Le guerre siriane fra stragi di innocenti e affermazione di libertà

RADIO CENTO MONDINOTIZIE DAL ROJAVA

Aleppo e Raqqa rappresentano le due città siriane dove si combattono guerre diverse ma con effetti simili a causa delle stragi di civili: la prima per mano russa e la seconda per mano turca.

By Marco Marano

Bologna, 30 settembre 2016 – Ci sono due modi per raccontare il conflitto bellico in Siria. Anzi potremmo dire che ci sono due città siriane che raccontano in modo diverso quello che sta avvenendo in questo paese. Aleppo e Raqqa sono i due volti di guerre parallele che hanno presupposi assai diversi nel quadro degli eventi mediorientali, dove cinque anni di guerra hanno provocato quasi mezzo milioni di morti e 11 milioni di rifugiati… Ambedue sembrano scivolare nell’oblio informativo delle opinioni pubbliche occidentali.

Aleppo è la rappresentazione della città martoriata. Solo nell’ultima settimana ci sono stati 96 bambini morti e 223 feriti, mentre nelle ultime due settimane 500 sono state le vittime civili. Manca il pane, l’acqua, i bambini bevono tra la melma e si ammalano, ma non possono essere curati perché mancano medici e medicinali. Gli ospedali sono stati distrutti. La città è divisa in due: la parte orientale è controllata dai cosiddetti “ribelli”, tra cui confluiscono gruppi di varia natura anche afferenti al jihadismo. Tutti comunque sono considerati terroristi dall’esercito di Assad e dalla Russia, che controllano la parte occidentale, e i quali bombardano indistintamente, massacrando la popolazione. Sono considerati terroristi anche quelli armati dagli Stati Uniti, e dai paesi sauditi per combattere il regime. Perché il dittatore Assad, tranne l’Iran e gli Hezbollà,  non lo vuole più nessuno, anche se prima della guerra erano amici…

Quindi la domanda ricorrente è: ma cosa sarà la Siria dopo Assad? Anzi, cosa sarà la Siria se Assad dovesse essere sconfitto? Nessuna delle Nazioni mediorientali e occidentali hanno un'idea in proposito. Gli unici che lo sanno, e lo hanno sempre saputo, da quando hanno preso le armi in pugno per abbattere l’Isis, e sembra che ci stiano riuscendo, sono le organizzazioni del popolo kurdo, che ha già creato la Federazione del Nord della Siria, quel Rojava che, dalla liberazione di Kobane in poi, mentre combatteva, pensava ad una graduale ricostruzione del sistema politico in regioni confederate, organizzate in cantoni e non in circoscrizioni etniche differenziate. E così ha fatto. Tanto che si è arrivati al punto di avviare il censimento demografico per poter realizzare le prime elezioni libere, al di là del fatto che il dittatore siriano sia ancora al potere o meno…

E qui entra di scena l’altra città che racconta una storia diversa rispetto ad Aleppo: Raqqa. Essa è ancora nelle mani dell’Isis; rispetto alla presenza militare dell’organizzazione jihadista in Siria è sempre stata considerata la sua roccaforte. Ma le organizzazioni militari kurde YPG e SDF sono pronte a sferrare l’attacco finale, supportati dagli Stati Uniti che sono intenzionati a fornirgli le armi per garantire il successo. Ma questa volta i kurdi pongono una condizione. Mercoledì un dirigente del movimento di liberazione, Hanifa Hussein, ha chiesto ufficialmente che venga accettato e legittimato il progetto confederale portato avanti, consentendo alla YPG di partecipare ai colloqui di pace di Ginevra… 

Si perché le uniche forze sul campo che stanno sconfiggendo l’Isis non sono state ammesse a Ginevra, questo perché la Turchia del sultano Erdogan si è opposto. Per lui i kurdi sono terroristi e li sta aggredendo sia dentro casa che in Siria, spaventato dalle mire di libertà e autonomia regionale che il popolo kurdo invoca da un secolo. Così il suo esercito, questa estate, è entrato in Siria e anziché sparare contro l’Isis indirizza le sue armi proprio contro le organizzazioni militari kurde. Sempre mercoledì nove civili, sei bambini e tre donne,  sono stati uccisi e molti altri feriti in un attacco di artiglieria turca a Kahila cittadina nei pressi della città di confine siriano di Tel Abyad, liberata dal YPG, causando enormi danni alle abitazioni.

In un comunicato l’organizzazione militare ha accusato la Turchia di minare i progressi dell’azione militare kurda contro l’Isis: «Le forze turche stanno prendendo di mira civili innocenti con il pretesto della lotta al terrorismo. Tuttavia, non permetteremo alla Turchia di continuare con tali violazioni della frontiera. Siamo pronti a rispondere e faremo tutto il possibile per fermare questa offensiva contro il nostro popolo».

Ma c’è di più. Tel Abyad è praticamente a 90 chilometri da Raqqa e la sua riconquista ha rappresentato un pesantissimo danno per l’ISIS. Ma da quel momento l’YPG è stata attaccata sia dallo Stato Islamico che dalla Turchia. Habun Osman è un ufficiale della struttura militare, intervistato da ARA News ha affermato: «Prima che le forze YPG-SDF riconquistassero Tel Abyad, all’inizio del 2015, l’Isis utilizzava questa città come un incrocio per esportare il suo petrolio nel mercato nero turco. Infatti quando aveva il controllo della città la Turchia non l’ha mai attaccata. Ora che Tel Abyad ce l’abbiamo noi, l'esercito turco continua a spararci addosso…»

Fonte ARA News

Credits ARA News, AFP



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