L’ultima resistenza nella Nazione Sioux

Un oleodotto minaccia le falde acquifere dell’antica riserva dei nativi

Radio Cento Mondi Dissent


by Marco Marano

Bologna, 30 novembre 2016 – Standing Rock è una delle sei riserve rimaste dell’antica Nazione Sioux, che accoglie anche la tribù dei Lakota. Raggruppa i territori posti tra nord e sud Dakota, a ovest del Missouri che comprende la montagna sacra delle Black Hills o Pahá Sápa in lingua lakota, per una superficie di quasi 10mila chilometri quadrati. I diritti del popolo nativo su questa terra sono stati sanciti dal trattato di Fort Laramie del 29 aprile 1868, ratificato dal Congresso americano, e parlano esplicitamente di competenze di questi su tutte le terre della riserva, compresi i corsi d’acqua e i diritti di passaggio.

Ma la storia insegna che quella dei nativi americani è una delle vicende tra le più drammatiche del continente, con massacri, deportazioni, ingiustizie, repressioni che sono continuate anche dopo la costituzione delle riserve, attraverso ulteriori leggi che andavano a togliere diritti e spazi, e le rivendicazioni, le battaglie per la sopravvivenza. E così, anche nel XXI secolo, la gloriosa Nazione Sioux non poteva non subire l’ennesimo attacco, proveniente da un raggruppamento di aziende nazionali e multinazionali dell’energia, che hanno pensato bene di costruire un oleodotto per trasportare greggio dal nord Dakota all’Iowa fino all’Illinois.

La loro idea è quella di ammortizzare i costi per spostare il greggio dal “Bakken Formation”, in nord Dakota dove viene estratto, per smistarlo ai principali mercati, al fine di sostenere più efficacemente la domanda interna. Il progetto si chiama “Dakota Access Pipeline” (DAPL), un opera da quasi 4 miliardi di dollari, per poter trasportare 470.000 barili al giorno, cioè circa la metà della produzione di greggio giornaliero di Bakken. In questo modo sarebbe possibile l’accesso a più mercati, compresi il Midwest, la costa orientale, la costa del Golfo tramite l'impianto terminale di petrolio greggio di Nederland, in Texas, presso la Sunoco Logistics, società controllata dal capofila del progetto, la “Energy Transfer Partners” di Dallas. Gli altri attori di questo cartello di aziende sono la “Phillips 66”, multinazionale dell’energia con sede a Huston in  Texas, attiva in 65 paesi. Poi c'è la “Enbridge Inc”, società di fornitura di energia con sede a Calgary in Canada, ed infine la “Marathon Petroleum Corporation”, società di raffinazione del petrolio dell’Ohio.

Il punto dolente è che questo oleodotto, lungo duemila chilometri, passerebbe sotto la terra dei nativi, a Standing Rock appunto, rischiando di compromettere le falde acquifere per quelle 4100 persone che vi abitano, oltre a mettere a repentaglio i siti culturali. A questo il cartello Dakota Access risponde che un progetto simile genererebbe migliaia di posti di lavoro e oltre 40 milioni di dollari in termini di gettito fiscale per il nord Dakota.

Questa storia sembra davvero un modello esplicativo del nostro tempo poiché attraverso il ricatto delle multinazionali di generare lavoro e reddito statuale si è disponibili a distruggere la vita di un popolo e l’ambiente circostante… E’ il tema dominante del neo-liberismo. Fatto sta che attorno a questa tragedia annunciata negli ultimi due mesi si è creata una solidarietà straordinaria da parte di tutte le popolazioni native americane e non solo ovviamente. Migliaia di persone si stanno recando nella riserva indiana nel Dakota, dove è stato costruito un vero e proprio accampamento di protesta, provenienti dal Maine e dall’Arizona, per manifestare e fare resistenza al progetto. Naturalmente questo è stato mal digerito dal cartello che attraverso un piccolo esercito privato è intervenuto con spray orticanti e cani d’assalto, diciamo così, per disperdere i manifestanti. La medesima cosa che sta facendo la polizia, aggiungendo pallottole di gomma e granate assordanti, con il risultato di 120 arresti fino ad adesso.

Tanto che persino il celebre cantautore Neal Young, oltre ad essersi recato sul luogo per fare un concerto di sostegno alla causa, ha inviato una lettera al Presidente Obama chiedendogli di mettere fine alla repressione poliziesca nei confronti di manifestanti pacifici: “Migliaia di persone hanno aderito alla campagna in difesa dei diritti dei nativi, ma la reazione della polizia è stata violenta. Gli agenti hanno usato pallottole di gomma e idranti contro i manifestanti, causando centinaia di feriti. Almeno venti persone sono state ricoverate in ospedale”.

A sostenere le azioni di protesta, inoltre, sono arrivati un centinaio di ex marines nativi proprio per difendere dalla violenza della polizia il proprio popolo, attraverso una sorta di milizia disarmata, che il 4 dicembre potrebbe intervenire, poiché è il giorno previsto per lo sgombero dell’accampamento e l’arresto di tutti coloro che vi si opporranno. Ma non sarà la polizia a farlo, addirittura è già arrivato l’esercito provvisto di carri armati, e visto che nessuno è disposto a fare un passo indietro, si preannuncia una giornata di violenza… Ma a questo la Nazione Sioux c’è abituata da sempre…



Fonti: standingrock.org, il manifesto, The Guardian, documentali
Credits: AFP





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