I SOLDATI ITALIANI IN GUERRA "PER RENDERE IL MONDO PIU' SICURO", MA ANCHE PER PROTEGGERE GLI AFFARI

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Tra il petrolio libico, garantito dalla presenza dell'Eni, e l'appalto della diga di Mosul, le guerre italiane all'Isis seguono il flusso del business


By Marco Marano


Si chiama Small Group o Coalizione globale, sono 23 paesi che ormai da dicembre dello scorso anno s'incontrano per pianificare e coordinare l'azione bellica  contro l'Isis. Proprio due giorni fa a Roma si è concluso l'ultimo di questi incontri finalizzato a saldare le fila e stabilire le diverse funzioni militari in Libia, che tra brevissimo sarà il prossimo scenario di guerra.

In un mese la pianificazione dell'attacco ha dovuto incrociarsi con altre vicende contingenti, cioè l'unificazione delle due autorità governative e parlamentari libiche e la conferenza di Ginevra, dove le opposizioni al dittatore siriano Assad dovrebbero fare sintesi. Nessuna delle due ha portato risultati positivi, ma la guerra non può attendere...
 
Già da qualche settimana i servizi segreti di alcuni paesi come Stati Uniti, Gran bretagna, Francia e Italia sono sul territorio libico per organizzare le strategie militari e gli obiettivi da colpire. Anche perchè in Libia, come in molte parti dell'Africa subsahariana, con le sue varie succursali, l'Isis sta cercando di allargarsi quanto più possibile dato che sul campo di battaglia in Iraq e in Siria sta perdendo terreno: 40 percento nel primo e il 20 percento nell'altro, secondo le stime dello Small Group. Tra parentesi, il paradosso è che il tracollo sul terreno dell'Isis è stato possibile non tanto per bombe a grappolo della coalizione globale, ma per la resistenza sul campo del popolo curdo, che non è stata invitata a partecipare ai lavori della Conferenza di Ginevra: ma questa è un'altra storia...
 
"Il mondo si aspetta sicurezza da noi e noi distruggeremo l'Isis... Occorre aumentare gli sforzi per vincere questa guerra..." Sono le parole del Segretario di Stato americano John Kerry, pronunciate proprio a Roma. E mentre il ministro Gentiloni faceva gli onori di casa il premier italiano Renzi   viaggiava in alcuni paesi africani a stringere accordi economici e rassicurare per l'impegno del l' occidente in quei paesi.
 
 
Al di là del fatto che il mondo deve essere più sicuro, come sempre le vere ragioni delle guerre sono altre: gli affari. Dove non ci sono affari da chiudere non ci sono soldati per salvare il mondo. E' questa una "legge di natura" del sistema capitalistico. L'Italia sembra che metterà a disposizione i tornado e l'unità di Forze Speciali, che corrisponde al reggimento d'assalto paracadutisti, anche perchè c'è lo stabilimento dell'Eni di Mellitah da proteggere, a cento chilometri da Tripoli, importantissimo sito industriale e snodo energetico. A ciò si aggiunga che il petrolio libico l'Italia non può garantirselo se non si sporca le mani come si deve.
 
Ma la Libia non è l'unico scenario dove mandare i soldati italiani. C'è un'altro affare da proteggere a Mosul, quello della diga danneggiata dalla guerra che deve essere ristrutturata. L'appalto da due miliardi di dollari se lo è aggiudicato la ditta italiana Trevi di Cesena. In dicembre Renzi aveva garantito 450 soldati a protezione dei lavori, ma ancora il governo italiano e iracheno non hanno raggiunto un accordo chiaro sull'invio del contingente militare...
 

Credits ANSA





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