubblico, all'interno di un nuovo patto sociale...



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