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L'EUROPA A PEZZI E IL GIOCO DELLE TRE CARTE


Emerge dal summit di Malta che la strategia sui rifugiati sembra essere quella di far diventare il problema di qualcun altro. Intanto nella giungla di Calais torna la calma dopo tre gioni di scontri, la Germania chiude le frontiere, in Slovenia viene issato un'altro muro di filo spinato e i bambini continuano a morire nel mar Egeo.
 
By Marco Marano
 
 
"Il problema che stiamo affrontando oggi dipende in parte dal fatto che alcuni Paesi in Europa si comportano come una fortezza. Non c‘è parte del mondo che possa essere una fortezza. Dovremmo essere aperti all’immigrazione legale." Nkosazana Dlamini-Zuma, è il portavoce dell’Unione africana, ed ex ministro della sanità sudafricano, le sue parole raccontano la storia del nostro tempo, ma è solo uno degli aspetti emersi al summit di Malta tra l’Europa e l’Unione Africana, sull'esodo dei rifugiati. Un evento presentato dai media come un momento fondamentale per affrontare la questione che sta mandando in frantumi la logica stessa su cui si fondano le ragioni dell'Europa unita.
L'assunto è che i governi africani sono coinvolti tanto quanto l'Europa in quella che continuano a chiamare "crisi dei migranti". Quindi i governi europei cosa propongono? Aumento degli aiuti finanziari per la cooperazione e lo sviluppo. Come dire, è un modo per rispondere all'espressione oramai generalizzata del "dobbiamo aiutarli in casa loro". Verrebbe da chiedersi però cosa significa cooperazione e sviluppo, quando gli stati europei, con le loro grandi industrie, esportano armi da guerra, alimentando i conflitti bellici regionali...?
Come controprtita, comunque, si chiede all'Unione Africana che cooperi nella gestione dei flussi. Per tali ragioni quindi vi è la necessità di creare vie legali e pacchetti di proposte per l'emigrazione economica. La domanda che sorge spontanea è: ma tutto questo cosa c'entra con quello che sta accadendo sulla rotta balcanica? Si perchè quelle centinaia di migliaia di persone, che stanno mettendo in crisi l'Europa, provengono dal medioriente, cioè da Siria, Iraq e Afghanistan, e prima di cercare una vita migliore, dal punto di vista economico, stanno tentando di salvarsi la vita... Cioè per loro vivere una vita migliore significa innanzitutto non morire...

 
 
 
 
"Spero che faranno qualcosa per farli andare via, non ci spero più di tanto, ma almeno che mettano degli agenti di sicurezza per impedire che passino di qui o che restino nel loro campo perchè qui la situazione è diventata invivibile". E' così che si esprime un cittadino di Calais, città di confine di un paese dalla efficiente organizzazione sociale, legata ai valori della laicità e dell'uguaglianza, come la Francia. Sono mesi però che il governo francese ha fatto decomporre una situazione che non riesce a gestire, dove migliaia di rifugiati sono accalcati, in una sorta di favela fatta di tende, in attesa di poter raggiungere la Gran Bretagna.
Qui negli ultimi tre giorni si sono vissuti momenti di grande tensione tra scontri e violenze, tanto che è stata ribattezzata la "giungla di Calais". Altri 250 agenti anti-sommossa hanno dunque ristabilito la calma. Con l'inverno che avanza, lì la gente rischia di morire assiderata, quindi alcuni attivisti per i diritti umani stanno distribuendo gli strumenti per oltrepassare le recinzioni. Così il governo francese li accusa di fomentare le rivolte ed il Fronte Nazionale di Marine Le Pene chiede il pugno di ferro. In tutto questo i cittadini di Calais sono al limite della sopportazione: allo stato attuale sono quasi cinquemila le persone che vivono in condizioni disumane. Gestire la situazione con le forze dell'ordine sembra l'unica soluzione che il governo francese riesca a dare...

 
 
In Germania invece la cancelliera Merkel fa marcia indietro rispetto all'annuncio di quest'estate sull'accoglienza ai migranti siriani, chiudendo loro le frontiere e respingendoli sulla rotta balcanica. Questo perché i sondaggi la danno in caduta libera, visto il fallimentare modello di accoglienza che il governo tedesco ha messo in piedi in questi mesi, legato alle diverse dinamiche normative dei vari lander. Violenze, abusi, roghi, rigurgiti neo-nazisti, hanno contraddistinto la dimensione abitativa dell'accoglienza tedesca.
"Non chiuderemo il confine ai passaggi. Un tale flusso potrebbe mettere a rischio la sicurezza della Slovenia, come primo ministro non posso permettere una catastrofe umanitaria. Gli ostacoli tecnici posti al confine serviranno a incanalare l’onda inarrestabile dei migranti verso i punti di accesso a loro destinati, evitandone la dispersione. Faremo il possibile per controllare e limitare il flusso". Nel frattempo un altro muro viene issato in Slovenia al confine con la Croazia, dove dalle elezioni di qualche giorno non è uscito un chiaro vincitore, facendo sprofondare il paese in una crisi al buio. Questa volta il muro sloveno l'hanno chiamato "barriere tecnica", con quasi trecento poliziotti anti-sommossa a sua protezione. Da inizio ottobre 180 mila persone sono entrate in Slovenia, in fuga da Siria e Afghanistan.
 

 
Ultima notizia, una di quelle che ormai passa inosservata. La notte del 10 novembre, al largo della costa turca di Ayvacik, a causa del naufragio di un barcone pieno di rifugiati, sono morte 14 persone, tra cui sette bambini...








Credit ANSA



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