NOTIZIE DAL
ROJAVA
di
Marco Marano
L’esercito turco intensifica gli attacchi alle postazioni
militari del Rojava, mentre penetra sempre di più in Siria formando alleanze
clandestine con le milizie qaediste.
Bologna, 26 ottobre 2017 – Ci avviamo verso
la fase finale del conflitto siriano,
con l’Isis ormai quasi del tutto sconfitta. Gli effetti della guerra per procura, condotta dagli stati che hanno
occupato il territorio, Turchia, Russia, Iran e Usa, iniziano a prendere una
nuova fisionomia. La guerra al Rojava, il Kurdistan siriano, autoproclamatosi nel
2012 confederazione autonoma, da parte del sultano turco Erdogan, ha avuto un’impennata nell’ultima settimana. Gli
attacchi, cominciati all’inizio di quest’anno,
si sono susseguiti e nel giro di breve, presumibilmente, rappresenteranno il nuovo conflitto nel conflitto: la
Turchia contro il popolo kurdo.

I
due cantoni del Rojava con i suoi villaggi più esposti agli attacchi turchi
sono stati Afrin e Kobane. Tra il 16 ed il 26 ottobre sul Cantone
di Afrin vi sono stati molteplici
assalti dell’esercito turco, respinti dalle YPG kurde, le Unità di
Protezione Popolare. Artiglieria, mortai, cannoni antiaerei hanno colpito i villaggi di Merien, Ayn Daqn e Basûfanê nella parte occidentale del cantone. Il 25 ottobre invece è stato
il turno dei villaggi al confine est. Sono state esplose armi pesanti contro le YPG, le quali hanno risposto al fuoco senza
perdite tra le proprie file. Il 24
ottobre veniva invece attaccato il cantone di Kobane. Le forze militari turche hanno aperto il fuoco
sui villaggi a est e a ovest e due
veicoli militari sono stati colpiti dalle forze kurde. Nel villaggio di Kosik,
a 12 chilometri da Kobane, le armi turche hanno colpito varie case, producendo
diversi danni materiali. Intorno alle 13,30 di martedì vi è stato l’assalto alle postazioni YPG nel villaggio di Aşmê, con quattro
veicoli blindati scorpion. Dopo una pausa pomeridiana, gli scontri sono ripresi
in serata, senza fare vittime.
L’occupazione
del villaggio di Sheikh
Ma la strategia di penetrazione sul territorio siriano dell’esercito turco non si
ferma alla guerra personale del sultano contro il Rojava, poiché si è addentrato fino a 26 chilometri da Aleppo, tra le campagne a
nord-ovest, nel villaggio di Sheikh Aqil. Qui ha ratificato un accordo con il
gruppo jiadista vicino ad al-Qaeda e nemico di Assad Nour El-Din al-Zinki, che ormai da un paio d’anni ha il controllo
del territorio. Il convoglio militare
turco consisteva in “4 pick-up, 7 veicoli corazzati, 3 vetture che
trasportano cibo, 3 serbatoi, oltre a 3 vetture caricate di carburante”. Il villaggio di Sheikh Aqil ha una posizione geografica strategica poiché
è abitato esclusivamente da arabi e si trova su una collina da cui si possono
scorgere i lati occidentale e nord-occidentale di Aleppo. Poi si trova a 3 chilometri dal primo villaggio del cantone di Afrin.
L’assassinio
di un giovane al confine
Hayder
al-Makhlouf
era un giovane arabo di 29 anni. Lunedì scorso aveva deciso di entrare in
Turchia dal confine kurdo, cioè
quella striscia di terra che separa il Rojava dal cosiddetto Kurdistan Bakur.
E’ così chiamata quell’area della Turchia
del sud al confine con la Siria dove vi sono gli insediamenti kurdi, per questo più genericamente definito Kurdistan turco. E’ proprio quella
l’area che negli ultimi due anni è stata soggetta, da parte del governo turco, ad
un vero e proprio massacro,
questo ancora prima del fallito golpe. Gli
abitanti sono stati sistematicamente
colpiti fin dentro le proprie case dalle armi turche, gli amministratori pubblici arrestati senza accuse formali. Una terra messa a ferro e fuoco poiché potenziale miccia esplosiva della causa
per l’indipendenza kurda, tradizionalmente repressa dalla Turchia.
Il
giovane si trovava a Serê Kanîyê, cantone di Jazera, nella parte centro-orientale del Rojava. Mentre cercava di varcare il confine è stato intercettato
dai militari turchi e fermato. Dopo di ché il corpo senza vita di Hayder è stato "rigettato" in Rojava. La gente
dei vicini villaggi ha portato il cadavere martoriato nell’ospedale di Serê
Kanîyê. Qui i medici hanno riscontrato il decesso a causa dei colpi inferti alla testa: lo hanno ammazzato di botte.
Ma non è la prima vittima del confine turco-siriano, con modalità simili: ci hanno rimesso la pelle decine di persone nel tentativo di passare in
Turchia.
Che fine ha fatto Abdullah Öcalan
Sono giorni ormai che la voce non confermata della morte di Öcalan si sta propagando. Che le sue condizioni di
salute fossero precarie questo si sapeva. Il leader kurdo è rinchiuso in una galera turca, sull'isola di
Imrali, con l’accusa di essere un
terrorista, in quanto a capo del PKK, il Partito dei lavoratori kurdi. Ha una condanna all’ergastolo, dato che il
PKK, dalle autorità turche, è considerata una organizzazione terroristica. In
realtà per i turchi chiunque sia kurdo
è considerato tale, soprattutto se combatte per l’autonomia e l’autodeterminazione
del proprio popolo. Fatto sta che le caratteristiche della sua detenzione sono
molto rigide, poiché vive in permanente
stato di isolamento. Né i suoi avvocati, né la sua famiglia possono vederlo.
Per cui in queste ore si susseguono le paure che i problemi di salute si siano trasformati in decesso. Una
situazione molto tesa per tutto il popolo kurdo che in Öcalan vede una sorta di
padre della patria. Ecco perché dal cantone di Jazera del Rojava decine di
membri dei consigli cantonali hanno
accusato il governo turco di violare le
convenzioni internazionali sui diritti umani: “viola tutte le
leggi del cielo e delle convenzioni internazionali”. Hanno chiesto a gran voce
che la famiglia e il suo avvocato possano visitarlo per rendersi conto della
situazione reale.
“…invitiamo
la comunità internazionale e le organizzazioni dei diritti umani a esercitare
il loro ruolo con pressioni sul governo di Erdogan a favore del leader Ocalan, che rappresenta oggi la volontà di milioni di
popoli del mondo libero. Il mondo ha testimoniato la vittoria dei suoi
sostenitori e il suo pensiero contro i terroristi che costituiscono una minaccia per
la pace e li hanno sconfitti nella loro capitale (Raqqa ndr). Chiediamo
anche alla sua famiglia e agli avvocati di visitarlo e avviare
negoziati per la sua liberazione. Non c'è pace e stabilità nella regione senza il rilascio del leader Ocalan e la soluzione del problema kurdo".
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