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Visualizzazione dei post da marzo, 2011

L'ESODO, I CLANDESTINI, I RICHIEDENTI E LA BARBARIE

foto ANSA Appena pochi giorni fa Asfaw e Feketre non avrebbero mai potuto immaginare che il loro piccolo sarebbe nato a bordo di una barca, dopo l'ennesima fuga della loro vita. Già erano scappati qualche anno addietro dall'Etiopia, paese in perenne stato di guerra, per rifugarsi in Libia dove, presumibilmente hanno guadagnato la protezione internazionale grazie ad un ufficio a Tripoli dell'UNHCR. Ma lì, in quel paese arabo stavano male, perchè gli africani, quelli neri, erano fortemente maltrattati dalle forze dell'ordine: nella Libia di Gheddafi bastava avere la pelle nera per essere arrestato, torturato, venduto, stuprato. E ad Asfaw fu proprio questo che gli successe: sei mesi di galera per essere nero. foto ANSA La guerra civile in corso ha ulteriormente amplificato i pericoli per cui non se lo sono fatti dire due volte, lui e sua moglie, quando lo scafista gli ha improvvisamente comunicato che potervano partire. Ci ha pensato lui a farlo nascere, questo p

SIRIA: LA RIVOLUZIONE E LA RESA DEI CONTI

foto PeaceRporter Ormai le notizie sulla situazione in Siria si succedono in modo incessane. Sono 150, allo stato attuale, i morti sul campo. E' di oggi la notizia che la cità di Daraa è stata accerchiata dai carri armati del regime. Durante l'ultimo venerdi della collera, che ormai sembra diventato un vero e proprio rituale rivoluzionario arabo, ribattezzato nella versione siriana in "Venerdì della Dignità", sono morte 13 persone. Oltre che a Daraa, in varie città si è combattuto: da Damasco fino ad Hama, diventata città simbolo per la repressione nel sangue da parte del padre dell'attuale presidente nei confronti di una rivolta dei Fratelli Musulmani, era il 1982. foto PeaceReporter Ma forse il momento che meglio fotografa questa rivoluzione e questa autocrazia è stato l'arresto di una intera scolaresca di bambini che intonavano canti contro il potere costituito. Si, perchè la Siria è uno dei paesi più duri, dal punto di vista delle garanzie di cittadi

RAS JADIR: UNA STORIA DA RACCONTARE

foto ANSA Migliaia di tende bianche messe in fila a schiera sembrano, viste dall'alto, serre per coltivare ortaggi, ma lì, nel campo di Ras Jadir, al confine tra la Libia e la Tunisia, riparano centinaia di migliaia di esseri umani che scappano dalla follia omicida di un despota che ha deciso di restare al potere a tutti i costi. Qualche giorno fa, nell'ospedale da campo messo a disposizione dal Marocco, è nata Miriama, figlia di una coppia di rifugiati somali: sta bene e nella violenza di questi giorni quei due genitori sono l'espressione della vita in un contesto di morte e distruzione. foto blog panorama.it Perché da lì continuano a passare migliaia di persone di varie nazionalità che per anni si sono trovati a vivere in Libia: egiziani, bengalesi, cinesi, indiani, e vari gruppi provenienti dall'Africa sub sahariana, molti di loro scambiati per mercenari assoldati da Gheddafi, perché di pelle nera. Già, i mercenari, che hanno spogliato di tutti i loro averi quest

LA LIBIA E IL GIOCO DELLE IPOCRISIE NEL RICORDO DEL RUANDA

foto Afp Da quando è iniziato l'attacco in Libia da parte di alcuni paesi dell'occidente, in seguito alla risoluzione 1973 delle Nazioni Unite, è iniziato il solito gioco delle ipocrisie. Da un lato i governi occidentali, che dopo un mese di massacri dei civili libici si sono decisi ad intervenire, con la motivazione ufficiale di difendere la popolazione inerme, mentre nella realtà c'è la gara a posizionarsi sul mercato petrolifero per chi deve essere il principale partner economico della Libia dopo Gheddafi. foto PeaceReporter La Francia che per prima ha spinto l'intevento militare ha ben chiaro i propri obiettivi insieme alla Gran Bretagna: togliere di mezzo Gheddafi a prescindere dall'ONU e dalla NATO. La Russia e la Cina aveva già assaporato l'idea di fare affari con Gheddafi. L'Italia ha una posizione diversa ogni qual volta un suo ministro apre bocca, ma dopo le parole chiarifichatrici di La Russa, che ha chiaramente detto che loro dopo voglion

LIBIA: HANNO ATTACCATO!

foto Repubblica.it Ci siamo dunque, la resa dei conti ha inizio. Alle 17,45 dei caccia francesi hanno bombardato un blindato delle forze lealiste di Gheddafi. Stamattina Bengasi era stata accerchiata dalle milizie, i bombardamenti sono iniziati alle sei del mattino e si continua a combattere nella periferia sud. Una città spettrale, spaventata, dove alcuni rimangono a combattere e tanti altri fuggono per salvarsi la vita. Intanto nelle prime ore del pomeriggio numerosi caccia «Rafale» francesi hanno iniziato a sorvolare la città, gli stessi che la Francia ha cercato di vendere a Gheddafi solo due anni fa. Queste ricognizioni sono iniziate pochi minuti prima che il Presidente Sarkozy, che ha ospitato il summit della "coalizione dei volenterosi", riunitosi in seguito alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU sulla No-fly Zone, pronunciasse "la dichiarazione di guerra" a Gheddafi. foto PeaceReporter "Il popolo libico – ha sottolineato il Pre

L'UNITA' MULTIETNCA D'ITALIA

Le celebrazioni del 17 marzo, festa dei 150 anni dell'unità d'Italia, sono stati caratterizzati da tre elementi. Innanzitutto il contesto globale: dal disastro naturale e nucleare del Giappone alle rivoluzioni nel medioriente, in particolare in Libia, dove un'altro disastro diplomatico potrebbe ancora determinare una carneficina, anche se in extremis ieri sera è stata votata la No Fly Zone dal Consiglio di sicurezza dell'ONU. Poi, la grande opera da parte del Presidente della Repubblica Italiana Napolitano di ridare dignità a questa nazione, diventata la barzelletta dell'occidente. Ancora la solita nota stonata della Lega, stoppata da tutti i sondaggi d'opinione sul valore dell'unità nazionale. Infine, ma non ultima, il coinvolgimento nella "Festa dell'Italia" di tutti quei cittadini migranti di prima e seconda generazione. A Bologna, alcune realtà di privato sociale, patrocinate dall'Asp Poveri Vergognosi, hanno organizzato una f

LIBIA: GLI INTRIGHI INTERNAZIONALI E LA CADUTA DI BENGASI

foto PeaceReporter Dunque ci siamo, ancora poche ore e Bengasi, la città più importante della Cirenaica, quartier generale della resistenza libica, dov'è insediato il "Consiglio Nazionale", cadrà sotto il fuoco delle milizie di Gheddafi, e anche questa volta si assiste alla solita "messa in scena" della comunità internazionale, nelle sue varie sedi istituzionali, costruita sull'immobilismo. Anche questa volta la trama sembrà già scritta, come altre volte nella storia recente: dalla pulizia etnica nell'ex Jugoslavia al milione di morti in Ruanda. Anche questa volta si ripete il "gioco delle parti", estenuante e insopportabile perchè fatto sulla pelle della gente. Sono giovani studenti, intellettuali, disocupati, lavoratori stanchi di vivere sotto una dittatura, che agognano una vita normale, in una società garantita dalla democrazia. Sono questi che hanno imbracciato le armi contro il despota e stanno aspettando di essere massacrati dalla

BAHRAIN: IL GIOCO DELLE PARTI

  foto PeaceReporter Ormai è quasi un mese che in Piazza delle Perle, nel centro di Manama, stazionano centinaia di persone, in una sorta di sit-in permanente. "Non ce ne andremo da qui, almeno fino a quando non verranno accordate le riforme!" E' questa l'espressione più ricorrente che i manifestanti urlano a squarciagola. Ma gli scontri con le forze dell'ordine si sono succeduti in queste ore anche in altre parti della città: dal campus universitario al complesso del "Financial Harbour", nel distretto finanziario della città, considerato il principale simbolo della corruzione del regime. Negli ultimi due giorni vi sono stati gli scontri più duri da quando è stata innescata la protesta: una decina di morti, una sessantina di dispersi e centinaia di feriti, fino ad adesso. La notizia del giorno è che alcuni paesi arabi, riuniti sotto la sigla, del "Consiglio di Cooperazione del Golfo", per smorzare gli animi protestatari sta inviando tru

REVOLUTION NEWS: EGITTO E ARABIA SAUDITA

Il miracolo egiziano foto AsiaNews All’inizio della scorsa settimana le violenze interconfessionali tra cristiani e musulmani, avevano messo in discussione la grande protesta popolare che aveva provocato la defenestrazione di Mubarak. Chiese bruciate, violenze nelle strade, morti e feriti, avevano trascinato la protesta riformatrice verso una deriva di tipo religioso. Già venerdi scorso in piazza Tahrir c’erano centinaia di persone, sia cristiani che musulmani, per ribadire l’unità interconfessionale del popolo egiziano, annunciando, come già era stato fatto in rete, che il giorno dopo sarebbero scesi in piazza un milione di persone per ribadire che la rivoluzione egiziana non è a carattere religioso: l’obiettivo di tutti è vivere in uno stato democratico. foto AsiaNews Il giorno dopo non c’erano certo un milione di persone per le strade del Cairo ma migliaia di egiziani si sono riversati nella capitale per affermare il carattere non confessionale delle loro proteste. Caso

CRISI LIBICA: L'UE RICONOSCE IL CONSIGLIO NAZIONALE

Il Parlamento europeo chiede ai governi UE di riconoscere il Consiglio nazionale della transizione come l'autorità che rappresenta ufficialmente l'opposizione libica. La risoluzione approvata invita l'UE a prepararsi alla possibile istituzione di una "no-fly zone" per impedire a Gheddafi di colpire la popolazione e aiutare il rimpatrio di chi fugge dalla violenza. I deputati chiedono anche l'applicazione del principio di solidarietà nel controllo delle frontiere. I governi dell'UE "devono tenersi pronti per una decisione nell'ambito del Consiglio di sicurezza dell'ONU circa ulteriori misure, compresa la possibilità di prevedere una zona di interdizione al volo", in coordinazione con la Lega araba e l'Unione africana, affermano i deputati nella risoluzione adottata a larga maggioranza con 584 voti a favore, 18 contrari e 18 astensioni. Durante il dibattito di mercoledì, solo il gruppo GUE (Sinistra Unita) si è espresso contro la

EGITTO: CHI GETTA BENZINA SUL FUOCO?

foto AsiaNews Gli ultimi giorni della capitale egiziana il Cairo sono stati caratterizzati da aspri scontri, in una guerra religiosa che sembra riaccendersi tra la minoranza dei cristiani copti e la maggioranza dei musulmani. Abbiamo raccontato la storia della faida familiare che ha scatenato la violenza, ma alcuni aspetti che entrano in questa vicenda e che vi si avvicinano, non sembrano facilmente decodificabili. Ma partiamo dai fatti… Se lo scontro tra le due confessioni religiose in Egitto è in qualche modo secolarizzato, da Nasser in poi non vi sono mai stati eventi legati a fatti di violenza o intimidazione tra le due comunità, almeno fino a quando al Qaeda non è entrata nella scena internazionale, il cui leader ha di tanto in tanto buttato un po’ di benzina sul fuoco. Il primo vero evento luttuoso si ha nella notte di capodanno. Dalla chiesa dei Santi di Alessandria stanno per uscire i fedeli, ed è proprio in quel momento che esplode una bomba. Rimangono uccise ventuno persone,

EGITTO: CRONACA DI UNA FAIDA ANNUNCIATA

Quando, in quelle terre antiche, ci fu lo scisma, i copti erano la setta cristiana che credeva nella natura umana quanto nella natura divina di Cristo, ma non nella commistione delle due. Dal IV secolo i cristiani delle terre d'Egitto sono copti. Dopo l'avanzata araba sul territorio, dovettero resistere e restarono in pochi, una setta appunto: oggi sono appena il dieci per cento. Da sempre sono stati soggetti a violenze da parte della maggioranza, anche se la legislazione islamica gli permetteva di professare le loro idee, mettendo però due precetti indissolubili: nessuna conversione al cristianesimo da parte di un islamico e nessun matrimonio tra una donna musulmana e un uomo cristiano, pena la morte... Ashaf questo lo sapeva benissimo ma non gli importava perchè lui l'amava quella ragazza musulmana. Del resto non voleva neanche convertirsi all'islamismo, perchè questo avrebbe significato tradire la propria famiglia. Una famiglia di contadini, nel villaggio di So

YEMEN: TUTTI CONTRO IL PRESIDENTE

Continuano gli scontri e le proteste contro il Presidente yemenita Ali Abdallah Salih, capo del “ General People's Congress”, nelle due città più importanti del paese, Sana'a e Aden: nella prima le forze dell’ordine hanno aperto il fuoco contro i manifestanti ferendo tre persone, di cui una è morta stamattina, mentre nell’altra città, gruppi organizzati di oppositori al regime hanno assaltato alcune scuole pubbliche per costringere gli insegnanti a scendere in piazza, tutto tra venerdi scorso e la giornata di ieri. Le proteste, sull’onda dei moti tunisini ed egiziani, sono state innescate il 2 febbraio, generate dal tentativo di revisione costituzionale del Presidente, attraverso cui puntava ad ottenere un nuovo mandato oltre la scadenza del 2013, scongiurata dalle sue dichiarazioni successive tese a non ricandidarsi. La settimana seguente è stato organizzato, da parte di un gruppo di giovani, che hanno fatto girare su internet un appello contro il governo, il cosiddetto “ve