L'ISLAM DELLA PACE DI ALI

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"Io non ho nulla contro i Vietcong, nessuno di loro mi ha mai chiamato negro"


By Marco Marano

 

Bologna, 4 giugno 2016 - Il risveglio di oggi è sicuramente triste per chi ha amato Muhammad Ali, sapendo che se n'è andato... Al di là di qualsivoglia simbologia il suo modo di stare sul ring si proiettava in tutto quello che faceva fuori dal ring. Combattere e vincere contro un uomo sul quadrato lo hanno fatto in tanti, lo fanno in tanti, lo faranno in tanti... Anche se mai con il suo stile, tale da trasformare uno sport "violento" in un racconto di umanità unico al mondo... E per questo dobbiamo dirgli grazie per averci fatto innamorare della boxe, anche se oggi, per come è ridotto questo sport, si può benissimo disamorarsene...


Ma combattere e vincere fuori dal ring contro tutti, il potere, i media, le grandi holding, i benpensanti lo possono fare in pochi e lui è stato uno di questi... Quando ha sposato l'Islam, cambiando nome; quando è diventato terza icona, insieme a Martin Luther King e Malcom X, dei diritti civili per i cittadini afroamericani, lo ha fatto con un suo messaggio, quello cioè di resistere a tutti i costi per far prevalere le proprie idee...


E così fu quando decise di non rispondere alla chiamata alle armi per il Vietnam. Disse:"Non sono andato in Vietnam perché credo che ognuno abbia il diritto di vivere tranquillo nella propria casa. Non vedo perché uno solo dei neri americani che sono privi della loro terra avrebbe dovuto andare a combattere contro chi stava tentando di difendere la propria terra (...) La mia è una religione di pace, non di guerra..."


Gli costò la sospensione del diritto di combattere e vincere sul ring per il campionato del mondo... Ma lui era il più forte e seppe resistere, e portare avanti le sue idee, tanto che il Congresso americano dovette cambiare la legge sull'obiezione di coscienza. Anche quelle che vennero, in modo errato, etichettate come spacconate, erano il prodotto di una precisa strategia di comunicazione: "Non mi faccio usare dai media, sono io che uso loro..."

Dopo di che, il 30 ottobre del '74, il mondo assistette al più grande incontro di boxe della storia, non al Madison Square Garden, simbolo del pugilato mediatico e corrotto, ma in Africa a Kinshasa, dove demolì per KO un altro dei più grandi di tutti i tempi, George Foreman, conquistando per la seconda volta il campionato del mondo dei pesi massimi. Se qualcuno che non lo conosce volesse capire Muhammad Ali, e ciò che è stata la boxe fino a quel tempo, dovrebbe guardare quell'incontro e comprendere come ci si arrivò...

Per circa un mese un intero popolo, ma forse l'intero continente africano, si sentì padrone del mondo. L'incontro venne spostato di tre settimane per un piccolo infortunio di Foreman, e l'allora presidente dello Zaire, poi Repubblica Democratica del Congo, il dittatore Mobutu,, non li fece partire temendo che il match saltasse. E il popolo si strinse attorno ad Ali in modo ancora più forte. Poi venne il fatidico giorno. Per sette round Ali attese alle corde Foreman facendosi colpire, tattica finalizzata a stancare l'avversario. All'ottava ripresa, quando sembrava che il match fosse compromesso, Ali uscì dalle corde e con una scarica di colpi dalla velocità impressionante mise knock-out l'avversario, mandando in visibilio oltre centomila persone venute ad acclamarlo.

Per tutto questo è stato il più grande di sempre sul ring, per tutto questo è stato uno dei più grandi del ventesimo secolo, al punto che riscoprire il suo Islam farebbe bene a tanti convinti che quella sia una religione di odio, a causa del terrorismo internazionale...


Addio Muhammad, riposa in pace e grazie di tutto...
 
 
 


 
 
 


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