Gli intrecci internazionali nelle guerre mediorientali


By Marco Marano
 
PARTE I:
LA VERA GUERRA DI RESISTENZA DEMOCRATICA ALL'ISIS
COMBATTUTA DAL POPOLO CURDO

 

Mentre in Europa si mistifica lo stragismo jihadista, in quanto guerra dei musulmani contro l'occidente, l'Isis viene combattuta sul campo proprio da un popolo a maggioranza sunnita, mentre la Turchia, alleato dell'occidente, continua a favorire gli stragisti dello Stato islamico sui varchi di confine con la Siria, guerreggiando in casa contro l'unica vera resistenza ai massacratori di Parigi. All'apertura dei varchi si è dichiaratamente opposto Putin, non per appoggiare la resistenza curda, ma per intrappolare le milizie jihadiste, considerato che le sue bombe colpiscono indifferentemente chi si schiera contro Assad, quindi anche i curdi. Per tutta risposta proprio oggi Erdogan, il sultano, ha fatto fuori un aereo da combattimento russo...


L'area in cui si continua a combattere è quella di Kobane, nel cosiddetto Kurdistan occidentale o siriano, ribattezzato Rojava. I dispacci di guerra dell'Ufficio stampa dell'YPG parlano di quattro assalti in rispettivi villaggi, che fanno riferimento alla cittadina di Ayn Isa, tutto nell'arco di una trentina di ore. Il primo villaggio sotto tiro, con armi pesanti, dei jihadisti è stato Ayn Mixêra, durato un paio d'ore, tra le 14 e le 16 del 21 novembre, per poi ripetersi intorno alle 10 del giorno seguente.

Nel frattempo un altro gruppo dello Stato islamico prendeva di mira il villaggio di Al-Hayshê a est della città di Ayn Isa. Qui l'attacco è durato a lungo, dalle 11 a mezzanotte e mezza. Nella prima mattina del 22, tra le 8 e le 10, veniva invece colpito il villaggio di Shikeyf, della città Sirin, mentre nel tardo pomeriggio, a sud ovest di Kobane, il villaggio di Qereqozax, veniva assaltato con armi pesanti e fuoco di artiglieria.


La risposta a questi attacchi concentrici, da parte della resistenza curda, si è fatta attendere alcune ore. Il comunicato di guerra sottolinea che due delle organizzazioni della resistenza, YPG e YPJ (Unità di difesa delle donne) si sono coordinate conducendo un'offensiva da ovest della città di Ayn Isa, iniziata alle 16 del 22 novembre. Ayn Mixêra è stata raggiunte dalle forze curde intorno alle 20,30, e a sera inoltrata, la controffensiva si sviluppava tra il monte Kezwan e la città al centro degli attacchi. Il resoconto dell'YPG parla di 20 jihadisti uccisi, due veicoli militari distrutti. A ciò si aggiunga una tonnellata di esplosivo sequestrata, come anche un Kalashnikov e vari binocoli termici.

L'agenzia ANF News, in un notiziario di ieri ha comunicato, infine, che i combattenti delle Forze democratiche Siriane (SDF) hanno liberato, nella parte ovest del Rojava, il villaggio di Melebiye, 10 km a sud della città di Hesekê, un'importante arteria strategica, dove vi è una fabbrica di cotone, la cui immagine simboleggia il risultato militare.


La guerra vera dunque non si combatte in Europa ma in Medio Oriente, e sono proprio i musulmani a difendere quei valori di libertà e democrazia incarnati nelle istanze delle donne e degli uomini curdi. Ma le stesse istanze sono violentemente represse sulla striscia di terra che confina con il Rojava, nella parte turca. Lì attualmente vige il coprifuoco voluto dal sultano Erdogan, precisamente nella città di Nusaybin. Polizia e soldati, ormai da giorni, uccidono civili, tra cui una donna incinta, e un giovane diciottenne: in tutto 7 morti e 15 feriti. I rappresentanti del partito HDP (Partito Democratico Popolare) Gülser Yıldırım e Ali Atalan sono entrati in sciopero della fame per indurre le autorità turche a rimuovere il coprifuoco e interrompere gli attacchi contro la popolazione civile.

Inoltre le truppe turche hanno attaccato e demolito un cimitero dove sono seppelliti uomini della resistenza curda, in un villaggio nel distretto di Lice, in segno di disprezzo nei confronti della causa curda. Nella sera di domenica, Selahattin Demirtaş co-presidente del HDP, mentre viaggiava nella sua auto ufficiale, è stato vittima di un attentato intimidatorio. Qualcuno ha infatti sparato sul lunotto posteriore, considerato che la macchina è antiproiettile.


Ferhad Derik, è invece un membro dell'esecutivo del “Movimento per una Società Democratica” (TEV-DEM) del Rojava. Sempre domenica ha rilasciato una intervista all'agenzia di stampa ANHA, nella quale dichiarava di essere in possesso dei documenti che comprovano le responsabilità del governo di Ankara, nell'aver appoggiato l'Isis contro la resistenza curda. Questa accusa era maturata quest'estate, da quando cioè Erdogan impediva alle forze curde di andare in soccorso delle donne di Kobane che combattevano contro lo Stato islamico.

Derik ha detto che questi documenti rivelano come la Turchia abbia aperto tutti i valichi di frontiera ai membri dello Stato islamico, fornendo armi, munizioni e supporto logistico. Una verità che tutto il mondo occidentale conosce, ma su cui a nessuno è convenuto soffermarsi, tranne che alla Russia, poiché, per un suo calcolo, lavora affinché il regime di Assad rimanga in vita...

La storia dei valichi aperti spiega il perché degli atteggiamenti ambigui sulla gestione delle frontiere con la Siria, a partire dai foreign fighters per finire al caso misterioso della giornalista, che indagava sull'Isis, trovata morta all'aereoporto di Istanbul, che fino alla fine le autorità turche hanno cercato di insabbiare miseramente...


 

PARTE II:
GLI INTRECCI ITALIANI NELLA GUERRA DELLO YEMEN,
TRA STRAGE E CRISI UMANITARIA


 

Sono quattro i momenti dell'intreccio che coinvolge l'Italia nella guerra mediorientale dello Yemen, che sta determinando una strage di civili, tra le bombe arabe, a difesa del governo esiliato nel sud, e lo sbarramento delle vie di accesso generato dai ribelli sciiti Houthi, sostenuti dall'Iran, che, essendo attaccati dalla coalizione filo-araba, impediscono gli aiuti umanitari, intrappolando 200 mila persone.

 

Ci sono quattro momenti, in questa storia, che raccontano l'intreccio tra una delle guerre mediorientali attualmente in corso, quella in Yemen, ed il modo in cui l'Europa entra nelle dinamiche del conflitto, con uno dei suoi paesi, in questo caso l'Italia, che partecipa fornendo le bombe ad uno dei due contendenti.

Il 16 novembre è il primo, quando nella base aerea di Al-Anad iniziano le primissime manovre di avvio alla controffensiva militare delle forze legate al governo esiliato nel sud, per la riconquista di Taiz. La città da riprendere è una zona strategica per le sorti del conflitto. Da lì in poi i ribelli Houthi hanno il controllo del paese, che si allunga fino alla capitale San'a, a 200 chilometri.


Ma quella base dista 35 chilometri a sud dalla linea del fronte, ed è un importante punto di appoggio per l'offensiva. E' sempre quello il luogo in cui si sviluppano gli intrecci internazionali. Lì confluiscono infatti i rinforzi della cosiddetta coalizione araba. Il generale Ahmed al-Yafie, comandante della quarta regione militare, dichiarava ad AFP, la scorsa settimana: "L'operazione militare per liberare Taiz è iniziata dopo l'arrivo dei rinforzi militari della coalizione araba, le forze della resistenza e l'esercito nazionale nel sud e ovest della provincia di Taiz". In questa coalizione a sfondo sunnita sembra che partecipino anche forze sudanesi.

Il secondo momento esplicativo per le vicende che stiamo raccontando è il 18 novembre, quando il Presidente esiliato Hadi, arriva in quella base per sovraintendere le manovre offensive e gestire i rapporti con gli alleati, anche perché in quello stesso giorno si attende che l'Arabia Saudita riceva un nuovo rifornimento di bombe destinato alla sua base militare di Taif. In quel giorno un deputato italiano comunica al Parlamento che l'azienda produttrice di armi Rwm Italia è pronta per spedire un carico di ordigni dall’aeroporto di Elmas in Sardegna. La richiesta del parlamentare di fermare quel carico ovviamente non viene assecondata. E qui entriamo nel terzo momento di questa storia, cioè alle prime luci dell'alba del 19 novembre, quando quel carico di armi viene inviato, proprio per combattere alla presa di Taiz.


Poi c'è l'ultimo momento, il più drammatico, la denuncia di ieri del vice segretario delle Nazioni Unite per le questioni umanitarie, Stephen O’Brien, che fa un resoconto impietoso della situazione bellica: 200 mila civili intrappolati tra le bombe della coalizione e le barricate degli Houthi; interi quartieri, strutture sanitarie, abitazioni colpite dalle bombe; manca acqua potabile, cibo, cure mediche; la gente inerme è in balia del conflitto; le vie d'accesso per gli aiuti umanitari sono sbarrate.

Per finire qualche numero: 1.300 civili uccisi nella fase della controffensiva, 5.600 persone uccise in sette mesi di guerra, di cui circa 400 bambini, 10.000 feriti tra la sola popolazione civile, intorno al milione il numero di sfollati... Mentre in Europa si continua a dire che è iniziata la terza guerra mondiale contro i musulmani...

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