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BOKO HARAM E L'INFERNO NIGERIANO


 

Boko Haram è una organizzazione fondamentalista musulmana sunnita. Il suo nome in lingua hausa significa “l’educazione occidentale è peccato”; essa è divisa in fazioni ed è diventata nota in seguito alla recrudescenza della violenza religiosa nel 2009 contro i cristiani e le loro chiese. Nata nel 2002 per opera dell’imam Mohammed Yusuf nella città di Maiduguri, capitale dello stato del Borno, nel nord-est del Paese, Boko Haram mira alla creazione di uno stato islamico in Nigeria, all’imposizione della Sharia nella sua interpretazione più radicale e ad un’interpretazione letterale del Corano.
 
C’è da dire che non sono ben chiari i rapporti con il resto del movimento jiadista, presente in Africa e Medio Oriente, anche se negli ultimi mesi sembra che sia stato stretto un legame con le reti presenti in Mali, tanto da auspicare, da parte del Presidente nigeriano Goodluck Jonathan, l’intervento francese per reprimere la ramificazione dell’organizzazione, dove sembra essere inserita nel traffico di droga, funzionale a far cassa. Il governo nigeriano ha tentato di smantellare l’organizzazione nel 2009 con l’arresto e morte di Yusuf. Il successore, Abubakar bin Muhammad Shekau, più radicale, ha sviluppato l’organizzazione dal punto di vista militare, attraverso nuovi obiettivi: le infrastrutture governative.
 
I loro attacchi sono principalmente rivolti, oltre che contro le chiese, contro le scuole, tanto che nel 2012 circa 10000 alunni della città di Maiduguri sono stati costretti ad abbandonare l’istruzione, poiché bisogna anche considerare che in Nigeria tutti i diritti fondamentali sono difficilmente garantiti, quindi se una scuola viene distrutta non vi è la possibilità di costruirne un'altra o di spostare gli alunni da qualche altra parte… In questo senso la sua strategia jiadista si differenzia dalle altre grandi organizzazioni territoriali come al-Qaeda o Al Shabab. Le azioni eclatanti sono state rivolte contro il quartier generale della polizia nella capitale federale Abuja, nel giugno 2011, e due mesi dopo alla sede dell’Onu nella stessa città.
 
L’ultimo evento luttuoso, in larga scala, è di questi giorni con l'assalto al carcere della città di Bama, nel nord est del paese, liberando 105 detenuti. Inoltre hanno dato alle fiamme alloggiamenti militari, una stazione di polizia, edifici governativi, causando una strage. Sono rimasti uccisi 22 poliziotti, 14 guardie carcerarie, due soldati, quattro civili e 13 fondamentalisti.
 
Boko Haram è fondamentalmente diviso in fazioni, sembra che siano tre quelle certe, che agiscono spesso autonomamente, per cui se qualcuno lancia messaggi all’esterno ciò non vuol dire che parli a nome di tutta l’organizzazione. In tal senso non si comprende bene il sistema organizzativo interno, a partire dalla catena di comando. Ecco perché diventa difficile da parte delle autorità nigeriane, instaurare un possibile dialogo, anche se c’è da dire che neanche il governo nutre di attendibilità visto che le forze dell’ordine sono spesso autonome dalle direttive governative, diventando protagonisti di innumerevoli violazioni dei diritti umani, che contribuiscono ad alimentare sfiducia nelle istituzioni.
 
Negli ultimi tempi una delle fazioni di Boko Haram si è specializzata nel rapimento di ostaggi per finanziare l’organizzazione, si chiama Ansaru, e i suoi leader hanno dichiarato la loro vicinanza ad altri movimenti jiadisti come Aqmi attivo, appunto, nel nord del Mali. Una delle loro vittime fu proprio Silvano Trevisan, rapito insieme ad altri sei ostaggi e ucciso lo scorso anno, per motivi ufficialmente legati ad una sorta di ritorsione contro i paesi europei presenti in Mali e Afganistan. In un video uno dei presunti leader di questa fazione ha anche dichiarato di prendere le distanze dalla disumanità delle azioni di Boko Haram perché coinvolge anche la comunità musulmana moderata.
 
Il radicamento dell’organizzazione affonda nel contesto locale della Nigeria del nord. Un’area in cui il rifiuto dell’autorità centrale ha radici storiche, individuabili anche nei contrasti per il controllo del petrolio. Gli abitanti delle regioni settentrionali si considerano svantaggiati proprio per l’alto tasso di corruzione del sistema politico, che non permette alla popolazione di beneficiare delle risorse dello stato africano più popoloso, il quarto esportatore di petrolio, uno dei più poveri del mondo, dal punto di vista della popolazione.
 
C’è da dire che il mistero sulla effettiva catena di comando sembra nascondere legami e sostegni ambigui con alcuni centri del potere politico nel nord. C’è una inchiesta, ad esempio, su due senatori del People Democratic Party, il partito di governo, Ahmed Zanna e Mohammed Ali Ndume o voci sull’ex dittatore Ibrahim Babangida, che si difende accusando di complotto il Presidente in carica. C’è una tradizione da parte dei gruppi di potere del nord, di supportare l’instabilità, come il sostegno al Mend, il movimento di emancipazione nella regione petrolifera del Delta. Ciò che è sicuro è che l’autorità del capo dello Stato in carica è vacillante, considerate anche le guerre di posiszione all’interno delle istituzioni in vista delle nuove elezioni del 2015, anche se, come la storia insegna, le elezioni in Nigeria si vincono con intimidazioni, violenza organizzata e brogli.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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