A PARTI INVERTITE




Gli insorti della città di Brega, ieri, sono riusciti a respingere un attacco aereo delle truppe fedeli a Gheddafi, a circa due chilometri dal terminal petrolifero. Intanto sono state attivate le misure contro il regime da parte della comunità internazionale: blocco dei beni della famiglia Gheddafi, embargo delle armi, deferimento al tribunale internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità. Gli Stati Uniti hanno inviato tre navi da guerra posizionate a 50 miglia dalle coste libiche. L’aeronautica militare è stata autorizzata dalla Casa Bianca a procedere all’evacuazione dei profughi. 

Barak Obama ha intimato il leader libico di abbandonare il potere, lasciando intendere di essere pronti ad un intervento militare: “L’America deve stare dalla parte giusta della storia, con la democrazia e la libertà.” Ha dichiarato il Presidente degli Stati Uniti. Continua però a non essere chiara la posizione americana sulla no-fly zone, auspicata inizialmente dalla Clinton e sconsigliata poi dai vertici militari, poiché essa presupporrebbe un intervento militare che, rispetto al dispiego di forze, gli Stati Uniti, in questo momento, non sembra che possano sostenere.



Nel frattempo, sempre in mattinata, ma da un’altra parte del continente africano, nell’area sub sahariana, un centinaio di donne scendevano in piazza contro il Presidente golpista della Costa d’Avorio Laurent Gbagbo. La manifestazione si svolgeva a Abobo, un quartiere a nord della capitale economica Abidjan, dove risiedono tantissimi sostenitori del Presidente regolarmente eletto pochi mesi fa Alassane Ouattara, riconosciuto tale dalla comunità internazionale. 

Immediatamente interveniva l’esercito, rimasto fedele a Gbagbo, sparando sulla folla, uccidendo sei donne e lasciandone parecchie decine per terra, gravemente ferite. Salgono così a cinquanta le vittime nell’ultima settimana e a 365 dal 28 novembre scorso, cioè da quando il presidente uscente, con un colpo di mano, si rifiutava di riconoscere il risultato che lo vedeva sconfitto, continuando a prolungare una situazione di guerra civile, che tra alti e bassi continua dal 2002. 


A questi numeri si aggiunga la situazione dei profughi: cinquemila persone al giorno attraversano il confine con la Liberia. Allo stato attuale se ne contano 70 mila, ai quali si devono aggiungere 40 mila sfollati entro i confini nazionali. Una vera e propria crisi umanitaria per la situazione disastrosa dal punto di vista economico, sociale e sanitario.

foto PeaceReporter


Ma cosa differenzia il primo evento dal secondo? Le differenze che si possono rintracciare sono in qualche modo la chiave di lettura dell’instabilità secolarizzata del continente africano. Nel primo caso, la follia di Gheddafi, che sta mietendo morti e distruzioni immani nel suo paese, è monitorata dagli Stai Uniti, dall’Onu e dall’Unione Europea, pressappoco in questo ordine di rilevanza, al punto che in nome della democrazia e libertà si è deciso che il leader libico ha i giorni contati. Ricordiamoci che la Libia è uno dei maggiori produttori di petrolio del mondo.

Nel secondo caso la follia di Gbagbo, non altrettanto famoso come il rais, che in dieci anni ha martoriato il paese con morti, massacri, turpi atrocità tribali, e che a tutti i costi non vuole ancora lasciare il comando, non è monitorata da nessuno, se non da un gruppo di caschi blu dell’Onu che difendono l’hotel di Abidjan, dove da tre mesi è asserragliato il Presidente regolarmente eletto. Ricordiamoci che la Costa d’Avorio è uno dei principali produttori di cacao del mondo.


foto Repubblica.it

Proviamo ad invertire le parti... Cioè a dire: Quali sarebbero le attenzioni degli Stati Uniti e della comunità internazionale se la Libia fosse uno dei maggiori produttori di cacao e la Costa d’Avorio fosse uno dei principali produttori di petrolio?







Credits: ANSA, PeaceReporter,  PeaceReporter, ANSA

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