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L'ESODO, I CLANDESTINI, I RICHIEDENTI E LA BARBARIE




foto ANSA


Appena pochi giorni fa Asfaw e Feketre non avrebbero mai potuto immaginare che il loro piccolo sarebbe nato a bordo di una barca, dopo l'ennesima fuga della loro vita. Già erano scappati qualche anno addietro dall'Etiopia, paese in perenne stato di guerra, per rifugarsi in Libia dove, presumibilmente hanno guadagnato la protezione internazionale grazie ad un ufficio a Tripoli dell'UNHCR. Ma lì, in quel paese arabo stavano male, perchè gli africani, quelli neri, erano fortemente maltrattati dalle forze dell'ordine: nella Libia di Gheddafi bastava avere la pelle nera per essere arrestato, torturato, venduto, stuprato. E ad Asfaw fu proprio questo che gli successe: sei mesi di galera per essere nero.


foto ANSA


La guerra civile in corso ha ulteriormente amplificato i pericoli per cui non se lo sono fatti dire due volte, lui e sua moglie, quando lo scafista gli ha improvvisamente comunicato che potervano partire. Ci ha pensato lui a farlo nascere, questo piccolo grande uomo, insieme ai suoi compagni di sventura, che ormai tutti chiamano con l'appellativo di disperati. Poi, appena arrivati a Lampedusa, quelle stesse madri e donne che ormai da giorni urlano la loro rabbia, li hanno accompagnati in ospedale, portandogli doni e vestiti: "il corredo", come si dice in Sicilia. Yeabsera, lo hanno chiamato, dono di Dio, e quelle donne lampedusane gioiose perchè: "A Lampedusa era tanto che non nasceva un bambino", si sono strette attorno ai due giovani profughi. Ma in un'isola vicino che si chiama Linosa ci sono altre storie di donne e madri profughe. Storie diverse però. Sono madri eritree, etiopi, somale, madri violentate dai poliziotti libici, una volta che sono state respinte dalla Guardia di Finanza italiana o dalla Guardia Costiera, grazie al trattato tra il governo italiano e il leader libico Gheddafi. Donne che una volta costrette a tornare in terra libica sono state arrestate e gettate nei lager in mezzo al deserto, per poi essere violentate. Sono madri anche queste. madri che adesso nessuno a potuto più respingere...


foto ANSA

Se lo shock per tutto quello che sta succedendo a Lampedusa è fortissimo, per chi non si gira dall'altra parte, la dimensione della barbarie deve essere letta in tutto il suo contesto. Partendo dall'assunto che un luogo come Lampedusa dove vengono sospesi i diritti di cittadinanza sia in termini sanitari che adesso anche in termini di cibo per tutti, presuppone l'assenza totale del concetto di legge, quindi di governo del territorio. Beh, per la Sicilia è una vecchia storia, tanto vecchia che ha prodotto la mafia... L'assenza di governo insomma è fotografata da tante immagini e quella di Lampedusa è solo l'ultima.


foto ANSA


C'è l'immagine di quella donna etiope respinta in mare, dalla Guardia di Finanza italiana, a cui non è stato chiesto neanche da quale paese venisse e se la sua storia meritasse l'attenzione di una qualche commissione per il rilascio della protezione internazionale. C'è l'immagine di Ventimiglia, invasa da tre o quattromila tunisini, riusciti ad evadere dalle maglie del caos italiano per ricongiugersi in Francia con parenti o amici. C'è l'immagine del ministro dell'Interno che un mese fa urlava ai quattro venti di correre il rischio di essere invasi da un "esodo biblico". Urlava e chiedeva soldi all'Unione Europea, anzichè costituire una unità di crisi, mobilitare la protezione civile e l'esercito per la gestione dell'emergenza, creare un piano d'intervento chiedendo la collaborazione della Francia per i ricongiungimenti. Collegarsi all'UNHCR per condividere un piano strategico insieme ad altri paesi. E c'è anche l'immagine della videoconferenza tra Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Germania per discutere sul dopo Gheddafi, senza la presenza dell'Italia ovviamente, che fa da contraltare al discorso del Presidente Napolitano alle Nazioni Unite. C'è infine l'immagine di chi vorrebbe i respingimenti di massa, perchè se vengono dalla Tunisia sono clandestini se dalla Libia sono richiedenti. E' questa limmagine della barbarie.

 
 
 

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