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La globalizzazione e le interzone del mondo





di Marco Marano


Bologna, 20 febbraio 2011 - Ci sono delle storie che andrebbero raccontate, come tante ce ne possono essere in questa società di visionari… Sono storie che hanno come protagonisti donne e uomini ognuno con le proprie tensioni morali. Donne e uomini che si spostano verso direzioni contemplate mentre il mondo gira vorticosamente... Storie che ne raccolgono altre, perché collegate da un comune denominatore.

Ma come iniziarle delle storie così? In effetti, del loro inizio si sa qualcosa, ma della loro fine nessuno ne sa niente… Si possono solo fare delle supposizioni. Di elementi ce ne sarebbero, e anche tanti… C'è la Società Globale ad esempio. La società delle merci. La società della quantità sulla qualità. La società elettrica, dove prodotti, servizi, informazioni, know-how si muovono all'interno del mercato, in cui tutto è condiviso in funzione dello scambio, e questo grazie ai processi di comunicazione. Ci sono poi delle rivoluzioni popolari in medioriente e in Africa del nord, dove attraverso "gli echi risonanti" dei social network, sono state defenestrate autocrazie e oligarghie autoritarie. E poi c'è la crisi del sistema economico occidentale, che sta mettendo in ginocchio l'Europa del sud, ma che rivela una crisi più generale, dove sulla finanza e sulle banche  si fondano le politiche globali e non sul benessere dei cittadini, dimostrando come il concetto di democrazia occidentale nasconda privilegi e ingiustizia.

Oggi più che mai sappiamo che società globale è anche interazione tra culture, linguaggi, codici che si uniscono e ci uniscono, in una unica soluzione di continuità, nel bene e nel male. E’ storia di incontri, è storia di sconfitte, è storia di conflitti, prima di tutto con noi stessi… Ma è anche storia di sopprusi, di angherie, di vessazioni più o meno palesi, più o meno dichiarate. E’ la storia insomma di milioni di persone che continuano a vivere, volenti o nolenti, in una situazione permanente di assenza. Ma qual è la forma più perversa di assenza in un mondo capovolto come il nostro… ? Forse l’assenza di limiti, secondo il tradizionale approccio alla pubblicistica weberiana sull’etica del capitalismo: la capitalizzazione non può avere un limite, e questo è un disegno scritto che fonda la sua ragion d’essere sulla predestinazione… Allora, se sull’assenza di limiti si fonda la società contemporanea, questo determina un mondo sociale comunque di eccessi, dove gli eccessi vengono in alcuni casi giustamente criminalizzati mentre in altri rientrano nelle comuni routines quotidiane, anche se vengono ben nascoste. Ecco che la sfera privata sfocia su quella pubblica in modo perverso, completando il processo sociale nel suo risultato ultimo…

Quale concetto etico di libertà può essere possibile nella società globale, escludendo il concetto di libero scambio? Forse quello proprio alla tradizione illuministica, che si sposa al concetto empirico di liberazione. Etica e realtà sociale s’incontrano, costruendo un percorso della memoria, che si traduce, al tempo stesso, in un grido di dolore per quelle realtà sociali che sono state espropriate della libertà e che oggi aspirano alla liberazione. Possiamo pensarlo, forse, come un rito popolare che fa incontrare i giovani e gli anziani, come segno di un patrimonio comune da tramandare costantemente.

Il concetto etico di libertà è un vero e proprio luogo sociale dove è possibile sentire i sapori della solidarietà, il senso dell'aggregazione come valore generazionale. Un “raduno” popolare dove non esistono differenze, dove tutti possono incontrarsi con le loro storie, le loro vite, ricordando il senso stesso della libertà. Si tratta di fratellanza delle emozioni, quelle più semplici, più naturali. Uomini, donne, vecchi, bambini, uniti dal sorriso e dall'allegria, possono incontrarsi in una sorta di armonia popolare. Un sapore d'altri tempi che plana nelle strade, come se il tempo si fosse fermato. E’ un luogo sociale dove diverse etnie possono incontrarsi nel segno della libertà e dell’uguaglianza, non termini alternativi l’uno all’altro, ma complementari… Un luogo dove i muri vengono abbattuti, e tutto ritorna nella giusta dimensione, in nome dell'umanità perduta, e della solidarietà ritrovata. Un luogo dove riprendere il nesso che unisce gli uomini liberi alla collettività, per ricordare che gli uomini la libertà la debbono sentire dentro. Deve essere guida delle loro azioni, anche quando il potere cerca d'impedirlo. Quel potere che spesso fa leva sui bisogni, tesi a consumare merci, che mediaticamente si trasformano in simboli. Ma i simboli veri sono ben altri…

Se liberazione e libertà sono dunque dimensioni direttamente proporzionali, nel senso che per ottenere la libertà occorre un movimento di liberazione, oggi questo movimento occorre costruirlo in zone del mondo dove le principali garanzie di uno stato di diritto non hanno cittadinanza. Diritti e cittadinanza sono gli elementi prodromici su cui la libertà si fonda, e la società occidentale, nel suo complesso, dovrebbe farsene carico. Parliamo della società della solidarietà, la società dei mondi e dell'unione tra i popoli, che può oltrepassare i confini del mercato globale, per riscoprire i valori della civiltà contemporanea, nata dallo "spirito libertario dei padri fondatori", che in tre secoli hanno eretto gli Stati sulla base di Dichiarazioni e Carte dei valori dell'uomo. In questi tre secoli però i diritti di cittadinanza sono stati sistematicamente calpestati. E oggi, che ereditiamo comunque il patrimonio filosofico della civiltà occidentale, non è che le cose siano cambiate poi di tanto.

Le aree urbane brasiliane o messicane come gran parte del sud America oppure il mezzogiorno d'Italia o  la stragrande maggioranza del continente africano, sub Sahara e corno d'Africa in specialmodo, sono alcune di queste zone del mondo. Anzi per dirla con una parafrasi burroghsiana potremmo definirle “interzone del mondo”, luoghi sociali dove è ancora in atto la ricerca di libertà, intesa in senso illuministico. E' proprio in queste interzone che viene a manifestarsi una delle più grandi e gravi contraddizioni della nostra epoca, poiché in questi territori, dove la ricchezza del sistema di vita post-industriale, capitalistico e tecnologizzato è parte integrante come nel mezzogiorno d'Italia o in qualche modo indotto come in Brasile, convivono globalismo, nel senso dello sviluppo dei mercati e tribalismo, nel senso della gestione del territorio. Infatti, in ambedue questi luoghi sociali, geograficamente agli antipodi, cioè mediterraneo e tropici, esistono prassi estremamente simili nella gestione del territorio, poiché la legittimità del concetto di autorità, come quello di norma collettiva condivisa non vengono prioritariamente riconosciti allo Stato ma a terzi. Ecco che il potere decisionale passa attraverso oligarchie non direttamente collegate al sistema politico. Sono lobbies, clan, famiglie, gruppi imprenditoriali che attraverso il sistema poilitico-burocratico canalizzano le risorse economiche. Ecco perchè a livello territoriale in questi luoghi sociali esiste sempre di più la forbice tra chi ha tantissimo e chi ha niente o poco, processo che ha praticamente eroso la classe media, erosione che nell'area mediterranea si manifesta naturalmente in modo diverso da quella tropicale, pensiamo alla intergenerazionale fuga dei cervelli dal meridione italiano e pensiamo alla chimera di una vita migliore su cui si è costruito lo stereotipo della donna brasiliana, che cerca il turista per evadere da quel mondo... Sia nell'uno che nell'altro caso di processi migratori si tratta.

Esistono quindi elementi comuni tra dimensioni sociali geograficamente, politicamente ed economicamente differenti, che possono essere sintetizzati nell'anomia sociale, nell'assenza dei diritti di cittadinanza, nell'esautoramento dello stato di diritto e quindi dei luoghi di legittimazione del potere istituzionale, e soprattutto nella presenza di eserciti irregolari, legati a famiglie, che, in modo omnicomprensivo, possiamo definire mafiose, e che concorrono, con gli altri gruppi, alla gestione delle risorse economiche. Quest'ultimo elemento è quello più connotativo, poiché la presenza di eserciti irregolari o in regime di monopolio o antagonisti tra loro, ci riporta alla società tribale, cioè ad una società dove le tribù si combattono sul territorio per l'affermazione del proprio potere.

Al di là di qualsivoglia pensiero generalizzante, tipo: "In Italia la mafia è al nord come al sud", un sistema di potere mafioso si contraddistingue, prima che per gli investimenti finanziari nelle grandi aree industriali,  per la lotta tribale sul territorio, attraverso gli eserciti irregolari che hanno le loro zone protette: i quartieri ghetto nelle città mediterranee, le favelas ai tropici,  i bush o anche le cinture urbane nel continente africano... Perchè è proprio il controllo armato di specifici territori che da la possibilità di implementare grandi ricchezze da investire altrove. Lo fa cosa nostra o la 'ndrangheta o la camorra, lo fanno i narcos messicani e brasiliani, lo fanno i dittatori e gli oligarchi africani.

Le storie che andrebbero raccontate partono forse da questa tragica e paradossale similitudine...

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