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L'EUROPA CHE VA IN PEZZI
Al richiamo dell'Europa verso una direzione democratica il presidente turco risponde con le minacce, e mentre in Romania la protesta popolare impone le dimissioni al governo corrotto, la Grecia richiama l'attenzione del continente perché non riesce più a gestire l'ondata dei rifugiati.


By Marco Marano



"Erdogan dovrà unire nuovamente ciò che è stato diviso negli ultimi cinque mesi. Gli chiediamo di dare prova di responsabilità e di abbandonare i toni militanti che ha utilizzato negli ultimi mesi di campagna elettorale". Proprio ieri una dichiarazione del capo delegazione degli osservatori del Consiglio d'Europa, fotografava la dissonanza tra le parole e i fatti di un Europa che crolla lentamente a pezzi, visto che due settimane prima la cancelliera Merkel si recava in Turchia a stringere un patto scellerato con l'autocrate turco, per accelerarne l'entrata nell'Unione Europea in cambio della completa gestione dei rifugiati che scappano da Siria, Iraq e Afghanistan, nel nord della Turchia.

Ed infatti la risposta di Erdogan non si è fatta attendere, proponendo più che una riconciliazione, un regolamento dei conti, poiché ha già annunciato l'intenzione di voler cambiare la Costituzione in senso presidenzialista, in modo tale da restare al potere il più a lungo possibile, da dittatore conclamato, anche per poter gestire al meglio le accuse di corruzione contro di lui e la sua famiglia. Per poterlo fare ha bisogno di una manciata di voti che mancano all'appello in parlamento. Così è sua intenzione convocare, in una sorta di "tavolo aperto", i partiti che è riuscito a cannibalizzare durante l'ultima tornata elettorale. Se questo non si potrà fare verrà promosso un referendum, e i partiti si assumeranno le loro responsabilità... Dall'altro lato ha emesso una vera e propria dichiarazione di guerra contro il popolo curdo: "Non ci sarà alcuna interruzione nelle operazioni militari finché il Pkk non verrà eliminato. Il periodo che verrà non sarà un periodo di negoziati, ma di risultati".





Poco più a nord, in Romania, in seguito all'ondata di protesta del popolo contro il governo socialdemocratico, il primo ministro Victor Ponta rassegnava le dimissioni. Dopo mesi di indignazione e accuse nei suoi confronti da parte non solo della società civile ma anche dello stesso Presidente della Repubblica, Klaus Iohannis, conservatore coabitante istituzionale, che per due volte gli ha chiesto di dimettersi, si è dunque arrivati alla fine della storia.

La prima richiesta di dimissioni era arrivata il 5 giugno quando la Procura anticorruzione di Bucarest aveva avviato a suo carico una inchiesta per evasione fiscale e riciclaggio di danaro, relativi alla sua attività professionale di avvocato tra il 2007 ed il 2008. A quel tempo Ponta era deputato, e negli anni a venire riusciva a fare una veloce scalata al potere tanto da essere considerato tra gli uomini più potenti della Romania. Anche per questo aveva sfidato, rimanendo sconfitto, Iohannis alle ultime elezioni presidenziali. In giugno Ponta decideva di non dimettersi poiché dichiarava che solo il parlamento poteva defenestrarlo.

Poi nelle settimane scorse il rogo nella discoteca di Bucarest ha fatto scattare la miccia dell'indignazione popolare, stigmatizzata dal Presidente della Repubblica, scesa a manifestare più volte in piazza in questi giorni, per protestare contro un capo del governo corrotto e considerato indirettamente responsabile dell'accaduto. Così oltre a lui è ovviamente caduto l'intero governo ed il sindaco del distretto 4 di Bucarest dove era ubicata la discoteca.




Adiacente all'area balcanica c'è poi la Grecia, dove è arrivato Martin Schulz, Presidente del Parlamento Europeo, in visita presso il centro di accoglienza per rifugiati di Atene, nel giorno in cui i primi trenta rifugiati sono stati ricollocati verso il Lussemburgo. Si proprio così, un evento organizzato per lo spostamento di trenta persone, nel quadro di un fenomeno che ne vede in giro per la rotta balcanica centinaia di migliaia. La Grecia dovrebbe ospitare, in seguito agli accordi europei, circa 50 mila persone all'anno. Ma ovviamente questa storia delle quote essendo un evidente pasticcio, non può avere nessuna rispondenza con la realtà, perché il numero dei rifugiati è impossibile determinarlo, viste le continue recrudescenze belliche nei paesi di riferimento. A ciò si aggiunga la perdita di dignità dell'Europa, considerato che in soli quattro paesi mediorientali sono stati ospitati sei milioni di rifugiati.

E allora si riparla di soldi aggiuntivi da assegnare alla Grecia, ma anche si ripetono le solite affermazioni fini a se stesse rispetto poi ai fatti che vengono messi in campo, le solite filastrocche insomma: "Credo che sia relativamente semplice capire che questo non è solo un problema greco. Si tratta di un problema comune europeo e possiamo risolverlo solo lavorando tutti insieme".




Credit NOVA, ANSA, AGI

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