Viaggio a ritroso tra i fatti intercorsi dalla fine del 2015 all’estate del 2016, sulla tragica involuzione nei rapporti tra Europa e Medio Oriente.
di Marco Marano
Piano di lavoro
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Introduzione
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La
sindrome dell’invasione che preannuncia il nuovo fascismo europeo
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Un
nuovo Presidente austriaco dall’Europa dei cittadini
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Nessuna
pietà nemmeno per i bambini, dall’Europa dei muri
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La
fine dell’Unione Europea e gli egoismi nazionali in odore di nuovo fascismo
·
Il
crollo dell’Europa e la nuova cortina di ferro d’ispirazione fascista
·
Uomini,
donne e bambini trattati come bestie ai confini
· Avviato il countdown del
collasso europeo, mentre nasce il nuovo nazionalismo dell’est
·
Le
donne rifugiate molestate che non fanno notizia
·
La cultura dell’emergenza
rifugiati e i terreni di caccia delle terre di mezzo
·
L’Europa
a pezzi e il gioco delle tre carte
·
Dalla
rotta balcanica è partita la dissoluzione dell’Europa
·
Il
senso del confine
·
Fortezza
Europa
·
I
cacciatori di confini
Introduzione
Gli eventi che
hanno caratterizzato i mesi a cavallo tra la seconda metà del 2015 e l’estate
del 2016, rappresentano un punto di non ritorno della nostra storia
contemporanea. Da un lato c’è l’inettitudine della classe politica europea
incapace o disinteressata a salvaguardare i basilari principi su cui la stessa
Europa è nata: democrazia, stato di diritto, coesione sociale, salvaguardia dei
diritti umani e civili. Come controcanto vi sono le contraddizioni dell’area
mediorientale, governata da guerre sempre più cruente, dittatori e autocrati
corrotti. Sono proprio questi i migliori partners dei governi europei, i quali
vendono armi ai paesi in guerra, fomentano le distruzioni sociali e ambientali
e poi quando la gente perseguitata fugge, essi ergono muri e si chiudono in
quella fortezza di avorio che si sono costruiti. Una fortezza che fa il verso a
quella parte di opinione pubblica che trafitta dalla crisi economica e
finanziaria, anziché vedere la causa del proprio disagio nell’incapacità delle
classi politiche, funzionali ai grandi gruppi finanziari, individua nei
migranti che fuggono il motivo della propria precarietà percepita prima che
reale.
In questo
contesto si erge il terrorismo del sedicente Stato islamico: Isis, Is, Daesh o
come lo si voglia chiamare, che ha distrutto migliaia di vite innocenti in
Europa come in Medio Oriente, in Africa come in Asia centrale. Le sue stragi vengono
narrate come una guerra ai valori del sistema occidentale, mentre se di guerra
si deve parlare questa è prima di tutto contro gli stessi musulmani, proprio
nelle terre mediorientali. E’ una guerra di potere, invece, prioritariamente
condotta contro i potentati arabi partners dell’occidente, che in Europa ha uno
scopo promozionale, cioè quello di rinsaldare le fila e fare proseliti…
Poi ci sono i
media mainstream occidentali che giocano un ruolo fondamentale nel “promuovere
la guerra di civiltà” e nel raccontare i fenomeni migratori attraverso un
processo di manipolazione semantica che ha ribaltato i piani di significazione:
la sindrome dell’invasione, fenomeno quanto mai fuori dalla realtà. Il
referendum sulla Brexit in Gran Bretagna è uno degli esempi tra i più
inquietanti, dato che pezzi di popolazioni meno urbanizzate, meno scolarizzate
e affette da analfabetismo funzionale, hanno votato per l’uscita del paese
dall’Europa convinti che il loro problema fosse l’invasione dei migranti… E
così anche in altre parti d’Europa vi è stata l’emersione di nazionalismi,
nuovi fascismi ed un sentimento xenofobo e razzista che fa leva sugli istinti
più primordiali e non sulla ragione, in una epoca iper-tecnologizzata e
scientista.
La Turchia,
paese membro della Nato, in qualche modo è diventato il polo d’attrazione e
forse anche il luogo di sintesi di tutte queste contraddizioni, anche
simbolicamente, dato che è quello che segna il confine geografico tra Europa e
Medio Oriente. In pochi mesi in questo paese vi è stata un’accelerazione della
trasformazione antropologica, in atto ormai da qualche anno, che segnerà una
linea divisoria tra i processi storici. Un paese dove per un secolo laicismo e
islamismo hanno convissuto nel segno del rispetto reciproco, ma dopo un
ventennio di interposizioni, il suo leader islamico, eletto dalla metà del
popolo musulmano, è riuscito ad affermare sulle istituzioni una cruenta
dittatura, annientando la componente laica della società… Questo dittatore è stato
pagato dall’Unione Europea per impedire ai rifugiati di “invadere” l’Europa.
Questo dittatore si è reso responsabile di atroci crimini contro l’umanità.
Questo dittatore è considerato un partner affidabile dall’Unione Europea e
degli Stati Uniti. Questo dittatore, attraverso la sua intelligence, è stato
per anni partner di quel sedicente Stato islamico che secondo i media
occidentali ha dichiarato guerra all’Europa. La crisi o la morte del modello europeo, insomma, non sono
rappresentate dalle stragi jihadiste ma dal potere e dalla potenza acquisiti da
questo dittatore…
L’omicidio di
Emmanuel è uno dei frammenti di una rappresentazione sociale dove la violenza è
istigata dai professionisti politici dell’odio, che parlano di invasione nei
loro servizi televisivi facendo vedere immagini di immigrati che dormono per
terra…
Bologna, 7 luglio
2016 - Emmanuel Chidi Namdi era un
richiedente asilo nigeriano di 36 anni, fuggito dal suo paese insieme alla
compagna Chimiary,
di 24 anni, poiché il suo villaggio cristiano era stato distrutto e la
figlioletta di due anni uccisa dal feroce gruppo jiadista Boko Haram.
Viaggiarono a lungo. Attraversarono il deserto del Niger, dove la ragazza perse
il bambino che aveva in grembo, poi la Libia e infine il Mediterraneo…
I due vennero accolti un
anno fa da don
Vinicio Albanesi, presso il seminario vescovile di Fermo, un comune marchigiano
di 37 mila abitanti. In effetti lì il tema dell’accoglienza ai rifugiati come
quello dell’assistenza ai disagiati, vede le chiese della diocesi in prima fila
a fare un lavoro sul territorio davvero importante, secondo le direttive di
Papa Francesco, per emarginati, tossicodipendenti, migranti… Proprio per
questo, tra febbraio e maggio quattro di queste chiese sono state prese di mira
da ordigni esplosivi.
Don Vinicio, con la sua
comunità di Capodarco, presidente della Fondazione Caritas in veritate, è
un vero e proprio parroco di confine, in una provincia, quella marchigiana, che
dovrebbe essere socialmente sviluppata. I nuovi fascisti italiani lo
definirebbero “buonista”… Emmanuel e Chimiary gli espressero il desiderio di
sposarsi in chiesa, ma non avendo ancora i documenti, poiché la pratica di
protezione internazionale non era stata ancora evasa, il sacerdote decideva di
utilizzare un rito medievale costruito sulla promessa di matrimonio, così, da
buoni cristiani, poterono dirsi marito e moglie. Festeggiarono il loro
matrimonio insieme ai 124 profughi, di cui 19 nigeriani, ospitati dalla
fondazione.
Passeggiavano per le strade di
Fermo, in quel assolato e maledetto martedì 5 luglio, Emmanuel
e Chimiary.
Poi, una volta in via Veneto, si sentirono chiamare da un gruppetto di
fascisti, ultrà della locale squadra di calcio. Erano annoiati, seduti in una
panchina, così apostrofavano Chimiary come “scimmia africana”. Emmanuel andò a
chiedere spiegazioni. Ci fu una colluttazione. Lo squadrista colpì
ripetutamente l’uomo anche quando questo restò per terra inerme, forse già in
coma…
Emmanuel non ce l’ha fatta, è
morto in ospedale tra le lacrime di Chimiary. Così, mentre il sindaco di Fermo, Paolo Calcinaro, aspetta l’esito dell’inchiesta,
invitando le parti ad abbassare i toni per difendere il buon nome della
cittadina, don Vinicio annuncia che si costituirà parte civile, anche perché
tra l’omicidio di Emmanuel e gli attentati dinamitardi alle chiese potrebbe
esserci un filo conduttore… Prima però l’assassino dovrà essere preso, visto
che allo stato attuale è latitante.
Poi c’è l’altra storia invereconda, denunciata
dall’Associazione Carta di Roma, che riguarda le solite porcherie di
istigazione all’odio razziale propinate dal quotidiano il Giornale, dove il
direttore, che tutto può essere considerato tranne che un giornalista, titolava
il giorno dopo la strage degli italiani a Dacca in Bangladesh, “Bestie
islamiche”. Per questo Carta di Roma e l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione hanno
presentato all’Ordine dei giornalisti della Lombardia un esposto in merito
all’articolo che portava quel titolo, in quanto “sono state rilevate in
particolar modo le violazioni dei principi di tutela della
personalità altrui, di lealtà e di buone fede (art. 1 “Testo Unico dei
doveri del giornalista”); del principio di rispetto dei diritti fondamentali
delle persone (art. 2 lett. b “Testo Unico”); del principio di non
discriminazione per motivi religiosi.”
Appena poche ore dopo la
strage, sempre in una cittadina delle Marche, questa volta a San Benedetto del
Tronto, due venditori di rose bangladeshi, venivano fermati da una squadra di
improvvisati picchiatori. Ai due veniva chiesto di recitare dei versi del
Vangelo, per poi essere pestati per bene. Mentre sui social qualcuno si
premurava a dichiarare: “ma mica gli hanno tagliato la testa…” alcune
organizzazioni non profit hanno organizzato una manifestazione esponendo
cartelli con su scritto: “Anche noi non sappiamo il Vangelo”…
Fonti: ANSA, il Manifesto, il Fatto Quotidiano,
Gr2, Associazione Carta di Roma
La sindrome dell’invasione che preannuncia il nuovo fascismo
europeo
Mentre l’esercito turco ammazza 8 profughi, tra
cui 4 bambini, al confine con la Siria, il mondo festeggia la giornata del
rifugiato. Tutto a pochi giorni dall’assassinio di Jo Cox, la parlamentare
inglese impegnata contro la Brexit e per i diritti dei migranti, facendo
emergere il reale significato del referendum sull’Unione Europea: accoglienza o
rifiuto degli esodi dal sud del mondo.
Bologna, 20
giugno 2016 – La giornata mondiale del
rifugiato sembra un momento di sintesi degli eventi controversi accaduti negli
ultimi giorni in Europa. Perché i bilanci numerici che sottolineano i caratteri
epocali legati all’assenza dei diritti umani, a livello planetario,
s’incrociano alle contraddizioni di una Unione Europea ormai fallita. Allora
vediamoli questi numeri, presenti nell’ultimo rapporto dell’Unhcr, cioè l’Alto
commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, che riguarda la situazione
al 2015.
Sono 65,3 milioni le
persone fuggite da guerre, persecuzioni e violenze nel mondo, di cui 21,3
di rifugiati, 3,2 di richiedenti asilo e 40,8 milioni di sfollati
all'interno del proprio paese. Oltre un milione di rifugiati e migranti
arrivati in Europa, di cui 3771 cadaveri. Di questi 7224 ricollocati nei paesi
europei a fronte dei 22,504 previsti dallo schema comunitario, quasi tutti
provenienti da Turchia, che ne ha 2,7 milioni dentro i suoi confini, la
Giordania, intorno ai 700.000 mila, il Libano, più di un milione e mezzo, poco
meno della metà dell’intera popolazione.
Questi numeri che riguardano i
tre paesi mediorientali suddetti sono stati prodotti dalla guerra in Siria, che
in tutto ha generato 8 milioni di rifugiati. Ora, dal 2011 al 2015,
348,540 sono stati i richiedenti asilo che si sono affacciati in Europa, meno
del 3 per cento della somma complessiva. Stiamo parlando dell’Europa, un
continente di 500 milioni di abitanti, il più ricco del mondo, che se solo
volesse accoglierne un milione rappresenterebbero lo 0,2 per cento…
La cosa più sconcertante è che
negli ultimi due anni, a causa soprattutto del perverso effetto mediatico, si è
creata “la paura dello straniero”. La frase più ricorrente che esprime
meglio la sindrome dell’invasione è: “non possiamo ospitarli tutti!” Ma
tutti chi? Poi, la girandola delle cifre: “stanno arrivando un milione,
due, tre. quattro…” In funzione di cosa vengono urlate queste cifre non si
comprende…
Ma la storia non finisce qui,
poiché questa folle sindrome contemporanea ha inaugurato la riemersione di una
cultura fascista, anzi potremmo dire un vero e proprio nuovo fascismo,
soprattutto proveniente dai paesi dell’est Europa di nuova entrata nell’UE, che
con diverse modalità, dai livelli istituzionali dentro le aule parlamentari, ai
picchiatori e agli assassini nelle strade e nelle piazze, stanno ricattando la
farsesca classe politica europea.
L’idea che l’opinione pubblica
europea sia complessivamente diventata fascista, dopo le tragedie del ventesimo
secolo, poiché pezzi delle società riscoprono razzismo e xenofobia e che questo
possa costare in termini elettorali, è un’idea folle, che sta mostrando la
debolezza dell’establishment del vecchio continente. Un’idea folle poiché
l’Europa dei popoli, anche elettoralmente, come in Austria, esiste e
costituisce un argine. Ed è significativa l’inversione di tendenza emersa dai
sondaggi in Inghilterra, all’indomani dell’omicidio di Jo Cox, combattente per
i diritti dei migranti e avversaria del Brexit, Dalla sicura fuoriuscita
inglese dall’Europa, adesso sembra che il popolo si sia stretto attorno a
quest’assassinio fascista con dolore. A dimostrazione che anche questo
referendum si sta sviluppando sull’equivoco dell’invasione che non c’è…
Come spesso accade l’equivoco
si traduce in tragedia… Ed è così che può essere tradotto l’accordo tra UE e la
Turchia, uno di quei paesi a regime fascista in salsa islamica, per trattenere
l’esodo dei rifugiati nei propri confini in cambio di sei miliardi di euro e di
visti liberi per i propri cittadini. Tragedia certo, perché in Turchia ormai è
dittatura a tutti gli effetti: stampa libera vietata, manifestazioni libere
vietate, massacri indiscriminati di donne e bambini kurdi, affari sommersi con
l’Isis, schiavismo nei confronti dei rifugiati siriani…
Adesso si aggiunge, mentre il
regime di Erdogan intasca la prima tranche dei soldi europei, gli assassini
indiscriminati dei cittadini siriani che cercano di fuggire dai territori
ancora occupati dall’Isis. Quattro adulti e quattro bambini stavano cercando di
attraversare il confine tra Kherbet al-Jouz , nel nordest della Siria, e la
provincia turca di Hatay. Mentre si trovavano nei pressi della città siriana di
Jisr al-Shugour, l’esercito turco ha aperto il fuoco e li ha trucidati. Secondo
l'Osservatorio per i diritti umani siriano, la stessa sorte fino ad adesso è
toccata ad una sessantina di persone…
Un nuovo Presidente austriaco dall’Europa dei cittadini
L'elezione
di un ecologista, grazie ai voti della capitale, città multietnica per
definizione, dimostra che in Europa non necessariamente devono prevalere nuovo
fascismo e xenofobia
Bologna, 23 maggio 2016 - L'ecologista Alexander
Van der Bellen è il nuovo presidente dell'Austria, eletto con appena il 50,3
per cento. Il verdetto arrivato nel primo pomeriggio, per il conteggio dei voti
per posta, stoppa l'avanzata dell'ultra destra populista, data da tutti i
commentatori per vincitrice sicura, con il suo leader Norbert Hofer, visti
anche i venti xenofobi, legati alla tendenza del momento di issare i muri
contro i rifugiati, persino al Brennero dove non c'è ombra di migranti...
Si è detto che per la prima
volta in Austria a contendersi la presidenza sono stati due leader di
schieramenti nuovi e non quelli tradizionali, nati all'indomani della seconda
guerra mondiale. E questo elemento estremamente connotativo rispetto a quello
che sta avvenendo in Europa è significativo del modo in cui la classe dirigente
del vecchio continente non rappresenta più le tensioni di questo tempo storico.
Una classe dirigente che cerca
di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, come si suole dire, e che non sa
dare risposte di progresso civile, poiché impegnata a fare i calcoli elettorali
sulle fobie artificiali generate dagli esodi del Medio Oriente. Perché è chiaro
che molti pezzi di popolazioni europee stanno riscoprendo egoismi e nuovi
fascismi, ma non è detto che essi debbano necessariamente prevalere, sia dal
punto di vista sociale che elettorale.
Anche perché l'Austria, da
questo punto di vista, è davvero un laboratorio. Un paese che ruota attorno
alla sua capitale, Vienna, città cosmopolita, multietnica, progressista, che ha
sperimentato prassi legate all'accoglienza ai migranti tra le più efficaci
d'Europa. Il leader ecologista è proprio lì che ha vinto: i cittadini viennesi
hanno trainato questa tornata elettorale attraverso la loro storia recente...
Il 34 per cento della
popolazione viennese ha background migratorio e nella capitale sono concentrati
più della metà dei cittadini immigrati rispetto all'intero paese. Turchia, ex
Jugoslavia, Romania, sud est asiatico, e anche Africa e Americhe, costituiscono
la dimensione multietnica, anzi dovremmo dire multi-nazionale, del tessuto
metropolitano. Negli ultimi due decenni sono stati incorporati caratteri
culturali differenti. I processi migratori, soprattutto legati al mondo
asiatico, spiegano come le tradizioni europee, in cui a Vienna risiedono per
vocazione storica, sono andate a fondersi con quelle asiatiche, attraverso un
processo abbastanza armonico.
C’è un luogo che,
attraversandolo, ci racconta in qualche modo le storie di migrazioni che si
sono avvicendate negli anni, dove le grammatiche e le semantiche si sono fuse
alla lingua tedesca e all’inglese: Naschmarkt, il mercato all’aperto di Vienna,
situato tra Karlsplatz e Kettenbrückengass. In effetti, come molti mercati
europei, è un microcosmo che sintetizza la dimensione mondialista della città,
perché oltre alle centinaia di bancarelle di frutta, verdura, alimentari,
spezie, provenienti da tutto il mondo, ci sono una miriade di ristorantini e
bistrò legati alle varie nazionalità che si sono insediate in città. E’ un vero
e proprio luogo d’incontro universale, dove giovani e anziani si ritrovano. E
che c'entra tutto questo con i muri?
Questa elezione austriaca è il
chiaro segnale che esistono due volti dell'Europa, esistono due popoli europei:
uno fascista e razzista e l'altro accogliente ed inclusivo. Infatti le prime
parole di Van der Bellen, da nuovo presidente austriaco sono state: “Io voglio
lavorare per tutti i cittadini...”
Il problema vero allora è la
classe politica europea, caduta nel baratro, dato che l'unico statista vero che
risiede nel vecchio continente si chiama Francesco e fa il Papa...
L'inchiesta televisiva di Report sui
rifugiati ha dimostrato che è possibile risolvere in modo efficace la gestione
dei flussi migratori, spendendo anche meno dal punto di vista della
sostenibilità. Ma ad impedire che il problema si trasformi in risorsa è il
sistema del privato sociale che gestisce l'accoglienza facendo cassa, per poi
restituire il favore ai decisori mediante le campagne elettorali...
Bologna, 10 maggio 2016 – La puntata di Report andata
in onda domenica 8 maggio ha rappresentato probabilmente uno dei momenti più
significativi del giornalismo televisivo degli ultimi tempi. Questo perché è
riuscita in un'oretta ad andare a fondo ad una "questione misteriosa"
con cui si scontra chi osserva da anni questi temi...
L'integrazione organizzata
Innanzitutto la puntata ha confrontato il sistema di accoglienza dei paesi
avanzati, Germania, Svezia, Danimarca con quello italiano. Nazioni queste che,
negli ultimissimi anni, da socialdemocratiche si sono trasformate in xenofobe.
Per farla breve, nei centri di accoglienza, dei suddetti paesi vengono
utilizzate, per il soggiorno, strutture pubbliche super attrezzate, con aree di
formazione, di socializzazione, stanze singole e appartamenti per famiglie
accessoriate. Tutto questo nel contesto di un programma intensivo di formazione
legato all'apprendimento linguistico, con un monte ore giornaliero; poi la
formazione civica sulle leggi ed il rispetto delle norme sociali: "le donne e gli uomini sono eguali, è vietato picchiare i
bambini..." Poi
ancora un programma d'inserimento professionale, nel quadro di un sistema di
incontro tra domande e offerta. Chi vuole restare in quel paese è assolutamente
obbligato a conformarsi a questo tipo di attività, anche perché dopo massimo
sei mesi si è pronti ad essere un cittadino in grado di
camminare con le proprie gambe.
La malaccoglienza
Poi, si arriva in Italia e qui,
solo a sentire certe cose, le lacrime sono amare... Si analizza la gestione
delle strutture in mano alle cooperative, i cui amministratori di alcune
organizzazioni siciliane sono inquisiti per corruzioni varie. Gli ospiti vivono
in ambienti spesso fatiscenti, stanno ammassati come animali in un recinto.
Alla domanda ad alcuni di essi: "ma tu cosa fai tutto il
giorno?" La
risposta è: "Niente, mangio e dormo". Sei ore di apprendimento
linguistico la settimana è tendenzialmente quello che concede l'accoglienza. E
se queste sono le situazioni peggiori, non è che in altre città italiane, come
Bologna o Milano, le cose sono poi tanto diverse, rispetto ai risultati
ottenuti... L'inchiesta del
Centro per richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tortura del Naga a
Milano, pubblicata la settimana scorsa, è qualcosa di sconvolgente...
Ovviamente non parliamo di Roma visto che lo scandalo Mafia capitale
è diventato la chiave di lettura dell'accoglienza rifugiati in Italia...
Lo Sprar è tutto quello che ci possiamo permettere
"Il Sistema di protezione per
richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) è costituito dalla rete degli enti locali
che per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata accedono, nei
limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i
servizi dell'asilo. A livello territoriale gli enti locali, con il prezioso
supporto delle realtà del terzo settore, garantiscono interventi di
"accoglienza integrata" che superano la sola distribuzione di vitto e
alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione,
accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di
percorsi individuali di inserimento socio-economico."
Questa è la presentazione,
tratta dal sito del Servizio Centrale, del sistema di accoglienza dei rifugiati
in Italia, promosso dall'Anci e dal Ministero dell'Interno, da cui si evince
come il connubio tra sistema pubblico e terzo settore determini le dinamiche
gestionali dell'accoglienza rifugiati. Per ogni rifugiato, giornalmente, lo
Sprar assegna alle cooperative 35 euro, mentre all'ospite ne spettano 2,5. Se
consideriamo che la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo a suo tempo aveva
indicato il sistema italiano assente delle garanzie di rispetto dei diritti
umani, possiamo ben comprendere cosa c'è in mezzo a quelle due cifre...
Fece parlare una sentenza della magistratura tedesca, prima che scoppiasse la
sindrome dei muri, in cui si sconsigliava il respingimento dei richiedenti
verso l'Italia poiché, appunto, non venivano garantiti i diritti umani...
Un piano di accoglienza nazionale è possibile
Allora, la redazione di Report
è andata a parlare con esperti urbanisti, ingegneri, tecnici in alcune città
italiane, individuando caserme dismesse e luoghi pubblici in disuso, di cui
l'Italia è piena, come esempi tipo. Gli esperti hanno dimostrato che in sei
mesi questi edifici, che non hanno bisogno di interventi strutturali,
potrebbero essere funzionanti, come appunto quelle dei paesi civilizzati di cui
sopra. Sergio Rizzo, sul Corriere della Sera ha riportato questi dati... "Per accogliere 200 mila persone l'anno servirebbero 400
immobili. Il costo per rendere idoneo a tale funzione questo patrimonio
pubblico si potrebbe aggirare, secondo le stime degli esperti consultati da
Report (fra cui l'urbanista Paolo Berdini), intorno ai 2 miliardi. Altri 2
miliardi e 165 milioni l'anno sarebbero necessari per il mantenimento delle
strutture, compreso lo stipendio per 25 mila addetti e 400 medici."
Cioè in un sol colpo si
rimetterebbe in sesto un patrimonio pubblico, si darebbe lavoro a migliaia di
persone, si trasformerebbe un problema in una risorsa sociale, si colpirebbe
alla radice razzismo e xenofobia diventati i mali di un paese di emigranti come
l'Italia. Ma chi pagherebbe? Considerato che sono stati stanziati sei miliardi
nelle mani di un dittatore che ha il potere in Turchia, se si presentasse un
piano organico nazionale, questo potrebbe essere finanziato dall'Unione
Europea, che vedrebbe togliersi le famose castagne dal fuoco... "Se l'Italia mettesse in piedi un piano nazionale
complessivo e il governo lo facesse suo presentandolo ufficialmente agli organi
europei competenti, sarebbe senz'altro recepito positivamente. Se sono
necessari più soldi ne discutiamo nel dettaglio, i soldi ci sono". Queste sono le parole
del commissario europeo all'immigrazione Dimitris Avramopoulos ai microfoni di
Report...
Ma non è possibile farlo poiché l'Italia è un paese corrotto...
La domanda è scontata, quindi: perché non farlo? Purtroppo anche la risposta,
che ovviamente la redazione di Report non ha dato, è scontata, ma il retro-testo
era chiaro: perché da un piano nazionale come questo verrebbe estromesso non il
privato sociale in quanto tale, ma il suo protagonismo economico. Cioè le
funzioni delle cooperative e delle associazioni dovrebbero essere
ridimensionate rispetto al percorso gestionale, concentrandosi sull'utilizzo
degli operatori in relazione ad alcuni pezzi dell'assistenza. Oggi,
invece queste organizzazioni sono i gestori diretti dell'accoglienza, i cui
disastri sociali sono sotto gli occhi di tutti. Essi, insieme al sistema
politico comunale, attraverso i funzionari, cioè gli amministratori pubblici
che fanno da ponte, formano quella che viene denominata "terra di
mezzo", la quale a seconda delle specifiche dinamiche
territoriali, in ogni ambito municipale, assume diverse conformazioni.
Mediante i soldi che provengono
da un permanente stato di emergenza il privato sociale italiano fa cassa e restituisce
il favore diventando zoccolo duro del sistema di consenso, riscattato durante
le elezioni a qualsiasi livello esse siano...
Nessuna pietà nemmeno per i bambini, dall’Europa dei muri
La
Camera dei Comuni inglese ha votato contro un emendamento bipartisan
all'Immigration bill, già approvato alla Camenra Alta, per dare rifugio a 3000
minori siriani non accompagnati, preda delle reti criminali, come denunciato da
Europol.
Bologna, 27 aprile 2016
- Il tentativi di Save the Children di fare pressione sui parlamentari
britannici di tutti gli schieramenti è fallito. La Camera dei Comuni ha
respinto l'emendamento alla nuova legge sull'immigrazione, che praticamente
chiedeva di salvare la vita a 3000 bambini siriani, cosiddetti non
accompagnati. Bambini provenienti da Calais come da altre parti dell'Europa, a
cui dare rifugio, sottraendoli alle reti criminali che dai Balcani, alla
Germania, fino all'Europa nord occidentale, ormai hanno costituito quella che
Europol ha definito "infrastruttura criminale".
294 contro 276 è finita la
votazione parlamentare, e la motivazione addotta dal Ministro dell'Immigrazione
Brokenshire riguarda la necessità di scoraggiare i genitori che abitano in zone
di guerra a mandare da soli i loro figli in Europa... Mentre il ministero
dell'Interno si affrettava a sottolineare che l'idea del governo inglese è
sempre quella di accogliere 3000 minori direttamente dai campi profughi in
Medio Oriente, Save the Children la definiva un "riannuncio" di aiuto
già promesso mesi or sono e mai attuato... Alla fine del voto si sono sentite
dentro l'aula parlamentare molte grida: "Vergogna!"
E non può esserci parola più
indicata di quella, poiché ormai la barbarie in termini umanitari l'Europa l'ha
superata di parecchio, considerato soprattutto la denuncia di Europol fatta a
fine gennaio su un conteggio approssimativo di 10000 bambini scomparsi
provenienti da zone di guerra. Si perché questa "infrastruttura
criminale", che ha fino ad adesso agito prevalentemente tra l'Ungheria, la
Germania, l'Italia, fino alla Svezia meridionale, ha costruito un bussines
soprattutto legato al mercato della prostituzione, oltre che a quello del
lavoro nero. Il fatto ancora più sconcertante, a quanto dicono i funzionari di
Europol, è che questi ragazzini spariscono alla gestione delle autorità, ma il
più delle volte sono ben visibili nelle città, dove vengono portati dai
trafficanti di esseri umani. Tutto questo naturalmente nell'indifferenza del
mondo sociale europeo...
Fonti
The Guardian, Indipendent
La fine dell’Unione Europea e gli egoismi nazionali in odore di
nuovo fascismo
Da ieri è entrato
in vigore il disgustoso accordo tra l'Unione Europea e la dittatura del
presidente Turco Erdogan. L'Unione Europa non esiste più, almeno dal punto di
vista delle idealità che sono state messe alla base della sua nascita, ma anche
rispetto ai trattati e alle leggi che essa stessa si è data, a cominciare dal
trattato di Ginevra sul diritto d'asilo a chi fugge da guerre e persecuzioni,
stella polare di una comunità continentale voluta dai padri fondatori
all'indomani della seconda guerra mondiale: Jean Monnet, Altiero Spinelli,
Konrad Adenauer...
Bologna, 21 marzo 2016 - L'aspetto più terribile di
questo accordo è che si fonda su due grandi menzogne o potremmo dire manipolazioni,
pianificate dalla Commissione Europea, dietro sollecitazione dei paesi membri.
La prima riguarda il concetto di "migrante irregolare", mentre la
seconda considera la Turchia un "paese terzo sicuro" e quindi
"paese di primo asilo".
L'aberrante
programma di accordo prevede quindi che tutti i "migranti irregolari"
che arrivano in Grecia dovranno essere rispediti in Turchia, poiché paese terzo
sicuro e quindi paese di primo asilo. Ma all'aberrazione si aggiunge lo
sconcerto, poiché, viene sancito un altro concetto, quello delle "porte
girevoli": un siriano in Turchia ed un siriano in Europa, come se le
persone fossero bestie o numeri. Una ripartizione che viene attuata senza una
logica legata all'idea di diritto. E per attuare questo programma l'Unione
Europea darà ben sei miliardi di euro al sultano Erdogan...
Manipolazioni disgustose
dicevamo, contro la realtà e contro la legalità internazionale, partendo
proprio dal concetto di "migrante irregolare" che diventa centrale in
questo scambio di favori dal sapore delinquenziale...
Il fenomeno epocale delle
migrazioni, che sta investendo l'Europa, riguarda siriani, iracheni e afgani,
cioè persone che scappano da guerre e persecuzioni, e che quindi hanno il
diritto di chiedere la protezione internazionale. Come sottoscrivono le leggi
europee, questi sono regolarissimi... Perché quindi costruire un sistema di
accoglienza su un concetto che non c'entra nulla con quello che realmente
succede?
E ancora: la Turchia un paese
terzo sicuro? In primo luogo non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra del
'51 sull'asilo politico, quindi in funzione di questo, come farebbe a
rispondere agli obblighi che il trattato impone? Infatti, la Turchia, che ha un
paio di milioni di rifugiati, allo stato attuale, non vi risponde per nulla,
poiché i profughi in questo paese sono considerati qualcosina in più che
animali. Basta andare a vedere la loro mortificante vita nella città di
Istanbul...
E che dire del fatto che in
questo momento in Turchia vi è una guerra civile, non riconosciuta a livello
internazionale, con il popolo kurdo, nel sud del paese, il quale combatte con
armi alla mano rivendicando i propri diritti di autonomia culturale. Però, per
il governo turco, essi sono terroristi e quindi i militari di Ankara possono
massacrare anche donne e bambini in modo legittimo.
Così, ogni qualvolta che
esplode un'autobomba o un kamikaze si fa saltare in aria le responsabilità
vengono ufficialmente fatte ricadere sui kurdi. In realtà, soprattutto a
Istanbul, esiste un letamaio di violenza fatto da gruppi e gruppuscoli
jihadisti che proprio il governo turco ha mantenuto e garantito, nel momento in
cui ha iniziato a fare affari con l'Isis, riguardanti i traffici di petrolio,
armi e foreign fighters. Così, se un organo di stampa si mette a denunciare
queste cose viene chiuso e i giornalisti arrestati, rischiando fino
all'ergastolo. Questo, secondo l'Unione Europea, sarebbe un paese sicuro...
Da ieri, dunque l'Europa, così
come l'avevano pensata i padri fondatori non esiste più...
Questo
perché un continente che conta, nei suoi 28 stati aderenti, 508 milioni di
abitanti, che si erge a potenza economica nel mondo, non può accogliere un
milione di rifugiati che scappano dalle guerre, rispetto alle quali vi sono
anche responsabilità della stessa Europa, a partire dalla vendita di armi ai
paesi belligeranti per finire agli interessi energetici ed economici.
E
non può neanche spendere quei sei miliardi regalati ad un governo dittatoriale,
per includere i rifugiati nei suoi paesi, secondo programmi civili e avanzati e
soprattutto secondo le leggi in vigore...
Il crollo dell’Europa e la nuova cortina di ferro d’ispirazione
fascista
Si è svolto a
Praga il vertice dei paesi del patto di Visegrad, quelli affernti all'area
dell'Europa centro-orientale: Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria, a
cui si sono aggiunti Macedonia e Bulgaria. Una nuova cortina di ferro
d'ispirazione fascista e islamofobica si erige sulle ceneri dell'Unione
Europea.
Bologna, 16 febbraio 2016 - Il tema del consesso, guidato
dal dittatore bianco Victor Orban, presidente ungherese, era chiaro e forte:
escludere dall'area Schengen la Grecia, in modo unilaterale, nel momento in cui
non riuscisse a bloccare l'arrivo dei rifugiati che percorrono la rotta
balcanica. La proposta, partita proprio da Orban, si configura in un nuovo muro
di filo spinato al confine tra la Bulgaria e la Macedonia e appunto la Grecia.
Ma questo nuovo muro diventa, a
tal punto, il vero inizio della frantumazione dell'Unione Europea, che ritorna
a costruire una sorta di cortina di ferro rimodulata tra l'Europa dell'est e la
sua parte occidentale. Nel memorandum sottoscritto dai paesi del patto di
Visegrad si sottolinea che questo piano è compatibile con i tre miliardi di
euro concessi alla Turchia per impedire ai rifugiati provenienti dalla Siria
l'accesso ai paesi europei. E' compatibile poiché se la Turchia non riuscisse a
fare ciò per cui è stata pagata, allora ci penserebbero loro a fermare i flussi
dal Medio Oriente.
Tra le timide proteste del
governo tedesco ed il silenzio delle istituzioni europee si consuma il nuovo
atto della disintegrazione europea che però ha un sapore antico...
La sintesi di quanto sta
avvenendo nei paesi dell'est è rappresentata dalla situazione politica interna
alla Repubblica ceca. Dal punto di vista istituzionale si sta consumando un
conflitto ai vertici dello Stato tra le posizioni del presidente Milos Zeman e
quelle del premier socialdemocratico Bohuslav Sobotka. Il primo con posizioni
islamofobe vicine al fascismo ed il secondo più aperto a posizioni democratiche.
Il presidente parla del bisogno che la Repubblica Ceca abbia un uomo forte che
sappia fare fronte all'ondata di migranti, delegittimando le posizioni più
concilianti del premier.
Intanto, a sentire i sondaggi,
la maggioranza dei cittadini cechi è d'accordo col suo presidente, mentre le
manifestazioni neonaziste continuano ad incutere il terrore tra le strade di
Praga. Quella di sabato scorso ha visto l'assalto nei confronti di chi
manifestava a favore dei migranti, insieme al tentativo, fortunatamente non
riuscito, di dar fuoco ad un centro sociale...
Uomini, donne e bambini trattati come bestie ai confini
Migliaia di persone accalcate ai due confini e
impossibilitati ad accedere nei paesi dove ricevere un'accoglienza umana:
fotografie di questo momento storico
Bologna, 6 febbraio 2016 - Sembrano 30.000, ma i numeri di
questa folle vicenda potrebbero essere molto superiori. 30.000 uomini, donne,
bambini, anziani che scappano da Aleppo, la città siriana dove la coalizione
filo-governativa sta facendo man bassa di civili inermi, mentre combatte per
riprendere il potere. 30.000 persone accalcate come bestie al confine con la
Turchia, che gli impedisce di entrare nel paese, dopo aver sottoscritto
l'accordo con l'Unione Europea, per accogliere i rifugiati nel proprio
territorio e non farli passare negli stati europei: l'Italia ha già dichiarato
che la sua quota di duecento milioni di euro è in pagamento.
Due sono i valichi alla
frontiera: 20.000 persone a Bab el Salam e 10.000 a Azas. Questa gente fugge
dalle bombe a grappolo lanciate dall'aviazione russa e dall'azione militare di
terra condotta dagli Hezbollah libanesi e dalle milizie iraniane, cioè la
coalizione sunnita che difende il potere di Assad. L'azione militare, che non
risparmia nessuno, si scaglia contro tutti, cioè non solo contro l'Isis, che è
il nemico della Coalizione Globale o Small Group, la quale si sta organizzando
per avviare la guerra in Libia, ma anche contro i gruppi di liberazione
democratica della Siria, che sono stati chiamati alla conferenza di Ginevra,
sotto l'egida dell'Onu e del suo inviato de Mistura, per avviare i negoziati di
pace, falliti miseramente prima di cominciare.
Quella di Aleppo, per Assad
sembra essere "la madre di tutte le battaglie" per riprendere il potere
e schiacciare principalmente l'opposizione interna, prima che i jihadisti.
Riprendere Aleppo secondo i piani del regime dittatoriale significherebbe, annientare
l'opposizione democratica interna, che vuole la sua defenestrazione,
delegittimandola definitivamente.
La Turchia, dal canto suo,
chiude le frontiere ai rifugiati che scappano aspettando che l'Arabia Saudita,
sua alleata sunnita, entri in campo, come ha dichiarato di voler fare, per
combattere la sua personale guerra contro il popolo kurdo del Rojava. Si trata
della lingua di terra autonoma a nord della Siria, le cui sorti sono
direttamente proporzionali alle istanze di libertà, represse nel sangue, dal
governo nel sud-est turco.
Nel frattempo, una situazione
simile si sta creando al confine tra la Grecia e la Macedonia, nel comune greco
di Polykastro, dove oltre 4000 persone sono ferme in attesa di poter fare la
richiesta di asilo in Austria e Germania. Sembra che i motivi siano legati agli
scioperi dei contadini nella repubblica ellenica e dei tassisti in Macedonia,
che hanno bloccato la strada in segno di protesta contro il governo.
Quattromila persone al freddo, senza cibo, senza luoghi riparati dove poter
dormire: questa è l'Europa di oggi!
Avviato il countdown del collasso
europeo, mentre nasce il nuovo nazionalismo dell’est
Il 7
marzo si svolgerà l'ultimo vertice europeo utile per trovare un accordo sulla
crisi dei rifugiati, dove parteciperà il premier turco, a cui è affidata la
sorte dell'Unione. Oltre ai muri sulle frontiere, è nata una nuova cortina di
ferro di tipo nazionalistico composta dai paesi del "blocco
neoasburgico", capeggiati dall'Austria, e da quelli di Visegrad, al cui
comando vi è il governo autoritario ungherese: tutti uniti contro la Grecia.
Bologna, 26 febbraio 2016
- Si avvicina
la disintegrazione politico-economica dell'Unione Europea, ormai il conto alla
rovescia è iniziato. L'ultima occasione utile, è fissata per il 7 marzo, quando
i 28 paesi s'incontreranno con il primo ministro turco Davutoglu, per porre
rimedio alla situazione di assoluto caos prodotto dalla nuova cortina di ferro,
in senso nazionalistico, eretta dai paesi della rotta balcanica.
Da
un lato c'è il patto di Visegrad composto da Ungheria, Repubblica Ceca,
Slovacchia e Polonia. La loro posizione è quella di escludere, in modo
unilaterale, Atene dall'area Schengen. La proposta, partita proprio da Orban,
l'autoritario premier ungherese, si configura in un nuovo muro di filo spinato
al confine tra la Macedonia e appunto la Grecia. Sempre Orban ha annunciato di
essere intenzionato a tenere un referendum sulle quote di accoglienza. Proprio
lui a settembre, si era schierato contro il piano di redistribuzione di 160mila
migranti, e in dicembre 2015 ha presentato, insieme alla Slovacchia, un ricorso
contro il suddetto piano.
Poi c'è il nuovo "blocco
neoasburgico" dei Balcani occidentali, formato da Albania,
Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Kosovo, ex Repubblica jugoslava di
Macedonia (Fyrom), Montenegro, Serbia e Slovenia. Anche la loro posizione è
quella di isolare la Grecia da Schengen. Durante il vertice svoltosi a Vienna,
la settimana scorsa, hanno sottolineato che: "La Grecia non ha espresso alcun interesse a ridurre i
flussi migratori, ma all'opposto continua a farli passare attraverso l'ex
Repubblica iugoslava di Macedonia da dove prendono la via per il Nord".
Le
istituzioni europee, intanto, si limitano ad asserzioni di principio e non
riescono a gestire la deriva nazionalistica intrapresa dall'Europa dell'est.
Sul referendum annunciato dal premier ungherese Natasha Bertaud, portavoce
della Commissione, così si è espressa: "Non riusciamo a capire come
possa inserirsi in un processo decisionale approvato da tutti gli Stati membri,
inclusa l'Ungheria, con i trattati dell'Unione europea". L'obiettivo di Orban è
chiaramente mostrare un largo consenso nazionale, aggirando i trattati europei.
Anche perché in tutta l'area balcanica fino alla Germania, i rigurgiti di
piazza anti-immigrati stanno sempre di più evolvendo non solo in avversione
generalizzata delle opinioni pubbliche nei confronti dei rifugiati, ma in
azioni di violenza da parte dei gruppi neo-fascisti.
Dal canto suo il Presidente del
parlamento europeo Martin Schultz, ammette che la situazione sembra essere
senza vie d'uscita: "Vi do delle cifre. I 28 Stati
membri dell'Unione europea contano, tutti insieme, 508 milioni di abitanti. Non
ci sarebbero problemi se ripartissimo l'attuale milione di rifugiati tra tutti
gli Stati. Il problema è che oggi sono soltanto due o tre i Paesi coinvolti
dalla crisi. E questo crea disfunzioni. Trovo cinico il rifiuto degli Stati
membri a far parte dello schema di redistribuzione, perché cosi non se viene
fuori. Anche perché spesso poi si arriva a criticare l'Europa, ritenuta
incapace di risolvere le crisi. E' una situazione senza precedenti nella storia
europea".
La Grecia intanto sembra
spazientita dalle decisioni unilaterali della "nuova cortina di
ferro". Il Ministro all'immigrazione Yiannis Mouzalas, a proposito della
non applicazione del piano di redistribuzione dei 160mila rifugiati, in una
intervista rilasciata ad Euronews, ha lasciato intendere che è vicina una vera
e propria crisi diplomatica con l'Austria: "Il piano non è stato applicato perché molti Stati membri,
inclusa l'Austria, invece di lavorare alla sua messa in atto sono impegnati a
recintare i loro confini. Lo abbiamo fatto già presente, dobbiamo scegliere se
far parte dell'Unione europea o no. L'Austria è stata fino a oggi un Paese amico,
ma ora ha cambiato atteggiamento. Non dico che è un Paese a noi ostile, ma che
le sue azioni lo sono e avranno effetti molto dolorosi per il resto dei Paesi
europei... Insisteremo a far sentire la nostra voce. E' chiaro che se le azioni
comuni perdono di importanza saremo costretti a procedere anche noi in modo
unilaterale. E non perché non crediamo all'Europa, ma perché non abbiamo altra
scelta."
La Turchia, la quale aspetta i
tre miliardi promessi dall'UE per accogliere tutti i flussi provenienti dalla
Siria e dall'Iraq, nel frattempo continua a fermare e maltrattare i rifugiati
sia ai confini che dentro il paese. Realisticamente in pochi fanno affidamento
sulle capacità del suo governo di risolvere una situazione che ha tutti i
sapori di una svolta epocale. Le guerre mediorientali che determinano un
fenomeno globale come quello delle fughe di massa dei rifugiati, possono avere
solo una risposta europea nella sua interezza. Scegliere una risposta
nazionale, in senso nazionalistico, ad un fenomeno globale determina quel
collasso, che ormai sembra inarrestabile.
Le donne rifugiate molestate che non fanno notizia
Un rapporto di
Amnesty International denuncia le violenze perpetrate nei confronti delle donne
che fuggono da guerre e persecuzioni e fa luce su un fenomeno di cui i media
non si occupano, come se l'indignazione nei confronti della violenza di genere
fosse riservata solo per gli eventi di Colonia.
19 gennaio 2016 - Se i fatti di Colonia hanno
destato sconcerto e indignazione da parte dell'opinione pubblica europea, lo
stesso non si può dire per ciò che succede periodicamente, ormai da mesi, nei
confronti delle donne rifugiate che attraversano la rotta balcanica per
salvarsi la vita dai disastri bellici dei loro paesi. Il rapporto di Amnesty International,
rivela fatti molto gravi e inquietanti che rientrano nell'ambito della lesione
dei diritti umani: "violenze, aggressioni, sfruttamento e molestie
sessuali in ogni fase del loro viaggio, anche all'interno del territorio
europeo".
Se già di per sé attraversare
vari paesi, da un continente all'altro, perché la propria vita è in pericolo,
rappresenta un trauma immenso per ogni essere umano, se poi ci si trova davanti
ad un'Europa che erige muri per impedire alle persone di salvarsi la vita, per
le donne che viaggiano da sole l'incubo è ancora più grande. Il costante senso
di pericolo per il proprio corpo, ed il fatto che non possono denunciare a nessuno
quello che avviene, perché non c'è nessuno pronto ad ascoltarle e difenderle,
ha aspetti così inumani, così crudeli che il fatto che nessuno ne parli rende
questa tragedia ancora più disgustosa.
Gli attori di queste violenze
nei confronti delle donne rifugiate, che affrontano il viaggio da sole o con
minori, appartengono a tutte le categorie sociali che nel percorso di fuga
vengono incontrati. Dapprima i trafficanti che a seconda del tipo di brutalità
di cui sono portatori o costringono ad avere rapporti sessuali oppure offrono
uno sconto o ancora un minore tempo di attesa per salpare verso il Mediterraneo...
Reem, 20 anni, partita dalla
Siria con una cugina di 15 anni: "Non ho mai avuto la possibilità di
dormire al chiuso, avevo troppa paura che qualcuno mi toccasse. Le tende non
erano separate e ho assistito a scene di violenza... Mi sentivo più sicura
quando ci muovevamo, soprattutto sui pullman, solo lì sopra riuscivo a chiudere
gli occhi e ad addormentarmi. Nei campi è facilissimo essere toccate, non si
può denunciare e alla fine ognuna vuole evitare di creare problemi che
blocchino il viaggio".
Poi le forze dell'ordine.
Rania, 19 anni, incinta, proveniente dalla Siria: "La polizia ungherese ci
ha trasferiti in un altro posto, persino peggiore del primo. Era pieno di
gabbie e non passava aria. Eravamo come in cella. Ci siamo rimasti per due giorni.
Ci davano due pasti al giorno. I gabinetti erano peggio degli altri, era come
se volessero lasciarli in quelle condizioni per farci soffrire... Il secondo
giorno la polizia ha picchiato una siriana di Aleppo, solo perché aveva pregato
di lasciarla andare via. Sua sorella ha provato a difenderla, lei parla
inglese. Ma le hanno detto che se non stava zitta avrebbero picchiato anche
lei. La stessa cosa è successa a un'iraniana, che aveva chiesto un po' di cibo
in più per i suoi figli".
Infine i rifugiati uomini, che
approfittano dell'assenza di separazione tra bagni femminili e maschili.
"Alcune donne hanno subito violenza da parte di altri rifugiati o da parte
di agenti di polizia, specialmente nei momento in cui il sovraffollamento dei
centri faceva salire la tensione richiedendo l'intervento delle forze di
sicurezza."
Maryan, 16 anni, proveniente
dalla Siria: "Eravamo in Grecia. Abbiamo cominciato a piangere e a urlare,
così è arrivata la polizia che ha manganellato tutti quanti, anche in testa. Io
sono state colpita su un braccio. Picchiavano anche i più piccoli. Ho avuto un
capogiro e sono finita a terra, con le persone che mi cadevano sopra. Poi mi
sono ripresa. Piangevo, non trovavo più mia madre. Poi hanno chiamato il mio
nome e ci siamo ritrovate. Dopo, ho mostrato a un agente di polizia il braccio
dove ero stata colpita e quello si è messo a ridere. Allora ho chiesto un
dottore e hanno detto a me e a mia madre di andare via".
La cultura dell’emergenza rifugiati e i terreni di caccia delle
terre di mezzo
Esistono
esperienze sociali in varie parti d'Italia dove viene dimostrato che la
valorizzazione delle abilità dei rifugiati potrebbe rappresentare un elemento
di sviluppo per i territori di accoglienza. Ma innescare questo meccanismo è
praticamente impossibile poiché verrebbero colpiti gli interessi privati delle
terre di mezzo, che si esprimono mantenendo inalterata, da vent'anni a questa
parte, la cultura dell'emergenza...
Bologna,
16 dicembre 2015 - Via
del Milliario è un'arteria che s'incunea direttamente in bocca al fiume Reno,
nel quartiere di Borgo Panigale. E' un lembo di terra nella periferia ovest di
Bologna, proprio alle spalle dell'aereoporto. Il Centro di Accoglienza
Straordinaria per richiedenti è l'ultimo avamposto prima del fiume.
Spesso, quando s'ingrossa occorrono barriere di sacchi per impedire che l'acqua
invada la strada. Quel pezzo di terra in effetti richiama alla mente un luogo
di confine o forse ancor di più racchiude in se una sorta di indeterminatezza
propria a quella dimensione spazio-temporale. A pensarci è la medesima
indeterminatezza che vivono quei cinquanta ragazzi in attesa che qualcuno
decida per loro, che qualcuno indichi la strada del loro destino. Fino a quel
momento la vita è solo in stand-by. Meritano oppure no la protezione
internazionale? Saranno in grado di convincere la commissione territoriale di
Bologna che nel loro paese rischiano l'incolumità fisica? E cosa succederà se
non riusciranno a provare che tornare nel loro paese può significare morte
o comunque violenze di vario genere?
Lì ci sono ragazzi le cui
caratteristiche costituiscono un identikit socio-anagrafico molto comune
ai luoghi di accoglienza dei rifugiati italiani, come appunto i CAS. Giovani
che provengono dall' Africa sub sahariana e dall'Asia. Hanno tra i venti
ed i trent'anni, a bassa scolarizzazione, per cui non scrivono la nella
loro lingua madre ufficiale, cioè l'inglese o il francese, e parlano
prevalentemente con i loro dialetti nazionali. Paradossalmente però, pur appartenendo
a paesi differenti, tra di loro riescono a comunicare perfettamente. In
pochissimi, infatti, si concentrano verso l'apprendimento dell'italiano, viste
le condizioni in cui vivono. L'unico sostegno è costruito sul rapporto
quotidiano con gli operatori, anch'essi ragazzi di pari età, che cercano di
compensare le lacune di un sistema che non funziona. Le caratteristiche
psico-sociali raccontano poi un'altra storia ancora: pur avendo un età adulta
hanno spesso modalità comportamentali di tipo adolescenziale. Per tale ragione
non possono essere trattati come ragazzini, ma al tempo stesso occorrerebbe un
intervento molto equilibrato di tipo psico-attivo per costruire un percorso
efficace di inclusione. Ma di questo a nessuno importa...
L'accoglienza che lo Stato
italiano ha riservato a questi ragazzi non può tenere conto, quindi, delle
loro fragilità: per loro c'è un'accoglienza straordinaria, come il nome dei
luoghi che li ospitano. La straordinarietà sta nel fatto che le quote stabilite
dallo Sprar, cioè il programma di accoglienza dei richiedenti e rifugiati
italiani, gestito dal Ministero dell'Interno e dall'Anci, non riescono a
garantire tutti i richiedenti in ragione di una adeguata cura, per cui
ogni anno, aumentando le richieste di asilo, si cerca di fare fronte
appunto con la straordinarietà. Questo perché dopo quasi vent'anni ancora in
Italia si continua a parlare di emergenza rifugiati. Cioè il problema di chi
fugge da guerre e persecuzioni è affrontato come se fosse un problema
eccezionale e non strutturale al mondo contemporaneo.
La storia del Baobab di via
Cupa a Roma è un'altra di quelle emblematiche, di questo paese un pò
surreale... Un centro nato per sopperire alle assenze di gestione dei
rifugiati, che a Roma spesso vivono in balia di se stessi, che abbiano ricevuto
o meno la protezione internazionale. Per non farli girovagare per strada,
alcuni volontari hanno adibito, con le loro forze, un luogo di fortuna in
centro d'accoglienza. Il tentativo era quello di dare un minimo di dignità a questa
gente. Tutto ciò fatto da dei cittadini e non dalle istituzioni.
Poi, dopo la strage di Parigi, le forze dell'ordine sono entrate ed hanno
sgomberato, poiché ritenuto potenziale ricettacolo di terroristi. "Si tratta di una soluzione inaccettabile, - hanno
dichiarato i volontari in una conferenza stampa - con la quale il Comune
anziché impegnarsi a definire una risposta organica al problema dei transitanti
e rifugiati, relega il problema a mero ordine pubblico. Nessuna ragione di
ordine pubblico e nessun allarme terrorismo può giustificare il disinteresse
verso la dignità umana e i diritti fondamentali dell'individuo".
Del resto basta guardare alle
modalità con cui negli ultimi mesi la stessa Unione Europea ha inteso gestire i
flussi della rotta balcanica, per farsi un'idea ben precisa del disastro
sociale che si preannuncia. Solo ad onor di cronaca, per chi non lo sapesse,
dalla rotta balcanica transita chi scappa dalle guerre in corso in Iraq,
Afghanistan e principalmente in Siria. Ora, la strategia dell'Unione Europea è
quella di fermare questi flussi in un'area cuscinetto nel nord della Turchia,
per impedirne l'accesso in Europa. Una strategia concordata con un dittatore
islamico che di cognome fa Erdogan, cioè l'attuale presidente turco, che è
possibile leggere delle sue orride malefatte nelle cronache di questi mesi. In
cambio il califfo turco verrà risarcito con tre miliardi di euro e la
facilitazione della sua entrata nell'UE. Non c'è da stupirsi, dunque, se in un
paese come l'Italia la cultura delle emergenze, conclamata dallo scandalo di
mafia capitale, ha lunga vita proprio perché essa garantisce il lobbismo delle
"terre di mezzo" tra pubblico e privato...
Quella stradina stretta e lunga
che si affaccia sul Reno, in un pezzo di periferia bolognese, racconta ogni
giorno un'assurda contraddizione, in un continente le cui istituzioni sembrano
aver fallito tutti gli obiettivi di progresso e coesione sociale fissati
negli anni passati. Perché quei cinquanta giovani richiedenti di via del
Milliario, rappresentano proprio uno spaccato generazionale che si affaccia
sull'Europa e che rimane a guardare il mondo che scorre dentro le città, senza
poterne essere protagonisti. Sono uomini nascosti che si aggirano come
fantasmi notturni. I vissuti rappresentati in via del Milliario narrano
una storia fatta di ragazzi che cercano d'inventarsi un modo spontaneistico per
sopravvivere, mettendo a frutto le loro abilità, la loro fantasia, le
loro risorse, e tutto questo, solo per uscire la testa fuori dal
nulla di cui è intrisa quella accoglienza italiana straordinaria
...
Cuciono abiti, recuperano
materiali riciclabili, aggiustano e montano biciclette, lavorano i metalli ed
il legno anch'essi riciclati. In quel pezzo di strada che si affaccia al
fiume, hanno inventato un vero e proprio mercatino delle pulci,
dove cittadini esclusi come loro possono trovare semplici prodotti di
scarto che sopperiscono all'assenza di tutto. Quello di via del Milliario è un
vero laboratorio di artigianato spicciolo, che si traduce in economia d'uso,
che questi ragazzi rivisitano giorno per giorno, per dare contenuto di
senso alla loro esistenza, ma anche per mandare qualche soldo alle loro
famiglie... Perché quello che la cultura dell'emergenza non ha interesse a
concepire è che i giovani provenienti dall'Africa sub-sahariana, come
da molte parti dell'Asia, sono portatori di straordinarie risorse legate
alla manualità, oltre che a grandi capacità di adattamento delle stesse su vari
ambiti quali la meccanica, le lavorazioni di legno e ferro, la sartoria.
Tali abilità potrebbero
innescare, se valorizzate, dei micro-processi di sviluppo locale, nella misura
in cui nuove forme di valore economico si ponessero in termini di proposte
finalizzate all'abbassamento dei costi sociali, generati dalla crisi
economica. In tal senso la possibilità di rendere attivi i richiedenti
asilo influirebbe sulla loro capacità di inserirsi nei circuiti produttivi
metropolitani, attraverso economie d'uso che sono in essere, in
tutti i territori urbani.
Pensiamo per un momento ad una
città utopica... Una città che in linea teorica però potrebbe esserci in
qualsiasi parte d'Italia, dove, anziché prevalere la cultura dell'emergenza, ci
fosse un amministrazione del territorio virtuosa, i cui amministratori si
ponessero una domanda molto semplice: posso utilizzare il valore delle
persone che provengono da altri mondi, per sviluppare il mio territorio? Certo,
immaginare che in Italia ci possa essere un'amministrazione comunale che si
ponga questa domanda è molto difficoltoso. Ma per un momento immaginiamo che ci
possa essere... La risposta a questa ipotetica amministrazione comunale la
danno proprio i ragazzi di via del Milliario. Perché in un contesto di
esclusione socio-economica sono proprio loro che propongono soluzioni
mettendo a frutto le loro abilità, dando vita a "microeconomie" che
vanno a compensare gap economici per una gamma di categorie sociali. Si pensi
se tutto questo potesse essere potenziato e messo a sistema...
Perché l'emersione di realtà
legate al valore d'uso prima che al valore di scambio, va a rispondere da un
lato alla crisi economica che ha generato un abbassamento generalizzato del
livello di vita, dall'altro propone l'inserimento nel mondo
sociale delle categorie produttivamente escluse.
In questa stessa prospettiva si
allinea un'altro tema aperto, quello di rivitalizzare, attraverso strategie di
sviluppo locale, il comparto dei mestieri artigianali che stanno scomparendo a
causa della crisi vocazionale, che generazionalmente investe le società
cosiddette avanzate. La possibilità di ricucitura di questo strappo
generazionale potrebbe provenire proprio dai cittadini migranti, i quali sono
portatori di abilità artigianali legate alla caratteristiche produttive dei
loro paesi d'origine. In tal senso, riuscire a costruire filiere che possano
ridefinire un sistema produttivo che si sta perdendo, dove attori pubblici e
privati interagiscano in network, potrebbe rappresentare un modello
d'intervento possibile per incrociare domanda e offerta ambedue disattese. Una
cultura dell'accoglienza che preveda insomma strategie territoriali funzionali
a rivitalizzare i tessuti sociali, grazie all'apporto dei cittadini migranti,
in grado di colmare le lacune e i vuoti del mondo della produzione moderna,
diventerebbe l'elemento di innovazione e sviluppo ineluttabile, esportabile in
molti contesti regionali e nazionali...
Ma torniamo alla realtà.
Sappiamo che nessuna amministrazione locale italiana avrebbe interesse a porsi
la domanda di cui sopra, anche se la risposta è nello stato delle cose. Meglio
mantenere sempre viva la cultura dell'emergenza, dopotutto si guadagna di più,
ci sono più risorse da spartire per le terre di mezzo... Così, in quella
stradina che si affaccia sul fiume, come in tante altre abitate da fantasmi,
quei giovani, che vivono in attesa di una vita senza paura, possono restare
degli spettri: e che lo sviluppo locale vada a quel paese...
L’Europa a pezzi e il gioco delle tre carte
Emerge dal summit di Malta che la strategia sui rifugiati sembra essere quella di far diventare il problema di qualcun altro. Intanto nella giungla di Calais torna la calma dopo tre gioni di scontri, la Germania chiude le frontiere, in Slovenia viene issato un'altro muro di filo spinato e i bambini continuano a morire nel mar Egeo.
Bologna, 12 novembre 2015 - "Il problema che stiamo affrontando oggi
dipende in parte dal fatto che alcuni Paesi in Europa si comportano come una
fortezza. Non c‘è parte del mondo che possa essere una fortezza. Dovremmo
essere aperti all’immigrazione legale." Nkosazana Dlamini-Zuma, è il
portavoce dell’Unione africana, ed ex ministro della sanità sudafricano, le sue
parole raccontano la storia del nostro tempo, ma è solo uno degli aspetti
emersi al summit di Malta tra l’Europa e l’Unione Africana, sull'esodo dei
rifugiati. Un evento presentato dai media come un momento fondamentale per
affrontare la questione che sta mandando in frantumi la logica stessa su cui si
fondano le ragioni dell'Europa unita.
L'assunto è che i governi
africani sono coinvolti tanto quanto l'Europa in quella che continuano a
chiamare "crisi dei migranti". Quindi i governi europei cosa
propongono? Aumento degli aiuti finanziari per la cooperazione e lo sviluppo.
Come dire, è un modo per rispondere all'espressione oramai generalizzata del
"dobbiamo aiutarli in casa loro". Verrebbe da chiedersi però cosa
significa cooperazione e sviluppo, quando gli stati europei, con le loro grandi
industrie, esportano armi da guerra, alimentando i conflitti bellici
regionali...?
Come contropartita, comunque,
si chiede all'Unione Africana che cooperi nella gestione dei flussi. Per tali
ragioni quindi vi è la necessità di creare vie legali e pacchetti di proposte
per l'emigrazione economica. La domanda che sorge spontanea è: ma tutto questo
cosa c'entra con quello che sta accadendo sulla rotta balcanica? Si perché
quelle centinaia di migliaia di persone, che stanno mettendo in crisi l'Europa,
provengono dal Medio Oriente, cioè da Siria, Iraq e Afghanistan, e prima di
cercare una vita migliore, dal punto di vista economico, stanno tentando di
salvarsi la vita... Cioè per loro vivere una vita migliore significa
innanzitutto non morire...
"Spero
che faranno qualcosa per farli andare via, non ci spero più di tanto, ma almeno
che mettano degli agenti di sicurezza per impedire che passino di qui o che
restino nel loro campo perché qui la situazione è diventata invivibile".
E' così che si esprime un cittadino di Calais, città di confine di un paese
dalla efficiente organizzazione sociale, legata ai valori della laicità e
dell'uguaglianza, come la Francia. Sono mesi però che il governo francese ha
fatto decomporre una situazione che non riesce a gestire, dove migliaia di
rifugiati sono accalcati, in una sorta di favela fatta di tende, in attesa di
poter raggiungere la Gran Bretagna.
Qui, negli ultimi tre giorni,
si sono vissuti momenti di grande tensione, tra scontri e violenze, tanto che è
stata ribattezzata la "giungla di Calais". Altri 250 agenti
anti-sommossa hanno dunque ristabilito la calma. Con l'inverno che avanza, lì
la gente rischia di morire assiderata, quindi alcuni attivisti per i diritti
umani stanno distribuendo gli strumenti per oltrepassare le recinzioni. Così il
governo francese li accusa di fomentare le rivolte ed il Fronte Nazionale di
Marine Le Pene chiede il pugno di ferro. In tutto questo i cittadini di Calais
sono al limite della sopportazione: allo stato attuale sono quasi cinquemila le
persone che vivono in condizioni disumane. Gestire la situazione con le forze
dell'ordine sembra l'unica soluzione che il governo francese riesca a dare...
In Germania invece la
cancelliera Merkel fa marcia indietro rispetto all'annuncio di quest'estate
sull'accoglienza ai migranti siriani, chiudendo loro le frontiere,
respingendoli sulla rotta balcanica. Questo perché i sondaggi la danno in
caduta libera, visto il fallimentare modello di accoglienza che il governo
tedesco ha messo in piedi in questi mesi, legato alle diverse dinamiche
normative dei vari lander. Violenze, abusi, roghi, rigurgiti neo-nazisti, hanno
contraddistinto la dimensione abitativa dell'accoglienza tedesca.
"Non chiuderemo il confine
ai passaggi. Un tale flusso potrebbe mettere a rischio la sicurezza della
Slovenia, come primo ministro non posso permettere una catastrofe umanitaria.
Gli ostacoli tecnici posti al confine serviranno a incanalare l’onda
inarrestabile dei migranti verso i punti di accesso a loro destinati,
evitandone la dispersione. Faremo il possibile per controllare e limitare il
flusso". Un altro muro viene issato in Slovenia, al confine con la
Croazia, dove dalle elezioni di qualche giorno non è uscito un chiaro
vincitore, facendo sprofondare il paese in una crisi al buio. Questa volta il
muro sloveno l'hanno chiamato "barriere tecnica", con quasi trecento
poliziotti anti-sommossa a sua protezione. Da inizio ottobre 180 mila persone
sono entrate in Slovenia, in fuga da Siria e Afghanistan.
Ultima notizia, una di quelle
che ormai passa inosservata. La notte del 10 novembre, al largo della costa
turca di Ayvacik, a causa del naufragio di un barcone pieno di rifugiati, sono
morte 14 persone, tra cui sette bambini...
Dalla rotta balcanica è partita la dissoluzione dell’Europa
La settimana che si chiude ha visto degli eventi che
incrociandosi hanno determinato l'inizio di un processo di disintegrazione
europea
Bologna, 30 ottobre 2015
- Come da previsioni la destra xenofoba
e nazionalista si è imposta alle elezioni legislative in Polonia.
Il partito Diritto e Giustizia vince con il 39,1 per cento, e la designata alla
funzione di premier Beata Szydlo di 52 anni, può esultare, dopo una campagna
elettorale fondata sui temi di contrasto ai migranti e alla vicina Germania,
vista come il male assoluto, in quanto leader di una Europa a cui contrapporsi.
Il primo ministro uscente, un'altra donna, Ewa Kopacz, di Piattaforma civica,
si è attestata al 23,4 per cento. La Szydlo sarebbe in grado di formare un
goveno con l'appoggio del terzo partito competitore, Kukiz'15, che ha preso il
nome dal suo fondatore Pawel Kukiz, un ex cantante rock ultra-nzionalista, che
ha ricevuto il 9 per cento dei suffragi. Sotto la soglia di sbarramento dell'8
per cento, per la Camera Bassa, sono rimasti tutti i partiti di sinistra, nati
nell'89 dopo la caduta dei muri.
Beta
Szydlo Si è laureata in Etnografia a Cracovia, è stata, tra il '98 e il 2005,
sindachessa di Brzeszcze, una cittadina rurale del sud, nel distretto di
Oświęcim, il cosidetto voivodato della Piccola Polonia. Due volte parlamentare
e vicepresidente del partito Diritto e Giustizia, quello capeggiato dai due
gemelli Jaroslaw e Lech Kaczynski, in uno stranissimo caso di nepotismo
istituzionale, quest'ultimo morto nel 2010 in un incidente aereo. Ed è stato
Jaroslaw Kaczynski a candidare la Szydlo a premier per queste elezioni. Ambedue
nazionalisti convinti, al punto da individuare come centrale il ruolo dello
stato in economia.
L'elemento particolare che li
contraddistingue, e che ha caratterizzato la campagna elettorale, è proprio
quello legato ai processi migratori, per quanto la Polonia non è stata
investita in modo particolare dal fenomeno che sta colpendo l'Europa: fino ad
adesso sono stati ospitati 200 siriani cristiani, grazie all'azione di una
fondazione. Ma la propaganda del terrore, su cui l'attuale partito di
opposizione, ha voluto puntare, è arrivata a livelli parossistici...
La sindrome dell'islamizzazione, tema caro a Viktor Orban, il
dittatore bianco ungherese, come a tutte le organizzazioni legate al nuovo fascismo,
è stato incentrato sui temi di natura puramente razziale. La teoria è che
attraverso i processi migratori potrebbero nascere problemi legati alla salute
pubblica dei cittadini, con il diffondersi di epidemie come il colera, diffuso
dai rifugiati nelle isole greche, e la dissenteria di cui è stata investita la
città di Vienna. "Oggi, i polacchi sono soprattutto preoccupati per la
loro sicurezza", continua a ripetere la Szydlo, per cui l'ex sindachessa
ripropone la stessa ricetta, che non ha nessun significato di senso dal punto
di vista geo-politico, e che viene sbandierata solo a fini manipolatori:
"aiutare i profughi nei loro paesi..."
Intanto a causa dei muri di filo spinato eretti nei confini tra
Ungheria, Serbia e Croazia, in Slovenia continuano a riversarsi migliaia e
migliaia di rifugiati, per un conteggio complessivo delle ultime due settimane
di 100.000 persone. Numeri ben superiori a quelli che in settembre hanno
raggiunto l'Ungheria. Gran parte di questi rifugiati sono scappati dalla recrudescenza
dei combattimenti in Siria, a causa soprattutto dei bombardamenti russi per la
riconquista di Aleppo... L'UNHCR, l'agenzia ONU per i rifugiati, denuncia che
con l'arrivo del freddo invernale le lente procedure e l'assenza di centri di
accoglienza produrranno problemi non da poco, dal punto di vista umanitario.
Il ministro degli Interni
sloveno Vesna Györkös Žnidarha ha accusato l'Unione Europea di non intervenire
in Grecia, poiché è da lì che i rifugiati arrivano in modo incontrollato.
Quindi ha chiesto aiuti economici, confortato dalla Commissione Europea, che
gli ha promesso supporto tecnico e più denaro.
Abbiamo dato conto in questi
giorni della dichiarazione del capo dell'agenzia dei diritti umani dell'Onu
Zeid Raad al-Hussein, che ha accusato la Repubblica Ceca di sistematiche
violazioni dei diritti umani ai danni dei rifugiati, durante i 90 giorni di
"accoglienza/reclusione", prima del normale disbrigo delle procedure
di richiesta asilo. I rifugiati vengono trattenuti, infatti, così a lungo per
poter pagare la loro stessa detenzione, cioè queste strutture sottrarrebbero
una decina di euro al giorno, destinati ai migranti, per fare cassa. A ciò si
aggiunga la storia del centro per rifugiati di Bamberg in Baviera. In effetti
quello che è successo in Baviera è soltanto l'ultimo degli eventi dello stesso
genere successi in varie parti della Germania, per opera dei neo-nazisti, che
danno fuoco ai centri di accoglienza.
La sintesi di queste due
situazioni la si ritrova per la festa nazionale della Repubblica
Ceca, per
l'indipendenza dall'Impero austro-ungarico. Manifestanti neo-nazisti sono scesi
nelle strade di molte città, lanciando slogan razzisti contro i rifugiati e le
politiche dell'Unione Europea, in nome di una sorta di difesa della razza nazionale.
L'elemento confortante è che a questi cortei, in quasi tutte le città, se ne
sono contrapposti altri in favore dell'accoglienza, e la polizia ha dovuto
lavorare per tenerli separati.
Alla manifestazione di Praga ha partecipato Lutz Bachmann,
leader della formazione anti-islamica tedesca Pegida, proprio quelli che hanno
bruciato vari centri di accoglienza, generando il clima che ha portato al
ferimento, il giorno prima della scadenza elettorale, la sindachessa di
Colonia, per la sua apertura nei confronti del tema accoglienza. Ecco la
dichiarazione delirante di Bachmann durante la manifestazione di
Praga:"Tutti i patrioti europei devono cooperare ora per essere in grado
di affrontare questa minaccia. Siamo forti e riusciremo".
Poi c'è Gaziantep, una città
turca della regione dell'Anatolia sud orientale, proprio al confine con la
Siria. E' lì che ha creato il proprio quartier generale un Forum di 47
organizzazioni non governative, tra cui Human Rights Watch.
Da lì è stato diramato un inquietante comunicato, fatto pervenire alle agenzie
di stampa, dove si denuncia che l'offensiva in Siria degli eserciti pro Assad,
sia di terra, ma soprattutto aerea, guidata dalla Russia, colpisce
ripetutamente "bersagli" civili. Questo ha prodotto l'ingigantirsi di
un esodo di circa 130.000 persone, che stanno cercando di fuggire per mettersi
in salvo dai bombardamenti, proprio quelli che arrivano ogni giorno al confine
sloveno.
«I raid continuano a prender di mira aree dove c'è un'altra
concentrazione di civili.
Scuole, ospedali e mercati sono a rischio... Nei giorni scorsi sono stati
colpiti centri sanitari che lavorano grazie al sostegno delle Ong locali... I
combattimenti sul terreno hanno causato nuovi rischi per i civili,
destabilizzando zone che erano state relativamente stabili e sicure. Questa
nuova realtà ha costretto almeno 129mila civili a fuggire da Aleppo, Idlib e
Hama... Ci sono civili rimasti intrappolati nelle città di Aleppo e Homs. E
numerose Ong hanno dovuto sospendere le loro attività».
Nella sola Aleppo, città cardine della strategia offensiva russa, nei giorni scorsi il
Coordinamento umanitario dell'ONU (OCHA), ma anche fonti mediche, individuavano
un numero variabile tra 50 e 70 mila persone in fuga, dalla zona sud della
città.
Una singolare drammaturgia
legata al gioco delle parti viene imbastita a livello internazionale... C'è il
Cremlino che continua nelle sue smentite che non smentiscono, accusando Human
Rights Watch di manipolare la realtà, come se fosse un soggetto politico, parte
in causa nella guerra siriana. Così dichiarava il portavoce di Putin, Dmitri
Peskov, alle agenzie di stampa: «Conosciamo un gran numero di rapporti, notizie
infondate, informazioni intenzionalmente fatte trapelare ai media sulle, per
così dire, conseguenze dei raid aerei russi».
Poi
l'incontro a Damasco sulle trattative per la transizione del
paese,
tra Assad ed il Ministro degli esteri dell'Oman, Yusuf bin Alawi, attuale
mediatore in quanto unico alleato degli USA che mantiene buoni rapporti con
l'Iran. In questa sede il dittatore siriano ha dichiarato che l'ipotesi di
elezioni saranno possibili solo dopo aver sconfitto il terrorismo, senza
specificare se per terrorismo s'intende l'Isis o anche i gruppi che combattono
sul territorio, come le Forze Democratiche Siriane, un cartello di 13
organizzazioni, che nei giorni scorsi hanno sottoscritto un documento, dove si
sottolinea che la lotta contro Assad è finalizzata alla costruzione di una
Siria democratica: «...Questo passo in avanti verso la democrazia permetterà l'unità
democratica di tutti i popoli siriani sulla base della libertà delle donne. Il
nostro obiettivo fondamentale è la fondazione della Siria democratica».
Ma c'è stato anche il minivertice di domenica a Bruxelles, tra la Commissione europea e
gli undici paesi interessati alla rotta balcanica, otto membri UE, dalla Grecia
alla Germania, e tre candidati, come Macedonia, Serbia, e Albania. Da questo
incontro è uscito un documento di 17 punti, in cui da un lato si afferma la
necessità del trattamento umano da riservare ai rifugiati, in linea con la
convenzione di Ginevra e i trattati internazionali, dall'altro però si
accentuano gli elementi di tipo securitario, stabilendo misure restrittive, e
giocando ancora sull'equivoco di differenziare chi ha diritto all'asilo e chi
no, come se il fenomeno epocale della guerra in Siria riguardasse anche i
cosiddetti "migranti economici".
E' stata fissata la
designazione di "punti di contatto" nazionali, che dovranno comunicare sul
numero di migranti che arrivano e partono. Inoltre, le persone non registrate,
non potranno avere diritto all'accoglienza. E ancora, rientra in scena Frontex,
l'agenzia dell'UE che da sempre rappresenta la logica della Fortezza, con una
dichiarazione emblematica del premier croato Zoran Milanovic: «Abbiamo
concordato che Frontex debba arrivare alla frontiera tra Croazia e Serbia, a
guardia dei confini esterni dell'Unione europea. Ciò dovrebbe, in teoria,
rallentare il flusso delle persone perché imporrebbe una procedura d'ingresso
più rigorosa. Ovviamente, ciò presumendo che il sistema funzioni, dalla Grecia
alla Macedonia e in Serbia».
Una inchiesta del Washington
Post ha anticipato la notizia che il governo statunitense sta mettendo in atto
l'ipotesi di inviare truppe di terra in Siria. Le fonti del giornale erano
direttamente collegate ai consiglieri della sicurezza nazionale, che trovandosi
a constatare la situazione di stallo del conflitto, hanno fatto pressione nei
confronti del presidente Obama, per un cambio di strategia. E' presumibile pensare
che questo possa essere stato anche dovuto al ruolo giocato dalla Russia in
favore del dittatore Assad.
Così è arriva la risposta dell'Austria, in seguito al vertice di
Bruxelles dei paesi interessati alla rotta balcanica, che ha annunciato di
predisporre un sistema di controlli alla frontiera, finalizzato a rallentare il
flusso migratorio. La dichiarazione ad Euronews del Ministro dell'Interno
austriaca Johanna Mikl-Leitner è davvero significativa: "Non costruiremo
di certo un muro dall'Ungheria fino alla Slovenia e all'Austria. È un'utopia
realizzare una barriera di 700 chilometri. Ma dobbiamo essere pronti, da ogni
parte dei passaggi di frontiera, e stiamo pianificando la costruzione di
strutture che possano garantire un accesso controllato".
Intanto la minaccia di nuovi muri di filo spinato passa dalla bocca di questo o
quel capo di governo o ministro dei paesi posti sulla rotta balcanica, con il
Presidente della Commissione Europea Junker che smentisce: "nell'Unione
non c'è spazio per barriere". Questo gioco ipocrita delle dichiarazioni e
delle smentite continua poi nelle parole del primo ministro sloveno, che
afferma, di non voler erigere muri, ma di essere pronti a porre misure idonee,
magari di tipo militare, per ostacolare l'accesso al confine con la Croazia. E
così è stato. Ma le ultime immagini di uomini, donne e bambini che sfondano gli
accessi controllati in Austria spiegano che ormai la situazione all'Europa é
scappata dalle mani...
Il senso del confine
Bologna, 19 ottobre 2015 - C'è un totem che s'impone
nel gioco teatrale della cronaca contemporanea: il senso del confine. Esso
assume una fisicità ostentata al di là di qualsivoglia interpretazione
geografica o sociale o ancora politica... Nasce da una costruzione
dell'immaginario del nostro tempo come se fosse un'elaborazione laboratoriale
che cerca di manipolare il senso stesso della nostra esistenza, spesso
scindendo le dinamiche dei governi da quelle dei popoli. L'Europa, che di
questo gioco è promotrice, ha inteso rielaborare il senso del confine, come se
la realtà dei governi e dei popoli separati dal Mediterraneo fosse separata dal
resto del tempo. Perché non può esistere una separazione tra dimensione
geografica, sociale, politica, economica, nel momento in cui chi promuove il
gioco esso stesso ha deciso che queste separazioni, per altri versi, non sono
comode.
Gli interessi economici e
politici dei paesi europei al di là del Mediterraneo, che sia nord Africa,
Africa sub sahariana, medio oriente, sono un inevitabile prodotto della storia,
precedente alla globalizzazione, che semmai rispetto ad essa sono stati
velocizzati. Però al tempo stesso l'Europa ha inteso alzare il totem della
fortezza, elaborando un sistema di regolamenti e leggi dove il senso del
confine viene santificato. Quest'anno poi si è aggiunto un elemento in più al
gioco drammaturgico e totemico europeo, proveniente dai paesi reazionari
dell'est, inneggianti ideologicamente alla chiusura autocratica di tipo xenofobo,
contraria all'essenza stessa dell'unione europea, dove vige il conservatorismo
di matrice liberale che ha creato la fortezza: il filo spinato...
C'è da parte dei governi
europei, una caparbia negazione del filo diretto che unisce i paesi al di qua e
al di là del Mediterraneo, che essi stessi hanno reso inseparabili attraverso
la circuitazione degli interessi legati alle risorse o agli affari con i
governi corrotti fuori dalla fortezza. Ecco che il senso del confine ritorna
nella sua dimensione totemica più forte, cercando di mascherare una realtà
storica che non può essere mascherata, perché viceversa questo determina, come
sta accadendo, un nuovo olocausto...
Allora l'Europa continua nel
suo gioco teatrale danzando intorno al totem per trovare le soluzioni a questa
contraddizione che generato... In questi giorni la danza ha portato ad
individuare una di queste soluzioni nel sottoscrivere un accordo con la Turchia
di un altro autocrate, il sultano Erdogan, di cui la sintesi della sua azione
politica la si può ritrovare proprio nella strage di Ankara...
Una strage di stato
La manifestazione, organizzata
da sindacati e organismi della società civile, era appena cominciata, decine di
giovani inneggiavano alla pace in un paese in grande fermento, tra le vicende
del popolo curdo e i metodi autoritari dell'attuale potere sunnita del
Presidente. Le due esplosioni ravvicinate hanno innescato il terrore, mostrato
in un video che ha fatto il giro del web. La manifestazione è stata
immediatamente annullata. Il governo ha stigmatizzato l'accaduta, parlando di
attacco terroristico, messo a segno da due kamikaze. Fonti giornalistiche hanno
elaborato ipotesi sul nazionalismo turco, che però è vicino la potere
costituito.
Manifestazione a Istanbul per protestare contro il potere
autoritario del Presidente Erdogan
Lo stesso giorno diecimila
persone sono scese in piazza per manifestare la propria rabbia contro il Presidente
Erdogan e l'uso del potere autoritario dell'autocrate islamico. I manifestanti
si sono diretti verso piazza Taksim al grido di "Erdogan dimettiti".
La strage che ha prodotto un centinaio di morti e 400 feriti, viene fatta
risalire dai manifestanti e dalla forze di opposizione curda, all'azione
repressiva del governo di Ankara nei confronti del PKK, che si è riaccesa nel
giugno di quest'anno, quando Erdogan ha rotto l'accordo di pace, arrivando in
seguito ad impedire, a pezzi del popolo curdo in Turchia, di andare in soccorso
dei combattenti di Kobane contro l'Isis. Da allora è ripresa un'azione di
guerriglia per le strade delle città turche, in risposta ai bombardamenti dei
villaggi curdi in Turchia che hanno prodotto morti e feriti.
Manifestazioni hanno avuto
luogo anche in altre città turche, tra cui Smirne, Batman e Diyarbakir, dove la
polizia ha utilizzato gas lacrimogeni per disperdere la folla. Il governo di
Ankara, che ha indetto tre giorni di lutto cittadino per l'attentato, che non è
stato rivendicato.
Il
PKK ha, dal canto suo, ha fatto sapere che fino alle elezioni che si terranno
in novembre, se non verranno attaccati, attueranno un cessate il fuoco
unilaterale, per garantire che la tornata elettorale possa svolgersi in una
situazione sociale di tranquillità.
Il PKK mandante contro se stesso
In
un primo momento, secondo il governo turco i responsabili della strage di
Ankara che è costata la vita a più di cento persone e 400 feriti, si aggiravano
in un range di tre possibilità: l'Isis, le organizzazioni di estrema sinistra e
il PKK.
Questa
notizia letta così pone in essere un quesito giornalisticamente interessante,
perché in quella manifestazione migliaia di ragazzi stavano manifestando
proprio per costringere il governo turco a cessare la guerra ai villaggi curdi
difesi dal PKK. Il fatto che questa organizzazione possa diventare mandante
contro se stessa rivela l'ennesimo tentativo di manipolazione di Erdogan.
E
ancora, in una situazione in cui un paese che vive una sorta di guerra civile
ormai da quest'estate, con la ripresa delle ostilità da parte del governo
contro le città curde in Turchia, che è sfociata nell'impedire ai cittadini
curdi di andare in soccorso ai combattenti contro l'Isis a Kobane, e dopo che
lo stesso PKK ha annunciato di volere unilateralmente cessare le ostilità fino
alle elezioni che si terranno fra tre settimane, il governo turco anziché
stemperare la tensione, butta benzina sul fuoco continuando a bombardare i
villaggi curdi e le postazioni del PKK, implementando lutti e distruzioni...
Le
urla dei manifestanti in tante città turche, si scagliano contro il potere del
sultano, individuando nello slogan "strage di stato" il topic del
tragico evento, ma anche potremmo dire di tutta la questione curda, che
ricordiamolo ha proprio generato la rabbia di Erdogan nel momento in cui in
giugno il partito moderato curdo dell'avvocato dei diritti umani Selahattin
Demirtaş, ha praticamente vinto le elezioni, col suo 13 per cento, impedendo di
guadagnare la maggioranza assoluta al sultano, per poter fare una repubblica
presidenziale e governare ancora più indisturbato.
Intanto,
il sultano continuava ad intervenire sulla libertà di stampa impedendo alle
emittenti televisive turche di mandare in onda le immagini della strage, cercando
addirittura di impedire di mettere dei fiori nel luogo del lutto, innalzando
insomma il livello della tensione affinché, dicono gli osservatori, potesse
gestire col pugno duro la tornata elettorale del primo novembre, che deve a
tutti i costi vincere in modo assoluto, se vuole continuare a regnare per un
altro decennio.
L'Unione Europea stringe un accordo con la Turchia per
trattenere i rifugiati, e al confine con la Bulgaria un uomo afghano viene
ucciso una volta entrato nel paese
L'accordo stretto al summit
europeo di Bruxelles con la Turchia sottoscrive la possibilità di trattenere lì
i rifugiati che cercano di raggiungere i paesi europei, attraverso una sorta di
zona cuscinetto nel nord. La motivazione che la Cancelliera tedesca Merkel ha
espresso possiede i contorni di un'ambiguità tipica della Fortezza Europa. Si
dice infatti che "i migranti dovrebbero essere ospitati più vicino ai loro
Paesi di provenienza piuttosto che mantenerli nei nostri Paesi". In realtà
la cancelliera che fino ad un paio di settimane prima era contraria all'entrata
della Turchia nell'Unione Europea, adesso ha cambiato idea perché il senso del
confine venga rispettato. Se poi un nuovo dittatore bianco viene ammesso
nell'UE che importanza ha...
Sullo sfondo vi è una
situazione complessiva che colpisce... In Turchia infatti, dalla recrudescenza
della guerra in Siria, sono arrivati circa 2.000.000 di rifugiati, molti dei
quali si sono insediati in città e villaggi nel sud del paese, presso la zona
di confine con la Siria. In alcune di queste città il numero dei rifugiati ha
superato quello dei residenti, ma questo non ha causato ne scontri, ne
conflitti sociali. Anzi, come racconta l'inviato dell'Osservatorio Balcani
Caucaso Dimitri Bettoni, molte famiglie turche che lavorano nei campi, hanno
ospitato altre famiglie siriane proponendogli di lavorare insieme a loro. Cosa
diversa a Istanbul, dove le condizioni di vita dei rifugiati sono precarie,
anche perché non esistono programmi di accoglienza, per cui la gente vaga per
le strade cercando di arrangiarsi come può.
Il paradosso è che l'attuale
governo turco, che, come sappiamo, non è certo un esempio di democrazia, pur
non rispettando la convenzione di Ginevra, che impone ai governi sottoscrittori
di accogliere chi scappa da guerre e persecuzioni, è disponibile ad ospitarne
milioni, mentre gli stati europei, litigano per la divisione della quota di
160.000.
Nel frattempo al posto di
confine tra la Turchia e la Bulgaria, che ha anch'essa eretto muri di filo
spinato, nei pressi della città di Sredets, è stato ucciso un rifugiato
afghano, che insieme ad un gruppo di 50 connazionali, una volta riusciti ad
entrare nel paese, sono stati intercettati dalle guardie di frontiera, le quali
hanno sparato colpendo l'uomo. Le autorità bulgare si sono premurate a spiegare
che trattandosi di "migranti illegali" essi cercano di entrare da vie
più perigliose non coperte dalla recinzione.
Mentre l'Organizzazione Internazionale delle Migrazioni emette
gli ultimi dati dei processi migratori in Europa, i rifugiati che scappano
continuano a morire o ad essere respinti
Fino ad adesso nel 2015 sono
oltre 613 mila le persone arrivate in Europa, attraversando il Mediterraneo, e
3117 hanno perso la vita in mare. Una delle ultime tragedie è avvenuta
nell'Egeo al largo dell'isola di Kalymnos: tre bambini ed una donna sono morti.
Intanto l'Ungheria ha murato col filo spinato l'ultimo pezzo di frontiera
rimasta aperta, quella con la Croazia, mentre migliaia di rifugiati si stanno
riversando dalla Serbia in Crozia per raggiungere l'Europa occidentale. Il
governo croato vorrebbe reindirizzare i rifugiati in Slovenia, che ha sospeso
il traffico ferroviario per evitare di gestire la cosa...
In questo contesto viene chiuso
l'accordo non definitivo tra la Turchia e l'Unione Europea. Secondo cui i
rifugiati dovrebbero fermarsi in Turchia con l'apertura di tanti campi profughi
per tre miliardi e passa di euro.
L'autocrate Erdogan,
interessato ad avere mano libera nel suo paese, vorrebbe che la Turchia venisse
riconosciuta come "paese terzo sicuro", per impedire ai cittadini
curdi, che stanno combattendo in Turchia una guerra di resistenza, di chiedere
asilo politico in Europa. Poi ci sarebbe la liberalizzazione dei visti dei
cittadini turchi per l'Europa, carta questa che il dittatore bianco vorrebbe
giocarsi per l'avvicinarsi delle prossime elezioni in novembre, ed infine
l'imminente entrata nell'Unione Europea. Il senso del confine è compiuto...
Fortezza Europa
Mentre
l'Organizzazione Internazionale delle Migrazioni emette gli ultimi dati dei
processi migratori in Europa, i rifugiati che scappano continuano a morire o ad
essere respinti.
Bologna, 17 ottobre 2015 - Fino ad adesso nel 2015 sono oltre 613 mila le
persone arrivate in Europa, attraversando il Mediterraneo, e 3117 hanno perso
la vita in mare. L'ultima tragedia è di qualche ora fa, avvenuta nell'Egeo al
largo dell'isola di Kalymnos: tre bambini ed una donna sono morti. Intanto,
dopo la mezzanotte di ieri l'Ungheria ha murato col filo spinato l'ultimo pezzo
di frontiera rimasta aperta, quella con la Croazia, mentre migliaia di
rifugiati si stanno riversando dalla Serbia in Crozia per raggiungere l'Europa
occidentale. Il governo croato vorrebbe reindirizzare i rifugiati in Slovenia,
che ha sospeso il traffico ferroviario per evitare di gestire la cosa...
In questo contesto viene chiuso
l'accordo non definitivo tra la Turchia e l'Unione Europea. Secondo cui i
rifugiati dovrebbero fermarsi in Turchia con l'apertura di tanti campi profughi
per tre miliardi e passa di euro.
L'autocrate Erdogan,
interessato ad avere mano libera nel suo paese, vorrebbe che la Turchia venisse
riconosciuta come "paese terzo sicuro", per impedire ai cittadini
curdi, che stanno combattendo in Turchia una guerra di resistenza, di chiedere
asilo politico in Europa. Poi ci sarebbe la liberalizzazione dei visti dei
cittadini turchi per l'Europa, carta questa che il dittatore bianco vorrebbe
giocarsi per l'avvicinarsi delle prossime elezioni in novembre.
I cacciatori di confini
Bologna,
20 settembre
2015 - Quello di Röske è uno dei primi campi di raccolta dei rifugiati sorto
con la costruzione del filo spinato che costituisce il muro, voluto dal primo
ministro ungherese Viktor Orbán, al confine tra Ungheria e Serbia. Non estiste
un vero centro abitato: è proprio un campo di concentramento nato nelle scorse
settimane. Lì vi era, fino alla proclamazione della legge entrata in vigore il
15 settembre, sull'arresto di chi è senza documenti, uno dei varchi verso la
Serbia da cui i rifugiati potevano passare. Ora, il rotolo di rete metallica,
quattro metri circa, impedisce la via di fuga.
Il contrasto tra il filo
spinato e i campi di gran turco hanno fatto da sfondo a immagini
raccapriccianti. Da un lato lo smistamento degli esseri umani verso, i treni di
cui uno croato letteralmente sequestrato o i pulman, senza conoscere la
direzione e la meta: verranno portati dentro il campo di concentramento, per
prendere le impronte e poi essere arrestati? Oppure verso il confine con
l'Austria, come la polizia continua a ripetere? A ciò si aggiungono le ambigue
dichiarazioni che rimbalzano tra est ed Europa occidentale incentrate sulla
differenziazione tra migranti economici e richiedenti asilo, perché si continua
ad affermare che attraverso gli esodi epocali che stanno coinvolgendo l'Europa,
si stanno infiltrando persone che non fuggono da guerre e persecuzioni ma
semplicemente dalla povertà...
Poi gli scontri. Scena I: le
sassaiole di gruppi di giovani rifugiati si contrappongono ai lacrimogeni e ai
getti d'acqua dei blindati ungheresi... Scena II: i bambini non ce la fanno e
bisogna prenderli in braccio per sfondare il cordone che la polizia ha
costituito. Si avvicinano lentamente, poi cominciano a premere, fin quando,
sempre con i bimbi sul collo, riescono a sfondare. Qualcuno passa, altri
vengono bloccati, non importa se uomini o donne o bambini...
Ma
c'è un'altra storia che fa da sfondo a quest'ultima, e riguarda un'altra
località di confine, sempre sulla linea tra Ungheria e Serbia. Si tratta di un
villaggio ungherese che si chiama Asotthalom. Anche da quelle parti che la
polizia ungherese va a caccia di migranti in mezzo alla foresta. Una cittadina
di quattromila persone, la cui economia è prevalentemente agricola e il cui
sindaco appartiene al patito Jobbik, al governo insieme ad Orbán. Il punto è
che i jobbik si ispirano al neo-nazismo, in modo chiaro e lampante, tanto che è
stato affisso nella stazione dei bus un avviso alla cittadinanza sul rischio di
contagio dalle malattie dei migranti, corredato da due foto manipolate: un
braccio devastato da piaghe e una persona morta in barella... Sono arrivati al
punto di costruire lo stigma della razza impura...
Se questa è la cronaca, le
considerazioni che ne possono scaturire, per chi ha coscienza del nostro tempo
e della storia, non possono che essere inquietanti. Questo perchè le
istituzioni nazionali ed europee continuano a far rientrare l'azione del
governo Orbán nella categoria dell'egoismo nazionale, mentre i fatti ci dicono
che questa è una nuova forma di fascismo, che racchiude in se i caratteri
tradizionali di questo modello autoritario che l'Europa ha conosciuto bene.
Scrive la giornalista del
Guardian Laurie Penny: "Il fascismo nasce quando una società profondamente
divisa viene spinta ad unirsi contro una presunta minaccia esterna. E' quel
terrificante LORO che dà la falsa impressione che ci sia un NOI da
difendere..." Mentre si prepara un nuovo "asse di ferro" in
salsa euro-asiatica tra Russia, Ungheria e Siria, gli elementi dei fascismi del
XX secolo si ripropongono inequivocabilmente: c'è un olocausto, c'è una
persecuzione, con relative violenze a pezzi di popolazioni, e c'è una
mistificazione, con relativo sovvertimento dei significati della realtà,
attraverso oculate propagande...
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