Accerchiata l’indipendenza del popolo kurdo


di Marco Marano

Il referendum sull’indipendenza del Kurdistan iracheno si è chiuso sotto la minaccia interna ed esterna.

Bologna, 26 settembre 2016 – Si è svolta ieri la consultazione referendaria sull’indipendenza del Kurdistan iracheno, attualmente regione autonoma nel nord del paese, sotto l’egida di Bagdad. Si sono recati al voto, nei 12.072 seggi, circa 5,2 milioni di aventi diritto, cioè il 72 per cento.  I risultati si dovrebbero conoscere in giornata, ma dalle prime indiscrezioni sembra che i “SI”, i favorevoli alla secessione dall’Iraq, si aggirino intorno al 93 per cento. La consultazione referendaria, lanciata nel giugno di quest’anno da Massoud Barzani, ufficialmente consigliere del Presidente iracheno per la regione autonoma e leader del PDK, il partito democratico del Kurdistan, si è svolta nel contesto di una guerra regionale, quella siriana, ma anche a ridosso delle nuove elezioni politiche irachene. Ciò si è tradotto in una sorta di accerchiamento dei paesi limitrofi: Turchia e Iran hanno inviato truppe ai confini, ma la stessa Iraq ritiene il referendum illegale.


Nessun riconoscimento

Barzani lo aveva dichiarato subito che il referendum non poteva che essere consultivo, quindi non avrebbe portato meccanicamente alla secessione dell’autonomia kurda dall’ Iraq. Nella sua strategia questo è semplicemente il primo passo per avviare un negoziato con Bagdad, che nel giro di un paio d’anni porterebbe i kurdi a staccarsi dall’Iraq. Ma il primo ministro iracheno Haydar al-'Abadi ha subito messo i puntini sulle i: “Non discuteremo né avremo dialoghi sui risultati del referendum, perché esso è incostituzionale. Intanto ieri quel pezzo di territorio ha visto vari eserciti girargli intorno, non soltanto le truppe irakene all’interno verso Kirkuk, la città contesa poiché zona molto ricca di risorse naturali come il petrolio, ma anche nei confini limitrofi. Turchia e Iran, nemici per la pelle da sempre, sulla questione kurda hanno trovato una nuova amicizia.


Le questioni interne

Il governo di Bagdad ha accusato Barzani di voler sviare l’attenzione sulle criticità legate a quel territorio: "La maggior parte dei problemi della regione sono interni e non con Baghdad, e la separazione non farà che aumentarli… I problemi economici e finanziari della regione sono il risultato di corruzione e cattiva amministrazione". In tal senso molti osservatori hanno inteso nella mossa di Barzani un tentativo di restare ancora al centro della scena, nella fase discendente della sua carriera.


Saltate le tradizionali partnership


Barzani ha oggi contro tutti quelli con cui in questi anni ha fatto affari e creato partnership, vedi ad esempio la Turchia. Questo perché l’autonomia regionale kurda in Iraq in passato ha garantito un po’ tutti sulla possibilità di contenere le mire indipendentistiche nella regione. Ricordiamo che il Kurdistan in origine è un immenso territorio mesopotamico di un popolo che non ha mai avuto uno Stato, e che si spinge proprio dentro i paesi limitrofi: sud-est della Turchia, nord-ovest di Iran, nord di Iraq, nord-est della Siria, sud dell’Armenia. Le etnie che la abitano sono a maggioranza kurda, con la presenza di varie minoranze: arabi, armeni, assiri, azeri, yazidi, ebrei, osseti, persiani, turchi e turcomanni.


La questione kurda

La questione kurda nasce alla fine della prima guerra mondiale con la morte dell’impero ottomano e le persecuzioni del padre della patria turco Ataturk, il quale con il trattato di Losanna del 1923 impose il dissolvimento territoriale kurdo. Un secolo di lotte e rivendicazioni, che nel 2005, in seguito alla nuova costituzione federale irachena, sfociarono verso un’autonomia regionale tanto agognata. Poi con la guerra, il territorio kurdo nel nord della Siria a confine della Turchia, dove le milizie kurde scacciarono l’Isis, in quella fase finanziata dalla Turchia, nacque la nuova regione autonoma cantonale del Rojava, su cui si sta preparando la nuova Federazione del nord della Siria.


Lo status quo che conviene a tutti

Dopo quasi un secolo, dunque, si ripropongono gli stessi temi di sempre che riguardano il popolo kurdo nel contesto della logica impazzita di alleanze trasversali o asimmetriche, importate dal conflitto siriano. Si, perché l’alleanza tra la sunnita Turchia e la sciita Iran, fotografa le dinamiche regionali. Erdogan andrà a Teheran il 4 ottobre ad incontrare il Presidente Rouhani. Il loro obiettivo è il ristabilimento dello status quo, sia per impedire che prendano corpo istanze indipendentistiche nei rispettivi paesi, visto anche il focolaio del Rojava, ma soprattutto per lasciare le cose come sono state in questi anni. L’Iran vuole garantire la sopravvivenza dei clan sciiti, mentre la Turchia vive il sogno neo-ottomano di un’area dominata dal sunnismo: due mire contrapposte per un unico obiettivo, cioè impedire la nascita di una nazione kurda.


L’esempio del Rojava


Così come nel Kurdistan iracheno anche in Rojava i tratti caratteriali dei territori kurdi che combattono per l’indipendenza si caratterizzano per il rispetto delle minoranze, sia dal punto di vista culturale che linguistico. In più in Rojava il modello di democrazia dal basso, con il protagonismo delle istanze femminili, rappresenta un laboratorio unico nel panorama mediorientale. E passo dopo passo il sistema pubblico aggiunge pezzi al suo mosaico. Nell’ultimo mese sono state organizzate le elezioni per i co-presidenti provinciali e la nascita di un sistema di difesa strutturato con l’attivazione dei corsi dell’accademia militare, funzionale alla costruzione di un esercito regolare per quella che sarà la Federazione del Nord della Siria.


Credits AFP. AP, Getty Images, Reuters, Al Jazeera, ARA News


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