Il
contesto sociale nel quale è maturato l'atto criminale contro un migrante a
Rimini, racconta di una città anestetizzata.
di Marco Marano
Emmanuel, giovane nigeriano di 25 anni, era solito passare le sue giornate in quel
supermercato a Marina centro, nella zona più turistica di Rimini. Come
tanti ragazzi che non hanno di che campare, cercava di sbarcare il lunario con le monetine dei carrelli, sempre in modo
educato e con uno sguardo di chi le sofferenze della vita sa cosa sono. Del
resto è arrivato da un inferno chiamato
Nigeria, dove la vita vale meno che niente. Chissà cosa ha pensato Emmanuel
quando nel tardo pomeriggio di mercoledì 22 marzo quell’uomo di 30 anni, Valerio
Amato, romano residente a Rimini, ha iniziato ad inveire contro di lui: “Negro di merda tornatene nel tuo paese!”
Poi non contento lo ha accoltellato più
volte, ma il ragazzo è riuscito a scappare, per cui il razzista lo ha inseguito e lo ha messo sotto con l’auto.
Adesso Emmanuel è ricoverato in gravissime condizioni. Amato è stato arrestato grazie alla
segnalazione della sua auto da parte di alcuni testimoni. Tra l’altro, a quello
che sembra, dentro la vettura c’era pure il padre di Amato, cosa che fa ancora
più rabbrividire…
Il
contesto nel quale matura il crimine
Ma questa cronaca ignobile, alla fin fine, oltre
che lasciare sgomenti, non sorprende affatto chi conosce un po’ la città di
Rimini… Innanzitutto alla base c’è un
quesito così semplice da porsi che sembra quasi banale: ma se Emmanuel era un richiedente asilo com’è possibile
che per campare doveva vivere delle monetine lasciate ai carrelli di un
supermercato? Domanda retorica poiché, come in tante altre città italiane, l’accoglienza ai migranti a Rimini è
soggetta all’affarismo delle cooperative, che anziché erogare servizi si
intascano il denaro. Ora, non conosciamo a fondo la situazione specifica di
Emmanuel, ma certo è che in un contesto
come questo ci sta che un richiedente asilo vada a mendicare. Anche perché quando
le istituzioni locali sono impegnate a gestire i loro “affari” con le
consorterie compiacenti, succede che esperienze di accoglienza cosiddetta degna
come “Casa Andrea Gallo”, sostenuta
da attivisti volontari che “non fanno girare la grana” verso le consorterie
compiacenti, vengono perseguitate, attaccate per fatte chiudere.
Gli
egoismi della borghesia riminese
Si, perché un tentato omicidio a sfondo
razziale, non può nascere se nel tessuto cittadino non covi un humus dove il concetto di bene pubblico
venga esautorato dagli egoismi di una borghesia che si gira dall’altra parte
nei confronti delle ingiustizie perpetrati ai danni dei senza dimora o di
chi viene sfrattato o ancora di chi vive uno stato di disagio sociale
sistemico, il quale, in un modo o nell’altro, conviene sempre a qualcuno. Certo,
fa piacere sapere che la targa dell’auto
di Valerio Amato sia stata segnalata da chi era presente sulla scena dell’accoltellamento,
i benpensanti riminesi non sono scesi così in basso dal voltarsi dall’altra
parte davanti ad un crimine efferato. Però, al di là di certa propaganda mainstream razzista, vomitevole dal punto di vista
della cultura civile, che circola, televisivamente parlando, sulle reti Mediaset,
il
cinismo della cultura neoliberista che vive una città come Rimini rappresenta
il “giusto corollario” su cui si colloca questo crimine. E che dire
dello stretto legame tra organi di polizia e gruppi neofascisti a Rimini che
conducono insieme battaglie per la chiusura dei luoghi di accoglienza al disagio
di tipo solidale come “Casa Madiba”…? La loro motivazione è che sono luoghi per sbandati e clandestini, cioè
persone socialmente pericolose. Quando al contrario sopperiscono alle lacune delle istituzioni che fanno cassa sul
disagio sociale e lo fanno in modo volontario…
Naturalmente adesso quello di Valerio Amato
verrà derubricato da caso sociale a psichiatrico,
così i benpensanti riminesi avranno la coscienza apposto. Però un pensiero utopico
da antirazzisti ci sovviene: anziché la galera perché non “spedire” Valerio
Amato in Nigeria, senza possibilità di ritorno…?
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