Perseguitato in Cile e in Argentina, il popolo Mapuche
rivendica la salvaguardia della propria terra contro le speculazioni delle
holding occidentali
Notizie dai margini del mondo
by Marco Marano
Bologna,
13 gennaio 2017 – Picchiati, trascinati per i capelli,
minacciati, soggetti al fuoco ravvicinato delle forze dell’ordine…
E’ così che si apre il nuovo anno per il popolo Mapuche, i nativi
della Patagonia tra Cile e Argentina: 1.000.000 nel primo, 500.000
nel secondo.
Intorno a mezzogiorno di mercoledì 11 gennaio, nella comunità cilena di Trapilwe Mawidache, presso la zona di Makewe, nel Comune di Freire, a sud di Temuco, un’area letteralmente militarizzata, in seguito ad un controllo d’identità dei carabineros, tre donne, di cui una minorenne, sono state fermate, minacciate con le armi in pugno e picchiate, per poi essere caricate su un veicolo delle forze dell’ordine, dove le sevizie sono continuate. Come riferisce a Radio Villa Franca l’avvocatessa delle tre sventurate, Manuela Royo, le violenze sono continuate soprattutto nei confronti di una di loro poiché in segno di protesta ha incrociato le braccia. Le donne, che si chiamano Maria Quidel, Llancao Maritza e la figlia di 15 anni di cui sono state fornite le iniziali R.S., sono state trattenute senza motivo fino alla mattina seguente, con l’accusa di “disordine pubblico”. L’avvocatessa Royo ha annunciato che farà un’azione legale per tortura.
Il
giorno prima, martedì 10, nella parte argentina della Patagonia a Pu
Lof en Resistencia, afferente
al Dipartimento di Cushamen, nella provincia di Chubut,la
gendarmeria provinciale, dietro l’ordinanza di un giudice federale,
ha caricato gli attivisti di “Resistencia
Ancestral Mapuche” (RAM)
che da marzo 2015 occupavano un pezzo di ferrovia della Tronchida,
nel nord-ovest di Chubut, poiché quella terra, che rivendicano come
ancestrale, cioè appartenente ai nativi in quanto tali, è stata
acquistata dall’azienda italiana Benetton, che nella Patagonia
argentina possiede un milione di ettari. Le violenze hanno coinvolto
donne e bambini e gli attivisti hanno dovuto desistere dai loro
propositi, dopo un presidio durato una decina di mesi. Come
ritorsione la gendarmeria, il giorno dopo, entrava nella comunità,
senza nessun ordinanza del tribunale, al solo scopo di esercitare
violenza sulle persone, picchiando indiscriminatamente e sparando ad
altezza d’uomo. Il bilancio è stato di sette arresti, e di due
persone ricoverate in gravi condizioni.
Gli
interessi delle multinazionali occidentali sulla Patagonia cilena e
argentina, su cui ricadono le terre dei nativi Mapuche, che ne
rivendicano i diritti ancestrali, sono legati allo sfruttamento delle
risorse idriche e naturali come il legno. In Cile le loro
rivendicazioni sono state da sempre represse in modo violento a
prescindere dal tipo di regime in essere. Se le loro lotte contro le
multinazionali che saccheggiano il territorio sono state sempre non
violente, con qualche frangia più estrema, che prende di mira i
camionisti con incendi, blocchi stradali e scontri con i carabineros,
c’è da dire che la violentissima repressione nei loro confronti si
fonda sull’utilizzo della legge antiterrorismo creata da Pinochet e
mai abolita del tutto.
Ecco
perché in modo mistificatorio i cittadini nativi vengono considerati
terroristi e repressi brutalmente, così i carabineros possono
entrare indisturbati nei territori, che sono come detto
militarizzati, con blindati, camionette, idranti, armi antisommossa.
Così persecuzioni, maltrattamenti, arresti arbitrari coinvolgono
donne incinte, anziani e bambini, i quali vengono fatti assistere
alle violenze inflitte ai loro cari come forma di punizione. Tutto
questo nel democratico Cile della socialista Michelle
Bachelet.
A
ciò si aggiunga il cinismo delle multinazionali che costruiscono
centrali idroelettriche senza preoccuparsi delle emissioni di CO2,
nella generale assenza di sostenibilità ambientale, come ad esempio
nel caso della società austriaca Rp Global presso Tranguil, una
località cordillerana
del
comune di Panguipulli. O ancora come il progetto della centrale
idroelettrica del lago Neltume per opera di Enel-Endesa,
fortunatamente ritirato in seguito alle proteste.
Fonti e
credits: El Pais, Radio Villa Francia, ecomapuche.com
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