DA TELEJATO AD ANKARA: QUANDO IL GIORNALISMO SFIDA IL POTERE

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Due vicende lontane che riguardano la libertà di stampa si sono inseguite negli ultimi due giorni, da un paese con un regime autoritario come la Turchia ad un altro dove vige una democrazia malata come quello italiano.
 
By Marco Marano

 
La vicenda dei giornalisti Can Dündar e Erdem Gül, in Turchia e di Pino Maniaci in Italia sono storie lontane sia per dinamiche che per contenuti,  però in ambedue i casi vi è il tentativo di mettere a tacere quel giornalismo non compassato e de-istituzionalizzato che con le dovute differenze, denuncia la corruzione dei fini all'interno del quale i rispettivi sistemi politici hanno perduto il loro significato: la difesa del bene pubblico.
 
Dündar e Erdem, sono rispettivamente il direttore ed il caporedattore di Ankara del giornale di opposizione al governo autoritario del presidente Erdogan "Cumhuriyet". La condanna uscita fuori dal procedimento penale contro di loro è stata pesantissima: cinque anni di reclusione. L'accusa  è quella di diffusione di segreti di stato, questo perché lo scorso anno il giornale aveva svolto un'inchiesta sul traffico di armi che il governo turco conduceva ai confini con la Siria, attraverso i suoi servizi segreti.
 
I due giornalisti si erano soffermati su questo aspetto poiché nel contesto della guerra in Siria quelle armi erano destinate anche all'Isis, le cui ramificazioni in Turchia, da Istanbul fino alla linea di confine appunto, erano e sono fortissime. Ramificazioni che riguardavano prima di tutto il sistema di reclutamento dei foreign fighters, implementato grazie alle basi logistiche dello Stato islamico nella megalopoli turca, e poi allo smercio del petrolio di contrabando, prodotto dai pozzi controllati tra l'Iraq e la Siria.
 
Tra l'altro il direttore del giornale, poco prima della sentenza, davanti al palazzo di giustizia, diventava vittima di un attentato da parte di un uomo dell'Anatolia centrale, identificato come Murat Sahin, il quale apriva il fuoco contro Dündar  ferendo però il reporter di una rete televisiva che si apprestava a documentare il processo a carico dei due giornalisti. Ovviamente le autorità turche hanno dirottato la responsabilità dell'attentato su qualche organizzazione terroristica, cose se i terroristi  potessero essere interessati ad un giornalista di opposizione al regime del presidente Erdogan.
 
"L’obiettivo di questa sentenza – dichiarava ai network Dündar – non è solo quello di ridurre noi al silenzio. Queste pallottole sono state sparate non solo per mettere a tacere noi e impedire al nostro giornale di continuare a fare il proprio dovere, ma anche per intimidire tutti i media turchi e terrorizzare i giornalisti”.
 
 
L'altra storia è tutta italiana e riguarda Pino Maniace, il direttore di Telejato, la piccola televisione antimafia della provincia di Palermo. E' questa una vicenda squallida, come hanno sottolineato i difensori del giornalista in una conferenza stampa, tra cui l'ex pubblico ministero Antonino Ingroia. Una storia tutta italiana, anzi una storia tipicamente mafiosa, poiché sono state utilizzate le metodologie mafiose del discredito pubblico nei confronti di un personaggio dal linguaggio e dal modo di fare sicuramente abbastanza folcloristici.
 
Sono state praticamente diffuse, da parte dei carabinieri, delle intercettazioni telefoniche e dei video decontestualizzati e montati ad hoc, all'interno dei quali si evinceva, con estrema facilità, grazie al linguaggio colorito e alle frasi paradossali del giornalista, che egli avesse chiesto delle tangenti di poche centinaia di euro ad un sindaco, per essere più morbido nei suoi confronti. Mentre in quel video montato ad hoc, Maniace chiedeva la somma, che non gli era stata ancora data, di uno spot pubblicitario su Telejato.
 
Da questo si è dedotto che fosse un corruttore. Mentre dalle altre intercettazioni con una donna con cui aveva una relazione, quindi assolutamente private, usciva fuori una immagine del giornalista davvero misera, con frasi piene spocchia e irridenti contro il potere e contro l'antimafia stessa. Ovviamente il giornalista ha dovuto spiegare che si trattava di un modo "per farsi bello" con la sua amante, che ha però messo in discussione il lavoro giornalistico di anni, nella denuncia al sistema mafioso siciliano.
 
In tutto questo chi ha potuto, giornalisti compresi, anzi quelli mainstream erano in prima fila, ha crocifisso Maniaci in tutti i modi, senza valutare la credibilità del materiale che diffondevano...
Da quello che sta emergendo, sembra del tutto evidente che questa operazione di manipolazione, da parte dei carabinieri, potrebbe essere stata attivata grazie al collegamento di questi con il magistrato Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, indagata per corruzione dai magistrati di Caltanissetta. Questo perché la Saguto è stata particolarmente colpita dalle inchieste di Telejato, almeno così ha lasciato intendere il giornalista durante la sua conferenza stampa...
 
 
 

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