OBAMA E IL DREAM ACT CHE HA CAMBIATO L’AMERICA






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Lo scrittore americano Norman Mailer già negli anni sessanta descriveva gli Stati Uniti in termini di estasi e follia. Si, perché questa immensa nazione è capace di rappresentare se stessa attraverso oscurantismo e progresso civile insieme.

E anche questa volta l’America non si è smentita, perché la capacità di far coesistere la condanna a morte con i matrimoni gay e addirittura la legalizzazione della marijuana non è cosa da poco. E ancora, la possibilità di mettere insieme in una campagna elettorale temi oltranzisti come quelli degli evangelici repubblicani quali l’aborto a tutti i costi, anche in seguito ad uno stupro, poiché è comunque una decisione divina, con l’idea di una società dove “il figlio di un artigiano della North Carolina se vuole può diventare un ingegnere o uno scienziato”, la dicono lunga sulla dimensione estatica di questo paese.


Ma questo è solo il corollario di una nazione che ha già cambiato pelle. Si perché queste elezioni, come ormai tutti gli analisti hanno decretato, sancisce la trasformazione della base sociale, che non è più quella dei bianchi cattolici, protestanti, calvinisti o evangelici, ma è quella dei cosiddetti “no white”, cioè quella dei gruppi etnici, che entro vent'anni saranno maggioranza assoluta. Questo inevitabilmente non può che generare bisogni sociali diversi dal passato, legati prevalentemente ai temi del welfare. Se fino a pochi anni fa l’etica dello stato americano era fondata sul concetto di "libertà" come motore del sistema, ora la parola d’ordine diventa “uguaglianza”, che lo Stato deve garantire.

In tal senso la vittoria di Obama è la vittoria della “Politica”, intesa come lettura dei bisogni funzionali a migliorare la vita della gente. Obama ha saputo e voluto leggere i bisogni che le trasformazioni della morfologia sociale hanno prodotto. Dalle elezioni americane arriva, prima che una lezione di democrazia, una lezione di Politica, scritta nel giugno di quest’anno…
 


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Fino al 16 giugno del 2012 negli Stati Uniti vi era una realtà incombente tanto mostruosa quanto paradossale, e cioè che quasi un milione di giovani sotto i trent’anni, figli di immigrati irregolari che però avevano vissuto quasi tutta la loro vita negli Stati Uniti, avevano studiato, avevano lavorato, avevano persino fatto il militare, erano cioè americani a tutti gli effetti, rischiavano di essere espulsi dal paese, o per meglio dire “deportati” in un altro paese che neanche conoscevano, cioè quello dei loro genitori.  

Durante la sua prima elezione, nel programma elettorale di Obama c’era in effetti l’idea di una legge che risolvesse questa problematica, ma egli dovette scegliere di concentrarsi più sulla riforma sanitaria, approvata poi dal Congresso solo in parte rispetto al testo originario. Un altro paradosso fu che, per rispondere alle leggi vigenti, sotto la sua presidenza furono deportati più di un milione di persone, il numero più alto dal 1950.


Nel 2010 Obama una legge sulla regolarizzazione dei figli degli immigrati clandestini l’aveva presentata al Parlamento, ma i repubblicani con il loro ostruzionismo la bloccarono. La legge si chiama “Dream Act”, destinata a regolarizzare tutti quei giovani sotto i trent’anni, che hanno, appunto, studiato, lavorato, assolto agli obblighi militari, che non hanno carichi pendenti, e con tutto questo considerati ufficialmente non americani. Ma senza una legge che li regolarizzi, possono soltanto sognare di essere americani, ecco perché Dream Act.
 

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Tra l’altro la legge così come è stata in origine congeniata contribuirebbe a ridurre il deficit federale di 2,2 miliardi di dollari in dieci anni, secondo il Congressional Budget Office, poiché entro il 2025 si prevede un deficit spaventoso di scolarizzazione universitaria, e considerato che quasi il 32 per cento dei laureati in Scienze e Ingegneria sono ispanici, regolarizzare i dreammers sarebbe un vantaggio economico, dato che si stima il reddito imponibile che possono produrre all’incirca tra 1,4 e 3,6 miliardi di dollari.

Ma torniamo al 16 giugno, all’inizio cioè della campagna elettorale. Obama, visto che non può avere l’appoggio del Congresso per far passare questa legge, compie una mossa strategica straordinaria cioè quella di emettere un  executive order” cioè un ordine esecutivo che blocca le deportazioni per due anni e consente a questi giovani di continuare gli studi. Come disse lo stesso Obama quella era “una soluzione temporanea che permette con saggezza di dare una speranza a questi giovani patriottici sognatori…”
 



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Per come si sono messe le cose in queste elezioni, viene da pensare che se i repubblicani continueranno con l’oltranzismo, in una nazione a maggioranza multietnica, difficilmente avranno la speranza di poter vincere le presidenziali nel futuro.

Detto questo rimane la lezione di Politica che Obama ha dato all’occidente, ed il pensiero va alla martoriata penisola italica, dove il suo ceto politico tutto sa fare tranne che leggere i bisogni legati alle trasformazioni della società.  Si, è proprio la medesima classe dirigente che urla contro l’antipolitica, senza rendersi conto, o forse si, che essi stessi sono la negazione della Politica, perché non sanno proprio farla, oltre a tutto il resto…


 
 

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