mercoledì 30 novembre 2016

L’ultima resistenza nella Nazione Sioux

Un oleodotto minaccia le falde acquifere dell’antica riserva dei nativi

Radio Cento Mondi Dissent


by Marco Marano

Bologna, 30 novembre 2016 – Standing Rock è una delle sei riserve rimaste dell’antica Nazione Sioux, che accoglie anche la tribù dei Lakota. Raggruppa i territori posti tra nord e sud Dakota, a ovest del Missouri che comprende la montagna sacra delle Black Hills o Pahá Sápa in lingua lakota, per una superficie di quasi 10mila chilometri quadrati. I diritti del popolo nativo su questa terra sono stati sanciti dal trattato di Fort Laramie del 29 aprile 1868, ratificato dal Congresso americano, e parlano esplicitamente di competenze di questi su tutte le terre della riserva, compresi i corsi d’acqua e i diritti di passaggio.

Ma la storia insegna che quella dei nativi americani è una delle vicende tra le più drammatiche del continente, con massacri, deportazioni, ingiustizie, repressioni che sono continuate anche dopo la costituzione delle riserve, attraverso ulteriori leggi che andavano a togliere diritti e spazi, e le rivendicazioni, le battaglie per la sopravvivenza. E così, anche nel XXI secolo, la gloriosa Nazione Sioux non poteva non subire l’ennesimo attacco, proveniente da un raggruppamento di aziende nazionali e multinazionali dell’energia, che hanno pensato bene di costruire un oleodotto per trasportare greggio dal nord Dakota all’Iowa fino all’Illinois.

La loro idea è quella di ammortizzare i costi per spostare il greggio dal “Bakken Formation”, in nord Dakota dove viene estratto, per smistarlo ai principali mercati, al fine di sostenere più efficacemente la domanda interna. Il progetto si chiama “Dakota Access Pipeline” (DAPL), un opera da quasi 4 miliardi di dollari, per poter trasportare 470.000 barili al giorno, cioè circa la metà della produzione di greggio giornaliero di Bakken. In questo modo sarebbe possibile l’accesso a più mercati, compresi il Midwest, la costa orientale, la costa del Golfo tramite l'impianto terminale di petrolio greggio di Nederland, in Texas, presso la Sunoco Logistics, società controllata dal capofila del progetto, la “Energy Transfer Partners” di Dallas. Gli altri attori di questo cartello di aziende sono la “Phillips 66”, multinazionale dell’energia con sede a Huston in  Texas, attiva in 65 paesi. Poi c'è la “Enbridge Inc”, società di fornitura di energia con sede a Calgary in Canada, ed infine la “Marathon Petroleum Corporation”, società di raffinazione del petrolio dell’Ohio.

Il punto dolente è che questo oleodotto, lungo duemila chilometri, passerebbe sotto la terra dei nativi, a Standing Rock appunto, rischiando di compromettere le falde acquifere per quelle 4100 persone che vi abitano, oltre a mettere a repentaglio i siti culturali. A questo il cartello Dakota Access risponde che un progetto simile genererebbe migliaia di posti di lavoro e oltre 40 milioni di dollari in termini di gettito fiscale per il nord Dakota.

Questa storia sembra davvero un modello esplicativo del nostro tempo poiché attraverso il ricatto delle multinazionali di generare lavoro e reddito statuale si è disponibili a distruggere la vita di un popolo e l’ambiente circostante… E’ il tema dominante del neo-liberismo. Fatto sta che attorno a questa tragedia annunciata negli ultimi due mesi si è creata una solidarietà straordinaria da parte di tutte le popolazioni native americane e non solo ovviamente. Migliaia di persone si stanno recando nella riserva indiana nel Dakota, dove è stato costruito un vero e proprio accampamento di protesta, provenienti dal Maine e dall’Arizona, per manifestare e fare resistenza al progetto. Naturalmente questo è stato mal digerito dal cartello che attraverso un piccolo esercito privato è intervenuto con spray orticanti e cani d’assalto, diciamo così, per disperdere i manifestanti. La medesima cosa che sta facendo la polizia, aggiungendo pallottole di gomma e granate assordanti, con il risultato di 120 arresti fino ad adesso.

Tanto che persino il celebre cantautore Neal Young, oltre ad essersi recato sul luogo per fare un concerto di sostegno alla causa, ha inviato una lettera al Presidente Obama chiedendogli di mettere fine alla repressione poliziesca nei confronti di manifestanti pacifici: “Migliaia di persone hanno aderito alla campagna in difesa dei diritti dei nativi, ma la reazione della polizia è stata violenta. Gli agenti hanno usato pallottole di gomma e idranti contro i manifestanti, causando centinaia di feriti. Almeno venti persone sono state ricoverate in ospedale”.

A sostenere le azioni di protesta, inoltre, sono arrivati un centinaio di ex marines nativi proprio per difendere dalla violenza della polizia il proprio popolo, attraverso una sorta di milizia disarmata, che il 4 dicembre potrebbe intervenire, poiché è il giorno previsto per lo sgombero dell’accampamento e l’arresto di tutti coloro che vi si opporranno. Ma non sarà la polizia a farlo, addirittura è già arrivato l’esercito provvisto di carri armati, e visto che nessuno è disposto a fare un passo indietro, si preannuncia una giornata di violenza… Ma a questo la Nazione Sioux c’è abituata da sempre…



Fonti: standingrock.org, il manifesto, The Guardian, documentali
Credits: AFP





lunedì 28 novembre 2016

Quelli che chiamano Fidel dittatore

Radio Cento Mondi Dissent

Conosciamo i nuovi servi della gleba della società borghese

by Marco Marano

Bologna, 28 novembre 2016 - Abbiamo scoperto, dopo la morte di Fidel Castro, una nuova categoria sociale. Sono coloro che, assecondando la protervia della cultura borghese, confondono la resistenza all'omologazione capitalistica con una "dittatura". Essi sono afflitti da una patologia indotta di tipo occidentale… I nuovi servi della gleba della società borghese non sono i poveri, i proletari, gli indigenti, essi piuttosto ne sono vittime. I nuovi schiavi  sono invece coloro  che sbranerebbero il vicino di casa per salvaguardare le comodità consumistiche, convinti di vivere in una democrazia, perché hanno la possibilità di votare mentre, in realtà, rappresentano il meccanismo di un regime oligarchico, fondato sull'interesse privato. Sono carne da macello di un sistema dove se hai una famiglia ben posizionata riesci a campare, viceversa sei un niente...

Beh, la rivoluzione castrista ha dimostrato che qualcosa di diverso è possibile, anche se in un processo rivoluzionario, attaccato dall’intero sistema capitalistico mondiale, ci sono delle ombre… Il fatto che quelle ombre, molto spesso manipolate, come ad esempio la storia della persecuzione degli omosessuali, diventino la chiave di lettura dei nuovi servi della gleba, la dice lunga in quale direzione questo nuovo secolo sta andando…

Ora, fintanto che un Gramellini qualsiasi, tanto per fare un esempio, stipendiato dalla Fiat, che diciamolo è una sintesi di banalità e luoghi comuni impressionanti, ostenti su Rai 3 la parola “dittatore” ci può pure stare, dato che il suo lavoro è proprio quello obnubilare l’ambient culturale. Quello che preoccupa è l’incapacità di discernimento delle nuove generazioni afflitte dalla necessità di raggiungimento di uno status socio-economico, senza rendersi conto che gli hanno sottratto la dignità di cittadini, partendo dalla contrazione degli spazi pubblici di partecipazione in poi…

Dice il filosofo Jacques Rancière, autore del "Maestro ignorante" e del "Disaccord", punto di riferimento del movimento francese Nuit Debut: "La Loi Travail è apparsa come il culmine di tutto un processo di privatizzazione dello spazio pubblico, della politica, della vita… Ma noi siamo ora al termine di una grande offensiva che alcuni definiscono neo-liberale e che io chiamerei piuttosto offensiva del capitalismo assoluto, che tende alla privatizzazione di tutti i rapporti sociali e alla distruzione degli spazi collettivi in cui due mondi si affrontavano. Contro questa privatizzazione e individualizzazione è nato un desiderio un po’ astratto di comunità, che ha trovato, per materializzarsi, l’ultimo luogo disponibile, la strada..." 

Democrazia, diceva un famoso cantautore, è partecipazione, laddove questa viene a mancare quella di cui si parla è solo l’illusione della democrazia, funzionale agli interessi delle oligarchie finanziarie, dei tecnocrati, delle oligarchie politiche che massimizzano profitti: fare il parlamentare in Italia è un gran bel business, sia in relazione agli stipendi che ai vitalizi ma soprattutto alle rendite di posizione politico-finanziarie. E’ così che ormai da generazioni il bene pubblico, mission del sistema politico, è stato sostituito con l'interesse privato… Infatti i luoghi di decisione prima che essere i parlamenti sono le consorterie massoniche, dove poter difendere lo status quo: il dieci per cento della popolazione ha in mano il sessanta per cento delle risorse economiche, in Italia. In Brasile invece è l’uno per cento a possedere il sessanta per cento delle risorse… E l’esempio non è casuale, poiché lì, dopo un decennio di riscossa dei più deboli, tramite le presidenze del partito dei lavoratori, mediante un golpe istituzionale, fomentato da un parlamento dove i due terzi sono inquisiti per reati vari, dall’omicidio alla corruzione, le grandi consorterie economiche, appoggiate dagli USA e da tutto il capitalismo occidentale, hanno ripreso il controllo del potere, ritornando ad affamare il proprio popolo. Ma di questo al servo della gleba europeo, che chiama dittatore Fidel, non gliene frega proprio niente, tanto in Brasile ci va per scopare le ragazzine…

Come non gliene frega niente di chi fugge da una guerra e cerca riparo in un continente di 500 milioni di abitanti, come l’Europa, che magari su quella guerra ci ha pure speculato, vendendo armi, gestendo petrolio e colonie economiche, facendo affari con dittatori veri che deprivano il proprio popolo, smistando i capitali nei conti off-shore. Ma quelli, i dittatori africani e mediorientali, sono funzionali agli interessi del capitalismo occidentale, quindi se massacrano Giulio Regeni ecchisenefotte!

Oppure se i rifugiati vengono messi nelle mani di spietati autocrati come Erdogan, dandogli milioni di euro, il quale imprigiona giornalisti, deputati dell’opposizione, professori universitari, esponenti delle ONG, e via discorrendo, ecchisenefotte! O ancora, che dire di tutte le famiglie italiane e migranti che non hanno di che campare e vanno ad occupare stabili in disuso nelle città italiane, di proprietà comunale, che vengono sgomberati a manganellate in nome della legalità, perché quegli stabili anziché costituire un nuovo modello di convivenza sociale su cui investire, devono essere messi a mercato per fare cassa: ecchisenefotte!

Ancora Jacques Rancière: "L’occupazione, un tempo, aveva il suo luogo privilegiato nella fabbrica, dove la comunità operaia affermava il proprio potere sul luogo e sul processo al cui interno subiva il potere padronale e faceva così di quel luogo privato uno spazio pubblico. Essa si pratica oggi nelle strade, nelle piazze, come negli ultimi spazi pubblici dove si può essere in comune, discutere e agire in comune... "


Cari nuovi servi della gleba borghesi, che chiamate Fidel dittatore, aprite le vostre menti e smettetela di fare gli schiavi… Se poi volete comprendere veramente chi era Fidel vi possiamo consigliare due letture: Eduardo Galeano da “Specchi” e Lia De Feo da “Omaggio a Fidel”.


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sabato 19 novembre 2016

La Turchia legalizza il medioevo: si allo stupro delle bambine se vengono sposate


NEWS VALUES

La legge del partito di maggioranza Akp del presidente sultano Recep Tayyip Erdogan si propone di legalizzare la pratica delle spose bambine, legittimando sopraffazione e stupro deomestico nei confronti dei minori


by Marco Marano


Bologna, 19 novembre 2016 – E' difficile scrivere una notizia simile, come anche leggerla. Difficile pensare che in un paese della NATO, partener privilegiato dell'Unione Europea sulla gestione dei rifugiati, che comunque della barbarie autoritaria e liberticida ne ha fatto già una prassi, si possa arrivare a tanto... E' passata in prima lettura parlamentare il testo di legge sulla depenalizzazione della violenza sessuale nei confronti delle minorenni. Questo significa che se un uomo stupra una ragazzina, nel caso in cui la sposasse, non incorrerebbe in una condanna penale. La legge, che tornerà in discussione martedì prosssimo, vede la ferma opposizione degli altri partiti: dal socialdemocratico Chp al nazionalista Mhp. In aula non sono più presenti i rappresentanti del partito kurdo Hdp, per protesta contro gli arresti indiscriminati del leader Selahattin Demirtaş con altri 13 deputati, perpetrati nella settimana passata.


La pratica delle spose bambine è largamente diffusa in Turchia e questa legge la aggraverebbe ulteriormente. Non solo. L'aspetto più raccapricciante è la motivazione che ha indotto il regime autoritario turco ad imporla. Queste le parole del primo ministro Binali Yildirim: “Ci sono uomini che hanno sposato una minorenne. Non conoscono la legge, allora fanno dei figli, il padre finisce in carcere e i bambini restano soli con la madre. Abbiamo individuato 3000 famiglie di questo tipo. La legge serve per eliminare questa vittimizzazione una volta per tutte”.


Legittimazione dello stupro, sviluppo della prassi delle spose bambine, finalizzate a sospendere processi e condanne per abusi sui minori fino al 16 novembre di quest'anno. Nelle strade di Istanbul, città cosmopolita dalle forti tradizioni laiche, messe a dura prova dal governo autoritario sunnita, le donne sono scese a protestare, anche se poco varrà ad impedire che l'abominio venga istituzionalizzato...


Fonti: Ansa, Euronews

Credits: Reuters






giovedì 17 novembre 2016

La vendetta delle donne yazide contro l’Isis

Le donne della minoranza kurda si trovano in prima linea a combattere tra l’Iraq e la Siria al fine di liberare le loro “sorelle” ridotte in schiavitù nei due anni di occupazione jihadista

Notizie dal Rojava


by Marco Marano

Bologna, 17 novembre 2016  –  Sono state rapite, stuprate, schiavizzate, vendute nel mercato pubblico di Mosul, bruciate vive, massacrate e seppellite nelle fosse comuni. Hanno urlato il proprio dolore per essere state allontanate dai figli, usati come scudi umani. Hanno pianto i loro mariti e familiari trucidati. Adesso, nel quadro della guerra siriana, urlano la loro rabbia e invocano la vendetta, che da un anno preparano nascoste tra le montagne del Sinjar, nel nord-ovest dell’Irak, a 160 chilometri da Mosul, la cui principale città, Shengal, fu scenario, nell’estate del 2014, di un vero e proprio massacro collettivo da parte dell’Isis nei loro confronti. La città fu liberata nel novembre 2015 dai peshmerga insieme ai combattenti del PKK di Abdullah Öcalan, ma molti villaggi della catena montuosa del Sinjar  rimasero sotto occupazione del califfato. Difficile calcolare allo stato attuale il numero delle vittime: tra le 15.000 e le 20.000 unità.

La notizia arriva dal KJK, “Komalên Jinên Kurdistan” (Comunità delle donne del Kurdistan), che fa riferimento al Movimento di liberazione delle donne del Kurdistan e di lotta universale delle donne, che in un comunicato emesso ieri annuncia l’inizio delle operazioni militari su tutti i villaggi adiacenti alla catena montuosa. L’organizzazione militare che si sta posizionando nei luoghi strategici si chiama YJS, Unità delle Donne di Sinjar, organizzate ed addestrate proprio dal PKK subito dopo il massacro di Shengal, per rafforzare la resistenza yazida degli epigoni uomini YBS (Unità di resistenza del Sinjar), proprio quando si trattò di riprendere la città.



Ma questo non è tutto, perché uno dei più importanti luoghi strategici delle combattenti YJS è la Tal Afar che si trova tra Mosul e Raqqa in Siria. Questo perché nella fuga dell’Isis tra le due città sono state deportate tantissime donne yazide ridotte in schiavitù. In tal senso, risuona la dichiarazione di una ufficiale delle YJS: «Non abbiamo dimenticato quelle donne yazide vendute nei mercati di schiavi a Mosul  o bruciate vive. Sappiamo che molte sono ancora prigioniere dell’Isis, e ci aspettano per essere salvate. Noi non ci fermeremo fino a quando tutte saranno libere, fino a quando non ci vendicheremo…».

Ma la guerra che le donne yazide stanno combattendo, prima che da esigenze militari, parte da una visione ideologica del ruolo delle donne, che ha preso forma il 25 settembre scorso con la nascita del Movimento delle donne libere yazide, in seguito alla seconda Assemblea delle donne di Shengal. Nella dichiarazione d’intenti, la prima motivazione che si legge è la seguente:  Per allargare la lotta sulla libertà delle donne, contro le strutture di potere patriarcali e sviluppare una organizzazione sociale democratica e libertaria basata sulla forza di se stesse e la volontà…


Fonti e credits: ANF News, ARA News, independent.co.uk





venerdì 11 novembre 2016

Con la presidenza americana d’ispirazione fascista si preannuncia la fine della causa palestinese e kurda

La falsa rappresentazione anti-establishment di Donald Trump, miliardario legato alla lobby delle armi e agli apparati di sicurezza interni, determinerà un ritorno indietro di trent’anni delle cause di libertà dei due popoli senza Stato, mentre nelle città americane scoppia la protesta.

by Marco Marano



Bologna, 11 novembre 2016 – Se c’è un elemento sconcertante nell’elezione a presidente americano di un uomo che si ispira al fascismo, è il fatto che esso sia passato, anche da certa sinistra “confusa ma felice”, come un politico anti-establishment. Se l’elezioni fossero state effettuate prima che il direttore FBI denunciasse lo scandalo delle email, poi ritirato sapientemente un giorno prima che si aprissero le urne, la candidata democratica avrebbe vinto a mani basse, visto il margine enorme guadagnato. In realtà la Clinton in termini di voti elettorali le elezioni le ha vinte con quasi 300.000 voti in più di Trump, ma per la particolarità del sistema elettorale, costruito sui grandi elettori, è stata sconfitta, come fu per Al Gore.

Al di là della volgarità nella campagna, questa in realtà è stata pianificata sulle attività spionistiche sia di FBI che di NSA, cioè dei due apparati americani di sicurezza interna, per cui pensare che Trump sia anti-establishment  è una sacrosanta idiozia. E ancora, la lobby delle armi, tra le più potenti in America, che adesso può glorificarsi, non rientra nell’establishment? E che dire della sciocchezza che d'ora in poi l’isolazionismo di Trump metterà fine alle guerre? L’industria bellica americana è quella che fattura di più, come farebbe viceversa a far girare i soldi? Dalla seconda guerra mondiale in poi gli Stati Uniti, attraverso i conflitti bellici, hanno potuto imporre la loro supremazia ed il loro imperialismo politico ed economico sul mondo… Per cui la politica estera americana, che sia democratica o repubblicana, non può cambiare per definizione, anche perché il sistema di alleanza, soprattutto in Medio Oriente, con paesi aggressivi come l’Arabia Saudita, di cui la Clinton era sicuramente in estrema empatia, garantiscono il controllo sul petrolio e quindi sull’intera regione.

E che dire dei “diritti” a cui il presidente fascista non è certo sensibile. La riforma sanitaria americana, l’Obamacare, con la possibilità di salvaguardare anche i migranti non in regola, verrà naturalmente smantellata, per tornare a quella dimensione iperliberista della protezione sociale per reddito, recuperando i soldi per abbassare le tasse al ceto medio e alle imprese... Quindi chi ha un reddito tale da comprarsi un’assicurazione, avrà la possibilità di curarsi…  Trump anti-establishment?

Ma quello che inquieta e fa rabbia riguarda le due grandi cause di libertà di due popoli, che in qualche modo con i governi democratici, seppur nelle ambiguità delle logiche imperialiste, venivano salvaguardate: i palestinesi e i kurdi. Per ciò che concerne i primi, quello che si preannuncia sarà un ritorno indietro di almeno trent’anni, dato che nei programmi di Trump c’è il passaggio dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, come a significare che quella è unicamente una città israeliana. A ciò si aggiunga l’affossamento dell’obiettivo di "due territori due stati", dato che i coloni ebrei in Cisgiordania sono ben visti dal nuovo presidente americano. Ciò significa che è l’inizio della fine per la striscia di Gaza…


Infine la causa kurda, tra il sud della Turchia ed il Rojava, nel nord della Siria, cioè la nuova confederazione democratica che ha messo insieme kurdi, assiri e armeni con una formula cantonale, dove il potere esecutivo sta dentro i comitati territoriali di quartiere. Una causa combattuta dagli eserciti di donne e uomini kurdi proprio dentro il conflitto siriano. Una guerra dove è entrato il sultano dittatore turco Erdogan per annientare il popolo kurdo sia in Turchia che in Rojava. Beh, se la Clinton aveva specificatamente dichiarato il sostegno al popolo kurdo, il nuovo presidente americano, non si è ancora espresso sul Medio Oriente, ma lo ha fatto su Erdogan, esprimendogli la sua simpatia e vicinanza… Alla faccia dell’anti-establishment…



L'unica nota positiva in tutta questa triste vicenda è il risveglio delle proteste giovanili in tante città statunitensi, persino con scontri e arresti a New York, addirittura sono state bruciate le bandiere americane, cosa che non accadeva dai tempi della guerra nel Vietnam, al grido "non sei il mio presidente". Se all'elezione di un presidente americano fascista corrispondesse la nascita di un movimento e di una coscienza collettiva che  potesse contagiare anche l'Europa, potremmo dire che non tutto è perduto...




Credits Reuters


Official Site

venerdì 4 novembre 2016

Continua la repressione turca contro i kurdi: arrestati tredici parlamentari


Notizie dal Rojava

Il presidente turco  Erdogan continua la sua opera di repressione nei confronti delle organizzaioni kurde sia in patria che sul campo di battaglia siriano


by Marco Marano

Bologna, 4 novembre 2014 – La dura repressione che il governo di Ankara sta conducendo nei confronti del popolo kurdo, tra il sud della Turchia e il nord della Siria, ormai è inarrestabile. In una settimana sono stati incarcerati i due sindaci di  Diyarbakir, considerata la capitale tra le città a maggior insediamento kurdo nel sud della Turchia. E’ questa la città tenuta sotto assedio, nei mesi passati, che ha provocato la morte di tanti civili rimasti dentro le loro abitazioni trasformate in macerie dai cannoneggianti turchi.

Durante la settimana sono stati arrestati 13 deputati kurdi, presenti nel parlamento turco, appartenenti al partito HDP, Partito Democratico dei Popoli, e proprio oggi la stessa sorte è toccata al leader, Selahattin Demirtaş. Le accuse nei loro confronti sono tra le più svariate: si sono rifiutati di subire un interrogatorio sul PKK, il partito dei lavoratori kurdi, considerato terrorista dal governo turco; poi le manifestazioni di protesta nell’ottobre del 2014, poiché nell’estate di quell’anno Kobane, capitale morale del Rojava, era sotto assedio dall’Isis ed il regime di Erdogan bloccò le frontiere per impedire che i cittadini kurdi della Turchia andassero in soccorso dei loro fratelli. Per quelle proteste, adesso Erdogan ha chiesto il conto, dopo cioè aver eliminato l’immunità parlamentare, anche perché quello di Demirtaş è il terzo partito  del parlamento turco, con 59 deputati…

Due dei parlamentari, Tuğba Hezer e Faysal Sarıyıldız, essendo all’estero, non sono stati raggiunti dalle forze di polizia turche. I mandati sono stati emessi dagli uffici dei pubblici ministeri di cinque città kurde del sud appunto: Diyarbakir, Sirnak, Hakkari, Bingöl e Van. Questi sono i capi d’accusa formalizzati dalla magistratura: “responsabili di formare una organizzazione finalizzata a commettere crimini, fomentando la propaganda terroristica, l’aperta istigazione e la denigrazione contro lo Stato, il governo, la magistratura, i militari, e le forze di sicurezza della Repubblica di Turchia. Attività queste volte ad interrompere l’unità dello Stato e l’integrità del paese, lodando crimini e criminali.”

In realtà Demirtaş e gli altri parlamentari stanno da anni conducendo aspre battaglie denunciando la corruzione del regime di Erdogan e la spietata repressione, che ha un principio di continuità sulla striscia di confine con la Siria, soprattutto quando l’Isis era partner dichiarato della Turchia, che attraverso quel confine faceva transitare petrolio di contrabbando, armi, e foreign fighters denuncie fatte dai giornalisti Can Dündar e Erdem Gül del giornale "Cumhuriyet" condannati ed arrestati. Prima di essere preso Demirtaş, attraverso un comunicato, dichiarava:  "Non abbiamo paura di essere perseguiti, anche se la giustizia è l'ultima cosa incontrata nei tribunali della Turchia. Se ci fosse giustizia, saremmo disposti ad essere perseguiti insieme ad Erdogan, se avessero intenzione di interrogarlo su risme di soldi dentro le scatole di scarpe, sui camion di armi inviati in Siria, sugli assassinii per le strade: dovremmo essere perseguiti insieme".

Nel frattempo sul versante siriano, la Turchia, insieme ai gruppi ribelli ad essa vicina, continua ad attaccare l’SDF, cioè l’organizzazione militare kurda, che ha il sostegno degli Stati Uniti per combattere l’Isis. Nei giorni scorsi, infatti, mentre i jihadisti dello Stato islamico bombardavano le loro posizioni a nord di Aleppo con le batterie di mortaio, contemporaneamente venivano attaccati dall’artiglieria pesante dei gruppi ribelli legati alla Turchia. Il Colonnello Talal Silo, portavoce ufficiale delle Forze Democratiche Siriane (SDF), così commentava: "Le Forze Democratiche siriane sono state istituite per combattere il terrorismo e quindi l’ISIS. Ecco perché abbiamo guadagnato un sostegno internazionale, soprattutto da parte americana… Le nostre forze di terra combattono per il mondo libero, e nessuno può impedire la nostra avanzata contro l’Isis… Le vittorie precedenti da parte delle Forze Democratiche Siriane hanno dimostrato le nostre capacità di sconfiggere questo gruppo terroristico".

Per sintetizzare: l’SDF, organizzazione militare kurda, combatte l’Isis sul campo, sostenuta dagli Stati Uniti ma osteggiata dalla Turchia, paese Nato, alleato degli Stati Uniti, che considera l’SDF un gruppo terrorista…


Fonti e Credits: ANF News, ARA News