LIBIA: GLI INTRIGHI INTERNAZIONALI E LA CADUTA DI BENGASI





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Dunque ci siamo, ancora poche ore e Bengasi, la città più importante della Cirenaica, quartier generale della resistenza libica, dov'è insediato il "Consiglio Nazionale", cadrà sotto il fuoco delle milizie di Gheddafi, e anche questa volta si assiste alla solita "messa in scena" della comunità internazionale, nelle sue varie sedi istituzionali, costruita sull'immobilismo. Anche questa volta la trama sembrà già scritta, come altre volte nella storia recente: dalla pulizia etnica nell'ex Jugoslavia al milione di morti in Ruanda. Anche questa volta si ripete il "gioco delle parti", estenuante e insopportabile perchè fatto sulla pelle della gente. Sono giovani studenti, intellettuali, disocupati, lavoratori stanchi di vivere sotto una dittatura, che agognano una vita normale, in una società garantita dalla democrazia. Sono questi che hanno imbracciato le armi contro il despota e stanno aspettando di essere massacrati dalla sua ira. Entro la mezzanotte di oggi si dovrebbe sapere se il Consiglio di Sicurezza dell'ONU deciderà se intervenire con la No-Fly Zone, che significa la protezione di uno spazio aereo che garantirebbe nei fatti il proseguio della resistenza libica al dittatore. La vogliono Francia, Gran Bretagna, Libano, la Lega Araba e dopo tanti tentennamenti gli Stati Uniti, sono contrari Russia e Cina, che potrebbero fare affari in futuro con Gheddafi.



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Ma vediamole queste maschere teatrali come hanno recitato le loro parti. Gli Stati Uniti innanzitutto, che già dalle prime ore intimavano il leader libico di lasciare il potere, e se ciò non fosse accaduto qualsisi azione poteva essere presa in considerazione per mettere fine al regime. L'ONU, attraverso una sua risoluzione, dichiarava Gheddafi fuori legge per crimini contro l'umanità, mentre alcuni paesi chiedevano alla Corte dell'Aja l'istruzione di un processo. Poi, il blocco dei beni della famiglia e il valzer delle sanzioni. Già le sanzioni. Atto dovuto da parte della comunità internazionale, ma di scarso peso.

Nel frattempo gli Stati Uniti continuavano a fare proclami contro il regime libico indieteggiando però sulla No-Fly Zone. Si faceva avanti la Francia, proponendo da sola di bombardare la Libia. Anunciava di riconoscere il Consiglio Nazionale come governo provisorio libico, unico paese a fare questo atto, dopo la sollecitazione del Parlamento Europeo. Non si capisce bene il motivo dell'intraprendenza francese nel contesto dell'immobilismo internazionale, qualcosa manda a dire la famiglia Gheddafi dalle tre stazioni televisive che inondano di propaganda l'etere. Sembra, a quanto dice Saif, il figlio secondogenito del despota, che la famiglia abbia pagato la campagna presidenziale di Sarkozy, cosa dimostrabile attraverso i bonifici erogati. Puzza di intrigo dunque... E poi c'è l'Italia, che dice di allinearsi alle decisioni della comunità internazionale, ma la sua posizione ufficiale è quella di aspettare che le sanzioni contro l'ex amico Gheddafi portino dei risultati.

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Intanto si prepara la carneficina. I miliziani sono a Misurata dove hanno accerchiato la città ma ancora, nel momento in cui scriviamo, non riescono ad espugnarla: solo questione di ore. Centosettanta chilometri per arrivare a Bengasi, dove sembra che, grazie all'apporto di due ex generali, i partigiani libici si stanno riorganizzando. Lo squilibrio delle forze in campo è però evidente. Allo stato attuale il controllo del pezzo di costa che va da Tobruk a Bengasi, vicino al confine con l'Egitto, è ancora nelle mani dei rivoltosi.

E' quindi lì che si decideranno le sorti della guerra civile, rispetto a quanto tempo riusciranno a resistere. Perchè si preannuncia una strage, quando la famiglia Gheddafi riavrà il controllo dell'intero paese. E' sempre Saif che parla: "Non avremo pietà con chi troveremo con le armi in mano..." Per i partigiani libici non rimane che il mare e l'Egitto come uniche due vie di fuga, l'altra possibilità è il martirio...



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