La
morte di Sandrine Bakayoko determinata dall'assenza di servizi
essenziali da parte della cooperativa che gestisce l'accoglienza
by Marco Marano
Bologna, 4 gennaio
2017 – E' morta da sola, chiusa in un bagno, mentre faceva la
doccia col marito fuori che invocava il suo nome. Era sempre
sorridente Sandrine, sperava in un futuro migliore: voleva fare la
parrucchiera, il sogno di una vita, per far venire il figlio di 8 anni lasciato in patria. Poi si è trovata a chiedere
l'asilo politico dentro una specie di girone infernale fatto di
"anime perse", in un comune di 190 anime, Cona,
nell'estrema cintura urbana di Venezia. Lo chiamano Centro di prima
accoglienza, una ex caserma con un tendone, priva di tutto:
assistenza medica, servizi igienici dignitosi, tavoli e sedie per
mangiare, armadietti... Un luogo infernale che può contenere circa
500 persone e ne "ospita" 1500: peggio che gli animali...
Poi la rivolta, dopo che Sandrine è morta di una trombo-embolia
polmonare fulminante... Gli operatori presi quasi in ostaggio dentro
una sorta di protesta degli oppressi senza la quale oggi non si
parlerebbe tanto di questo caso, perché della morte di una
venticinquenne ivoraiana non gliene sarebbe fregato a nessuno.
Già, proprio così.
Sandrine stava male e lì, in quel posto infernale, non ci doveva
stare. Ma di questo non è importato ad alcuno. I medici si sono
premurati a dire che si è trattata di morte naturale, scongiurando
qualsiasi voce di infezioni... Intanto la cooperativa che gestisce
quel luogo è anche pagata per monitorare la salute delle persone in
accoglienza. E allora i soldi stanziati per la parte socio-sanitaria
di quei richiedenti come sono stati spesi...? La risposta è
semplice, anche perché la Edeco, vertebra di un sistema di
cooperative nate dalla gestione dei rifiuti per finire al grande
business dei rifugiati, ha implementato un fatturato di 15 milioni,
secondo l'ultimo bilancio. Una sorta di holding "pigliatutto",
che attraverso una rete di protezioni politiche trasversali, da Forza
Italia al Pd, gestisce i pezzi maggiori dell'accoglienza tra Venezia,
Padova e Treviso. E' la "terra di mezzo veneta", già sotto
inchiesta dopo una storia di carte false per l'assegnazione di venti
posti sprar (il sistema di accoglienza nazionale del Ministero dell'Interno) presso il Comune di Due Carrare, in provincia di Padova,
con l'avallo di un funzionario della Prefettura.
Nel frattempo il nuovo
Ministro dell'Interno Minniti si premura ad annunciare la necessità
della riapertura dei CIE, cioè veri e propri luoghi di detenzione,
uno per ogni regione, perché secondo la sua visione e quindi quella
di questo governo, il problema maggiore è quello di rispedire
indietro nei loro paesi chi non merita la protezione
internazionale... Così continua la solita farsa, tesa a mascherare
un sistema diffuso di corruzione, speculazione, truffe e ruberie dove
classe politica e funzionari pubblici costituiscono la rete di
protezione di quel sistema privato fatto di cooperative, che anziché
fornire servizi che possano salvaguardare la vita delle persone e
integrarle nel sistema sociale italiano si intascano i soldi.
In tal modo i rifugiati
che escono dai programmi sia strutturali come lo Sprar che
emergenziali come ENA o Mare Nostrum, solo per fare un paio di
esempi, non sanno parlare l'italiano, non hanno un lavoro e men che
mai un luogo dove vivere. Questa condizione ha trasformato
l'identikit del nuovo "senza fissa dimora", in maggioranza
costituito da rifugiati, in Emilia Romagna come in Veneto come nel
Lazio come dappertutto in Italia. Così, i rigurgiti di xenofobia e
razzismo prendono il sopravvento in una popolazione che non riesce a
distinguere la realtà dalla finzione... Cui prodest?
Credits: Ansa, La Presse
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