Le donne della minoranza kurda si
trovano in prima linea a combattere tra l’Iraq e la Siria al fine di liberare
le loro “sorelle” ridotte in schiavitù nei due anni di occupazione jihadista
Notizie dal Rojava
by Marco Marano
Bologna, 17 novembre 2016 – Sono state rapite, stuprate, schiavizzate,
vendute nel mercato pubblico di Mosul, bruciate vive, massacrate e seppellite
nelle fosse comuni. Hanno urlato il proprio dolore per essere state allontanate
dai figli, usati come scudi umani. Hanno pianto i loro mariti e familiari trucidati.
Adesso, nel quadro della guerra siriana, urlano la loro rabbia e invocano la
vendetta, che da un anno preparano nascoste tra le montagne del Sinjar, nel nord-ovest dell’Irak, a 160 chilometri da Mosul, la cui
principale città, Shengal, fu scenario, nell’estate del 2014, di un vero e
proprio massacro collettivo da parte dell’Isis nei loro confronti. La città fu
liberata nel novembre 2015 dai peshmerga insieme ai combattenti del PKK di Abdullah Öcalan, ma
molti villaggi della catena montuosa del Sinjar rimasero sotto occupazione del califfato.
Difficile calcolare allo stato attuale il numero delle vittime: tra le 15.000 e
le 20.000 unità.
La notizia
arriva dal KJK, “Komalên
Jinên Kurdistan”
(Comunità delle donne del Kurdistan), che fa riferimento al Movimento
di liberazione delle donne del Kurdistan e di lotta universale delle donne, che in un comunicato emesso ieri annuncia l’inizio
delle operazioni militari su tutti i villaggi adiacenti alla catena montuosa. L’organizzazione
militare che si sta posizionando nei luoghi strategici si chiama YJS, Unità delle Donne di Sinjar, organizzate ed addestrate
proprio dal PKK subito dopo il massacro di Shengal, per rafforzare la
resistenza yazida degli epigoni uomini YBS (Unità di resistenza del Sinjar),
proprio quando si trattò di riprendere la città.
Ma
questo non è tutto, perché uno dei più importanti luoghi strategici delle
combattenti YJS è la Tal Afar che si trova tra Mosul e Raqqa in Siria. Questo
perché nella fuga dell’Isis tra le due città sono state deportate tantissime
donne yazide ridotte in schiavitù. In tal senso, risuona la dichiarazione di una
ufficiale delle YJS: «Non abbiamo
dimenticato quelle donne yazide vendute nei mercati di schiavi a Mosul o bruciate vive. Sappiamo
che molte sono ancora prigioniere dell’Isis, e ci aspettano per essere salvate.
Noi non ci fermeremo fino a quando tutte
saranno libere, fino a quando non ci vendicheremo…».
Ma
la guerra che le donne yazide stanno combattendo, prima che da esigenze militari,
parte da una visione ideologica del ruolo delle donne, che ha preso forma il 25
settembre scorso con la nascita del Movimento delle donne libere yazide, in
seguito alla seconda Assemblea delle donne di Shengal. Nella dichiarazione d’intenti,
la prima motivazione che si legge è la seguente: Per allargare
la lotta sulla libertà delle donne, contro le strutture di potere patriarcali e
sviluppare una organizzazione sociale democratica e libertaria basata sulla
forza di se stesse e la volontà…
Fonti
e credits: ANF News, ARA News, independent.co.uk
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