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Gli orrori della prigione siriana di Saydnaya

Amnesty International pubblica un rapporto sulle torture e le impiccagioni dentro il carcere nei pressi di Damasco.

di Marco Marano

Bologna, 8 febbraio 2017 - E’ “raggelante” la fotografia che fa Amnesty International sulla pianificazione della tortura e degli assassinii di massa perpetrati dal regime siriano all’interno del carcere di Saydnaya, tra il 2011 e il 2015, anche se le cose non sembra siano ad oggi cambiate. I civili sospettati di essere oppositori del regime che sono stati giustiziati in cinque anni in modo crudele sono 13.000. Il rapporto è  intitolato “Il mattatoio di esseri umani: impiccagioni di massa e sterminio nella prigione di Saydnaya”, dove si denuncia oltre alle esecuzioni extragiudiziali le continue e perpetrate torture che insieme all’assenza di cibo, acqua, medicinali e cure mediche portano alla morte per detenzione.

Le politiche di assassinio

Dal comunicato stampa della Ong riportiamo una dichiarazione di Lynn Maalouf, vicedirettrice delle ricerche dell’ufficio regionale di Beirut: “L’orrore descritto in questo rapporto rivela una mostruosa campagna segreta, autorizzata dai livelli più alti del governo siriano, destinata a stroncare ogni forma di dissenso all’interno della popolazione siriana... Chiediamo alle autorità siriane di porre immediatamente fine alle esecuzioni extragiudiziali, alle torture e ai trattamenti inumani nella prigione di Saydnaya e in tutte le altre carceri governative in Siria. A Russia e Iran, i più stretti alleati del governo di Damasco, chiediamo di sollecitare la fine di queste politiche di assassinio”.

Come uccidere nel modo più mostruoso

La ricerca è stata condotta sulla base delle testimonianze sia di detenuti che sono riusciti a scampare alla morte, ma anche sulle dichiarazioni di dirigenti, secondini, ex magistrati e avvocati. Due volte la settimana, il lunedì ed il mercoledì, in piena notte e segretamente, gruppi di 50 detenuti, venivano prelevati dalle celle con la scusa di essere trasferiti in un carcere civile. Li portavano invece nei sotterranei e qui selvaggiamente picchiati, per farli confessare di essere oppositori al regime. In seguito venivano trasferiti bendati in un altro edificio dove si riuniva, due minuti per ognuno, una sorta di corte marziale. Questa chiedeva al detenuto le generalità e il tipo di reato commesso. Ma la condanna non veniva emessa, poiché era data per scontata. Così, sempre bendati, i condannati si rendevano conto di stare per morire solo quando sentivano la corda toccare il collo. Nel rapporto si possono leggere i racconti dei testimoni, come quello di un ex giudice: “Li lasciavano appesi per 10, 15 minuti. Alcuni non morivano perché troppo leggeri, soprattutto i più giovani pesavano troppo poco per morire. Allora gli assistenti li tiravano giù fino a quando non gli si spezzava il collo”.

Strategia di annientamento


Egualmente raccapricciante è la descrizione dello stato di detenzione. Alcuni detenuti venivano costretti a stuprarne altri. Torture, pestaggi, stupri, punizioni degradanti se magari c’era un bisbiglio, perché nessuno poteva parlare o se un secondino veniva guardato. Cibo e acqua sistematicamente negati: Chi voleva mangiare doveva prendere il cibo buttato per terra che si mescolava al sangue e alla sporcizia. Riportiamo il racconto di un detenuto: “C’era un grande rumore. Dalle 22.00 alle 24.00  o dalle 23.00 all’1.00, si sentivano urla e grida provenire dal piano di sotto. È un dettaglio importante. Se non urli, a Saydnaya ti picchiano meno. Ma queste persone gridavano come impazzite. Non era un suono normale,  era fuori dall’ordinario. Urlavano come se le stessero scorticando vive”.



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