La rivoluzione kurda riparte da Raqqa

di Marco Marano


Con la liberazione di Raqqa, condotta dalle forze militari kurde e arabe, capeggiate dalle donne dell’YPJ, riparte la rivoluzione del modello sociale dal basso del Rojava.

Bologna, 19 ottobre 2017 - Gli ultimi bastioni della resistenza jiadista a Raqqa sono stati l’ospedale e lo stadio, dove 300 civili erano tenuti prigionieri per essere utilizzati come scudi umani. La zona completamente bonificata ieri è la l'ultima fotografia di un attacco iniziato, nella la sua  fase finale, nel marzo di quest’anno. Non ci sono ancora notizie certe su che fine abbiano fatto gli ultimi affiliati all’Isis rimasti ad immolarsi per il califfato. Certo è che la liberazione di Raqqa, rappresenta la più grande rivincita delle donne kurde, le vere protagoniste di questa guerra nel nord della Siria. Sono state loro al comando dell’offensiva con quella organizzazione perfettamente addestrata che si chiama YPJ, Unità di Difesa delle Donne, punta di diamante delle Forze Democratiche Siriane, la coalizione militare kurdo-araba, nata nell’ultima fase dello scontro bellico.


La liberazione metro per metro


Metro per metro hanno combattuto in questi mesi e in questi giorni, certamente favoriti dall’appoggio logistico e aereo dell’esercito americano, garantito dall’estate di quest’anno. Le difficoltà non erano tanto costituite dalla difesa militare dell’Isis, poiché mai i jihadisti sono riusciti a tenere testa alle soldatesse e ai soldati kurdi, anche prima del sostegno Usa, che ha sicuramente velocizzato il processo. Le vere difficoltà sono state rappresentate dai fossati, dalle aree minate, dai civili usati come scudi umani. Ma metro per metro hanno liberato case, quartieri, villaggi. Man mano che i territori circostanti venivano liberati gli abitanti sono stati evacuati in zone sicure e fatti rientrare dopo le dovute bonifiche. Così si è arrivati fino al centro della città, allo stadio e all’ospedale.

Il sorriso della Comandante


Negli ultimi giorni le foto della comandante Rojda Felat hanno invaso i mezzi d’informazione. Il suo sorriso è diventato il simbolo di questa liberazione perché è stata proprio lei a guidare le YPJ nell’offensiva finale. Lei l’aveva giurato, nel gennaio di quest’anno, quando diventava una tra le maggiori responsabili dell’operazione “Ira dell’Eufrate”, che il loro impegno sarebbe stato massimo per liberare dalla schiavitù dell’Isis le donne yazide. In una intervista all’agenzia di stampa  ANHA aveva così dichiarato: “Abbiamo già promesso e rinnoviamo la nostra promessa che noi come YPJ ci batteremo per liberare le donne yezide. La nostra partecipazione come YPJ nelle file dell’operazione Ira dell’Eufrate è la prova che stiamo continuando la nostra lotta fino a quando tutte le donne oppresse dall’ISIS saranno liberate”.


Vendute come schiave al mercato di Mosul, rapite, stuprate, schiavizzate, hanno visto massacrare i propri uomini, sono state seppellite nelle fosse comuni. Catturate e trasferite a Raqqa come schiave sessuali dei jihadisti. Quello delle donne yazide è un capitolo atroce di questa guerra, che nelle montagne del Sijar in Iraq, nel 2014, hanno subito un vero e proprio genocidio.



L’incubo del sultano


Ma quello delle YPJ, con il loro sforzo militare di questi anni, è una esperienza davvero unica. Può essere definita come l’azione militare di un percorso politico avviato proprio dopo la la liberazione di Kobane, dove sono state protagoniste. E’ in quel momento che prende forma il modello confederale cantonale dal basso del Rojava, la regione autonoma della Siria del Nord, fondata sui comitati di base, con un sistema normativo costruito proprio sulle istanze femminili. Un incubo per il sultano della Turchia Erdogan, la cui presenza “doppiogiochista” sui campi di battaglia siriani è finalizzata proprio a reprimere le istanze del Rojava.


Ancora Rojda Felat Il nostro approccio a questa campagna non è limitata semplicemente alla liberazione delle donne; stiamo lavorando anche per organizzare, informare e portare un ruolo molto attivo per le donne. I tempi della schiavitù delle donne sono finiti; mentre tradizionalmente veniva dato loro il ruolo di cucinare e avere bambini, oggi sono più forti che mai, portano armi e combattono il peggior gruppo terrorista che il mondo abbia conosciuto per difendere il loro popolo e la loro terra”.



Credits  Reuters, France Press. 








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