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C’è una parola che da qualche tempo rimbalza qua e là, tra le bocche dei politici italiani o le pagine dei media: “antipolitica”. Spiegava Saviano, in una delle sue apparizioni televisive, come le parole siano state espropriate dei loro significati. Parole importanti come famiglia e onore ad esempio sono diventate sinonimi di mafiosità.
Al di là di qualsivoglia interpretazione semiotica, la verità è che il rapporto tra significante e significato, cioè tra piano del contenuto e piano della forma di sassuriana memoria, non è più legato allo specifico linguistico di un paese ma piuttosto al contesto storico-sociale in cui si evolve.
Il concetto di antipolitica riporta a significati legati alla negazione della politica quale strumento per la salvaguardia del senso di comunità, del bene pubblico, del benessere sociale. Perché è di questo che la politica dovrebbe occuparsi. Del resto, questi sono gli elementi fondamentali dello statuto etico su cui si regge un sistema politico liberal-democratico.
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Qualche settimana fa la Presidentessa del Brasile Dilma Rousseff, che ricordiamo ha un passato di comunista combattente durante la dittatura, per questo arrestata e torturata, in un recente servizio del New Yorker criticava l’Europa per la gestione politica della crisi economica, osservando che alla base della rinascita brasiliana vi è un semplice assunto, tra l'altro, legato alla tradizione liberal-democratica: “migliorare le condizioni di vita del popolo”.
Si, però, c’è qualcosa che non torna. Lasciamo perdere l’assenza di dimensione politica dell’Unione Europea, ormai conclamatasi in “Unione Bancaria Europea”, visto che il fallimento della Grecia, con quello che significa dal punto di vista sociale, lascia praticamente tutti indifferenti, concentriamoci sull’Italia e sullo statuto etico alla base del suo sistema politico.
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Se, come diceva Dilma Rousseff, la politica, in democrazia, dovrebbe identificarsi col miglioramento delle condizioni di vita del popolo, in Italia a chi dovrebbe essere affibbiato il concetto di antipolitica, ai partiti tradizionali o ad esempio al Movimento Cinque Stelle?
Andando a spulciare gli ultimi rapporti statistici tra Istat ed Eurobarometro, tanto per non restare legati alla vita quotidiana di ognuno di noi, esce fuori una fotografia incredibile, al di là della crisi economica.
Il 52 per cento delle pensioni è sotto i mille euro, il 16 per cento dei minori è in povertà relativa, gli stipendi sono i più bassi e le tasse sono le più alte tra i paesi industrializzati, le tasse sul lavoro sono le più alte d’Europa, e il livello di evasione fiscale è il più alto tra i paesi occidentali. Due persone su tre entrano nel mercato del lavoro per clientela, ecco perché, oltre al tasso catastrofico di disoccupazione, vi è una larga fetta di popolazione giovanile che non avendo rapporti di clientela familistici, rinuncia a cercare lavoro.
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Praticamente cinque regioni della penisola hanno i territori controllati da apparati militari irregolari, mafia, camorra, ndrangheta, dove esercitano il controllo dei sistemi economici illeciti, maggiore del prodotto interno lordo lecito: ma questa è storia antica, anzi antichissima. Una storia antica con prove e riscontri sul fatto che questi eserciti irregolari hanno il “lascia passere” del sistema politico, il quale anziché puntare sul miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini utilizza i fondi pubblici per il proprio arricchimento: dalla Cassa per il Mezzogiorno al Fondo Sociale Europeo.
I parlamentari italiani sono i più pagati d’Europa, dopo un referendum che aboliva il finanziamento pubblico dei partiti, hanno cambiato il nome chiamandoli rimborsi elettorali. Entrare nel parlamento italiano significa “fare i soldi”, anche perché i partiti, proprio per questi meccanismi e dunque per l’ingente mola di danaro che gestiscono, senza nessun obbligo contabile, poiché non sono soggetti giuridici, assomigliano più a dei sistemi bancari che non ad organizzazioni politiche.
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Per tali ragioni, dalla pubblicistica, questo sistema è stato connotato in termini di “casta”. E le caste difficilmente lasciano le proprie “rendite di posizione”. Ecco perché è tecnicamente impossibile che in Italia ci possa essere un ricambio generazionale del sistema politico, come in ogni sistema liberal-democratico che si rispetti, dove una volta finito il proprio ciclo vitale gli uomini politici escono di scena.
Inoltre, come ogni casta oligarchica, essa è assolutamente incapace di leggere la realtà poiché è concentrata sul mantenimento della propria realtà. Ciò significa che le leggi che vengono prodotte anziché migliorare le condizioni di vita della gente il più delle volte le peggiorano.
Inoltre, come ogni casta oligarchica, essa è assolutamente incapace di leggere la realtà poiché è concentrata sul mantenimento della propria realtà. Ciò significa che le leggi che vengono prodotte anziché migliorare le condizioni di vita della gente il più delle volte le peggiorano.
Due esempi per tutti… Chi si ricorda della legge Biagi, o per meglio dire “pseudo” Biagi? Una legge che era stata salutata come la panacea di tutti i mali, che avrebbe migliorato il mondo del lavoro italiano… E cosa hanno fatto gli oligarchi? Hanno inventato miriadi di forme contrattuali, mantenendo precarietà e vassallaggio, hanno messo l’obbligo per il lavoratori autonomi di aprirsi le partite iva, aumentandone le spese di gestione e le tasse. Per un lavoratore autonomo che fattura 15000 euro l’anno cosa significa aprire una partita iva, migliorare o peggiorare le condizioni di vita? Oppure, cosa significa per un lavoratore autonomo essere “assunto informalmente” da un’azienda attraverso la partita iva, migliorare o peggiorare le sue condizioni di vita?
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E che dire della legge contro l’immigrazione, con la creazione dei CIE, dove chi non è in regola con il permesso di soggiorno viene arrestato. Bisogna ricordare che attraverso di essa sono stati respinti cittadini dell’Africa sub sahariana in possesso dei requisiti per la domanda di protezione internazionale, sancita dal diritto internazionale, vedi Convenzione di Ginevra del ‘51, e questo avveniva quando i dittatori, prima della primavera araba, erano partner privilegiati dell’Italia, i quali hanno accolto i respinti nelle loro galere tra torture, stupri e massacri silenziosi; quei respingimenti sono stati poi sanzionati dalla Corte di giustizia europea.
Ma un’altra brevissima storia vogliamo raccontare, quella di un giovane che vuole fare l’imprenditore, ammesso che abbia dei soldi o delle rendite familiari che possano garantire i crediti bancari, perché viceversa nessuna banca lo finanzierebbe. Ecco, quel giovane imprenditore dovrà fare una via crucis di mesi o anni tra le carte bollate e gli adempimenti burocratici, poiché solo per spostare un fascicolo da una scrivania ad un'altra in un ufficio della pubblica amministrazione qualsivoglia possono passare mesi. Se quell’imprenditore vive in Sicilia prima o poi gli verrà offerto l’aiuto di questo o quel boss per “risolvere la situazione” per poi tornare il favore a futura memoria, vita natural durante, se invece vive in Lombardia basta una o più mazzette a questo o quel impiegato di turno o politico di riferimento.
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Ma un altro quesito sorge spontaneo: la fotografia di un paese come questo è più simile alle nazioni industrializzate di tipo liberal-democratico o piuttosto agli stati oligarchici sudamericani o africani? La risposta appare scontata, per cui si potrebbe parlare di uno strano caso di "oligarchia mediterranea", dove, appunto, viene corrotto lo statuto etico del sistema politico, non più legato al miglioramento delle condizioni di vita del popolo, ma all’arricchimento delle oligarchie in quanto tali.
In termini ancora più peggiorativi è lo stesso modello costruito in Grecia all’indomani della dittatura dei colonnelli, che ha portato negli ultimi anni l’establishment a truccare i conti delle leggi di bilancio. Ma è anche la condizione della Spagna, dove la corruzione dello statuto etico del sistema politico sta portando il paese verso la catastrofe. Ecco perché possiamo parlare in questi casi non di sistemi libelral-democratici ma di oligarchie mediterranee, che sono poi quelle che rischiano di essere espulse dalla zona euro, proprio perché la crisi internazionale ha evidenziato le loro difformità.
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Abbiamo allora la certezza, per ritornare alla domanda iniziale sul significato della parola “antipolitica”, che essa non si riferisce al significato semantico del termine, perché se così fosse in Italia l’antipolitica sarebbe rappresentata proprio dallo stesso sistema politico, costruito sulle fidejussioni bancarie, sulle rendite di posizione delle “famiglie” interne ai partiti e sulle carriere dei singoli parlamentari.
Però attenzione, non bisogna dirle queste cose a chiare lettere e neanche con semplificazioni del tipo “sono tutti uguali, sono tutti ladri!” Al limite si potrebbe semplicemente bisbigliare perché se no si rischia seriamente di essere presi per qualunquisti oppure populisti e perché no anche demagoghi…
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