Le città europee strette tra la logica della fortezza e le differenti velocità di sviluppo
IN OBITUM MARE
"Il nostro messaggio è chiaro: tanti migranti stanno morendo, è arrivato il momento di fare di più che contare il numero delle vittime. E’ tempo di fare fronte comune affinché i migranti in gravi difficoltà non debbano subire violenze."
A parlare è il Direttore Generale dell’OIM William Lacy Swing; parole dure le sue a corollario del "Fatal Journeys", il rapporto dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, da cui escono fuori i dati raccapriccianti dei morti nel Mediterraneo… Il rapporto è stato effettuato nell’ambito del progetto "Missing Migrants Project", e mostra come l’Europa sia la destinazione più pericolosa al mondo. Infatti dal 2000 sono oltre 22.000 i migranti che vi hanno perso la vita, di cui 4.000 dall’inizio del 2013.
L'ASSENZA DI CITTADINANZA EUROPEA
Sembra estremamente chiaro che le ragioni di questa ecatombe siano concentrate sull’assenza di Europa… In questa sorta di ostentazione culturale a voler essere una fortezza impenetrabile nei confronti di chi decide che il viaggio diventa l’unica soluzione possibile per difendere la propria incolumità fisica. Non si tratta semplicemente del mancato rispetto dei trattati internazionali o dell’articolo 10 della Costituzione, per ciò che concerne l’Italia… Non si tratta neanche della precarietà economica, che da anni flagella i popoli europei, specialmente quelli nel bacino del Mediterraneo, che fanno emergere gli egoismi sociali stigmatizzati da partiti e movimenti di matrice razzista e xnofoba. Non si tratta di questo… Il problema vero è l’assenza di una logica identitaria della dimensione europea, perché la costruzione di un modello di cittadinanza omogeneo è un tema legato alla mission dei programmi europei che erogano i fondi strutturali, ma non alle politiche perseguite dai singoli stati. Su questa contraddizione in termini si giocano i destini dei popoli…
LA CARTA DI LAMPEDUSA
Forse è anche per questo motivo che quello che non fanno gli stati cercano di farlo i cittadini, e a proposito di migranti, la "Carta di Lampedusa" ne è l’esempio più calzante.
"La Carta di Lampedusa è il risultato di un processo costituente e di costruzione di un diritto dal basso che si è articolato attraverso l’incontro di molteplici realtà e persone che si sono ritrovate a Lampedusa dal 31 gennaio al 2 febbraio 2014, dopo la morte di più di 600 donne, uomini e bambini nei naufragi del 3 e dell’11 ottobre 2013, ultimi episodi di un Mediterraneo trasformatosi in cimitero marino per le responsabilità delle politiche di governo e di controllo delle migrazioni. Da molti anni le politiche di governo e di controllo dei movimenti delle persone, elemento funzionale alle politiche economiche contemporanee, promuovono la disuguaglianza e lo sfruttamento, fenomeni che si sono acuiti nella crisi economica e finanziaria di questi primi anni del nuovo millennio. L’Unione europea, in particolare, anche attraverso le sue scelte nelle politiche migratorie, sta disegnando una geografia politica, territoriale ed esistenziale per noi del tutto inaccettabile, basata su percorsi di esclusione e confinamento della mobilità, attraverso la separazione tra persone che hanno il diritto di muoversi liberamente e altre che per poterlo fare devono attraversare infiniti ostacoli, non ultimo quello del rischio della propria vita."
Eliminare il problema della morte in mare è estremamente semplice, diventa però complicato in una Europa assente di identità comune, perché la proposta del corridoio umanitario è quella più efficace e sostenibile, ma non si capisce per quale motivo, all’interno delle istituzioni europee, non si riesce neanche a parlarne… In breve, basterebbe creare delle sedi dell’Unhcr e dell’Ue sulle coste del nord Africa per l’accoglimento lì delle domande di protezione internazionale, eliminando alla base la necessità di traversare il mare mediante i trafficanti.
LE BUONE PRASSI SULL'INCLUSIONE SOCIALE
Ma torniamo alla contraddizione segnalata inizialmente, cioè quella di una Europa le cui istituzioni erogano programmi virtuosi, ma i cui stati si ostinano ad affrontare i temi sui processi migratori senza ricercare una strategia comune altrettanto virtuosa. Se questo è lo scenario c’è da dire che, dentro il contesto europeo, l’inclusione di quei migranti che riescono a sfuggire alla morte dal proprio paese e dal viaggio di fuga, viene gestita con modelli di gestione differenti, a seconda dell’organizzazione sociale di cui i singoli paesi si sono dotati.
Per comprenderne a fondo le dinamiche ci viene in aiuto proprio un progetto europeo conclusosi da poco, dal titolo "Mistra - Migrant Inclusion Strategies in European Cities", finanziato dal programma Lifelong Learning e realizzato attraverso la rete europea di enti pubblici e privati MetropolisNet. Attraverso questo progetto sono state individuate delle città europee esportatrici delle proprie migliori prassi sull’inclusione sociale dei migranti verso città meno attrezzate allo scopo. La prima indicazione interessante è che le principali città esportatrici appartengono al nord Europa, mentre quelle che hanno importato sono state dell’est o dell’area mediterranea. Ma il punto non è quello di accendere i riflettori sulle difficoltà dei paesi di nuova entrata nell’Unione Europea o di analizzare il livello di corruzione dei paesi mediterranei, che inficia qualsiasi modello di sviluppo sociale. La questione è invece incentrata sulle logiche, anzi potremmo dire sui paradigmi, che definiscono un modello virtuoso di inclusione sociale.
UNA IDEA DI SOCIETA': INTERCULTURA, DIVERSITA', APERTURA
A Berlino esiste, ad esempio, "Berlin braucht dich": Berlino ha bisogno di te. Già, è proprio la denominazione di questo organismo pubblico, finalizzato ad orientare, formare e inserire nel mondo del lavoro giovani con background migratorio. Attraverso questo ente è stata creata una rete, in una città è bene ricordarlo dove una persona su quattro è di origine straniera, tra 32 scuole e una cinquantina di aziende, per fare incrocio tra domanda e offerta di lavoro. Ma perché questa denominazione? Perché Berlino dice di aver bisogno dei giovani con background migratorio? Per il semplice fatto che essendo una città mondialista, come tutte le metropoli europee, ci sono tantissimi giovani che crescono in famiglie che non conoscono né la cultura della città né il panorama occupazionale, non riuscendo ad entrare in contatto col mondo del lavoro. Ecco che questa rete di aziende ha convenuto che i presupposti di una società giusta e sostenibile, nel mercato del lavoro, sono la partecipazione e le pari opportunità, e che utilizzare la diversità diventa un valore aggiunto per l’intero sistema sociale, anche in termini di accoglienza e benvenuto alle nuove generazioni. Intercultura, diversità, apertura diventano i fattori chiave del processo di sviluppo metropolitano, che devono essere favorite poiché questa è la realtà dell’oggi. L’idea di società sottesa è che "i nuovi arrivati" non devono essere integrati in un sistema omogeneo, ma è la società che deve trovare la sua forza proprio nelle differenze. Le aziende non fanno molto caso ai paesi di provenienza, anzi, in alcuni settori come quello immobiliare, i giovani con background migratorio sono ricercati perché la clientela è spesso straniera, quindi i dipendenti non solo possono comunicare linguisticamente in modo dinamico, ma alcune volte si pongono in termini di mediazione culturale.
L'ACCOGLIENZA COME MODELLO DI SOSTENIBILITA' SOCIALE
Era il 1995 quando a Vienna nasceva l’Integrations Haus, e questo di per se è un elemento interessante, non fosse altro perché ancora non era stata inaugurata la stagione delle grandi convenzioni europee, da Lisbona 2000 in poi, nelle quali venivano lanciate parole d’ordine come coesione sociale, integrazione, sostenibilità e via discorrendo… Si, perché l’Integrations Haus è oggi considerata una buona prassi europea nell’ambito dell’accoglienza e inclusione dei richiedenti asilo e dei possessori di protezione internazionale, realtà ante litteram circa i criteri di accoglienza dei migranti.
Struttura finanziata dal Ministero della Salute e dell’Educazione, dalla municipalità, dall’Unione Europea e da donazioni private, essa si muove all’interno di una rete pubblico/privata, le cui modalità organizzative consentono azioni di raccolta fondi anche attraverso campagne promozionali sul territorio. L’organizzazione di eventi e i dibattiti pubblici sono, in effetti, tra i principali strumenti di lavoro, poiché anche, e forse soprattutto, attraverso essi l’Integrations Haus propone sul territorio la sua azione di lobby istituzionale. E’ così, infatti, fornisce pareri su progetti di legge, tratta con i decisori politici, attivandosi per contribuire a costruire processi di miglioramento delle condizioni giuridiche e sociali dei migranti. Dal punto di vista dell’erogazione dei servizi l’approccio utilizzato è di tipo integrato, sia per ciò che concerne le metodologie di lavoro che per i servizi. Le due direzioni intraprese si sviluppano in termini di azioni supporto psico-sociale e di orientamento al sistema culturale locale, dall’alfabetizzazione linguistica alla formazione-lavoro, con progetti specifici di integrazione socio-lavorativa. Poi, vi è tutta la parte legata alle attività culturali e ricreative più generali.
Commenti
Posta un commento