"Ciao
a tutti. Per tutte le persone che hanno bisogno di mangiare ma non
hanno soldi per favore non andare a dormire senza aver mangiato
chiamate senza vergogna. Oppure scrivete in privato siamo aperti fino
mezzanotte". Con questo mesaggio, un pronto pizza
bolognese si mette a disposizione della gente a cui mancano le
derrate alimentari, ribaltando radicalmente la dimensione
"cannibalesca" e di odio diffuso precedente all'esplosione
della pandemia. E' l'altra Italia che si sta mobilitando, in modo
individuale e spontaneo, in un unico abbraccio solidale con chi è in
difficoltà. Mai come in questo momento l'altra Italia sta
imbracciando i valori della Costituzione italiana, con lo slogan: "Se
hai bisogno prendi". Allo
stesso modo, quelle Ong che negli anni passati sono stati oggetto di
aggressioni politiche squadriste, sono accanto ai medici italiani che
stanno lavorando a rischio della vita. E' l'altra Italia...
Coronavirus,
i nuovi "mille" di Bergamo
Nella
città più colpita dal contagio, centinaia di volontari si sono
messi a disposizione per portare spesa, pasti, medicine e altro nelle
case di anziani, malati e nuovi poveri: "Non è solo un
servizio, vogliamo preservare le relazioni umane".
Hanno
iniziato a portare la spesa ai familiari e ai vicini chiusi in casa
per il coronavirus. Si sono accorti che insieme potevano fare di più,
passare dal condominio al quartiere, dal quartiere alla città,
cioè Bergamo,
la più colpita dal Covid-19, dove contagiati e morti sono molti di
più delle stime ufficiali della Regione Lombardia e della Protezione
civile. Destinatari degli aiuti non solo gli anziani e i malati, ma
anche quei lavoratori, precari o in nero, spinti verso la povertà
dalla crisi.
Nel momento di maggiore difficoltà si sono organizzati
e alla fine hanno creato Superbergamo,
dove Super sta per “supporto unitario popolare e resiliente”. Con
i suoi 130 volontari, è una nuova e importante realtà tra le tante
organizzazioni spontanee oppure più stabili, come la Caritas,
il Banco
Alimentare o
i City
Angels e altri,
che si sono messe a disposizione. “Martedì siamo arrivati a mille
volontari”, spiega Marcella
Messina,
40 anni, assessore alle Politiche sociali del Comune di Bergamo che
ha organizzato tutti i volontari nel progetto "BergamoxBergamo".
La città da cui partirono 180 volontari per seguire Giuseppe
Garibaldi (da cui l’epiteto “Città dei Mille”) vede ora mille
volontari che preparano i pacchi e i pasti, consegnano spese e
farmaci e ricreano legami: “È un segnale di speranza. C’è
un’attivazione da cui partire per ricostruire”, aggiunge
l’assessore.
Una
delle iniziative più significative parte dal circolo
Maite a
Bergamo Alta, borgo storico, un tempo popolare e ora attrazione per
turisti. “A fine febbraio abbiamo chiuso il locale anticipando le
ordinanze. Però siamo incapaci di stare fermi e ci siamo
chiesti cosa fare”, premette Pietro
Bailo,
39 anni, presidente dell’associazione Maite che gestisce questo
luogo di musica, cultura e incontri. “Ognuno di noi ha dovuto
organizzarsi per la propria famiglia e i propri anziani -
prosegue Stefano
“Kino” Ferri,
cantante del gruppo ska “Arpioni”
e
fondatore del circolo -. Poi come associazione abbiamo pensato di
farlo anche per altri. Abbiamo fatto delle locandine e le abbiamo
messe nei negozi. Ci siamo trovati a rispondere a decine di
telefonate provenienti non soltanto dal quartiere, ma anche da altre
parti della città”. Così è nato il "Supporto
unitario popolare e resiliente":
“In tre giorni abbiamo coinvolto una quarantina di volontari. Poi
altre associazioni si sono unite. Ora siamo arrivati a 130 volontari
e abbiamo fatto 730 interventi nel giro di due settimane”, riprende
Bailo.
Pachino,
il “market del tunisino” che regala la spesa a chi ne ha bisogno
Il
volontario Nastasi: “Un forte messaggio di speranza”.
7
Aprile 2020
Un
banchetto pieno di alimentari sistemato in strada, di fronte al
proprio market in piazza Colonna, in cui campeggia un cartello: “Se
hai bisogno prendi”. L’idea è stata di Mondher Kacem, tunisino
trapiantato a Pachino da 15 anni. Da pochi anni Mondher ha rilevato
il piccolo market in via Durando, in pieno mercato cittadino, uno dei
centri nevralgici in cui si svolge la vita dei nordafricani a
Pachino. E da qualche giorno, il “market del tunisino” dona da
mangiare a chi non ce l’ha: non solo ai migranti, ma anche a tutti
gli altri cittadini che ne hanno bisogno. Pasta, uova, acqua, olio,
frutta ortaggi: chi ha bisogno, può prendere.
“La
solidarietà che non ha confini, razze o religioni –
ha
raccontato Francesco Nastasi, uno dei volontari dell’ “esercito”
pachinese che sta combattendo la battaglia contro il Coronavirus –
soprattutto di fronte al dramma. Quello
di Mondher è un messaggio ancora più forte di speranza”.
Sul
fronte della solidarietà continua l’incessante attività della
carica dei volontari: ieri sono stati donati 50 pani alle famiglie
del quartiere popolare di via Mascagni. “Stiamo
lavorando –
ha
spiegato Josef Nardone – per
chi ha più bisogno: quello che sono riuscito a donare l’ho fatto
con i miei piccoli risparmi, mettendoli a disposizione degli altri in
questo delicato momento con umiltà e semplicità. In questo momento
abbiamo bisogno di uomini e donne che sanno fare i fatti per
contrastare l’avanzare del Covid 19”.
Tra le iniziative del pachinese Nardone anche la donazione delle uova
di Pasqua destinate ai bambini del reparto di Pediatria dell’ospedale
Umberto I di Siracusa.
FONTE:
PACHINO NEWS
Emergency,
Mediterranea, Msf: tutte le Ong sul fronte del virus
Sono
passate dal mare alla terra. In aiuto di medici, infermieri,
senzatetto, malati psichiatrici, persone spaventate o che hanno già
vissuto lutti. Sempre senza chiedere passaporti.
07
aprile 2020
Dal
mare alla terra. Dall’Africa
al Nord Italia.
Dalle epidemie di Ebola e colera a una nuova malattia, sconosciuta
per tutti.
Gennaro Giudetti non ci ha pensato due volte a partire. O meglio, questa volta, a restare. A febbraio si trovava sulla nave dell’ong Sea Watch: un salvataggio di migranti in mare, lo sbarco a Messina, una quarantena di 14 giorni al porto, un passaggio a casa, a Taranto. E poi via, ma questa volta, qui. In Italia, al Nord. «Non avrei mai pensato che per una volta sarei andato ad aiutare al Nord anziché al Sud. Ho lavorato in Congo per l’epidemia Ebola. Il nostro Sistema Sanitario è uno dei più avanzati al mondo, eppure c’era bisogno di un supporto: lo stiamo dando». Gennaro lavora con Medici Senza Frontiere (MSF) ed è il tecnico per prevenzione e controllo dell'infezione. Il loro ruolo è di creare zone di filtro e di decontaminazione per tutto il personale che passa dai reparti contaminati.
Gennaro Giudetti non ci ha pensato due volte a partire. O meglio, questa volta, a restare. A febbraio si trovava sulla nave dell’ong Sea Watch: un salvataggio di migranti in mare, lo sbarco a Messina, una quarantena di 14 giorni al porto, un passaggio a casa, a Taranto. E poi via, ma questa volta, qui. In Italia, al Nord. «Non avrei mai pensato che per una volta sarei andato ad aiutare al Nord anziché al Sud. Ho lavorato in Congo per l’epidemia Ebola. Il nostro Sistema Sanitario è uno dei più avanzati al mondo, eppure c’era bisogno di un supporto: lo stiamo dando». Gennaro lavora con Medici Senza Frontiere (MSF) ed è il tecnico per prevenzione e controllo dell'infezione. Il loro ruolo è di creare zone di filtro e di decontaminazione per tutto il personale che passa dai reparti contaminati.
Ci
prendiamo cura dei curanti e, per una volta, non direttamente dei
pazienti,
come facciamo in tutto il mondo» racconta Chiara Lepora, medico e
coordinatrice del progetto MSF tra Lodi, Codogno e Sant’Angelo, le
zone più colpite fin dall’esordio dell’emergenza Covid-19 in
Italia.
«Il lavoro di prevenzione e controllo sull’infezione serve a far sì che medici, operatori sanitari, chi lavora in ospedale e nelle case di riposo possano tornare a casa sereni, senza aver paura di contaminare familiari a causa del lavoro che svolgono. Insomma, possano stare bene e continuare a dare il loro contributo».
«Il lavoro di prevenzione e controllo sull’infezione serve a far sì che medici, operatori sanitari, chi lavora in ospedale e nelle case di riposo possano tornare a casa sereni, senza aver paura di contaminare familiari a causa del lavoro che svolgono. Insomma, possano stare bene e continuare a dare il loro contributo».
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