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ALLA RICERCA DI UNA SOCIETA' SOSTENIBILE


La filiera sociale responsabile come nuova governance

per un modello di società in crisi

 
 
 Nelle ultime due settimane sono stati pubblicati due rapporti socio-statistici che hanno fotografato la società italiana in relazione al mondo dell'immigrazione in Italia: Confesercenti sulle imprese dei cittadini immigrati e Caritas Migrantes sui numeri dei soggiornanti e le loro modalità di insediamento. Contemporaneamente, è uscito un altro rapporto statistico dell’Istat sui numeri della disoccupazione.

Un’attenta lettura di questi dati ci mette al corrente di uno scenario sociale di cui non sia ha coscienza, perché le trasformazioni di tutto quello che ci sta intorno viene avvertito solo quando il nostro benessere viene messo in discussione, cosa che, comunque, ormai la crisi economica ha determinato e non solo per il presente ma anche per le generazioni future.
 
In Italia oggi ci sono quasi tre milioni di disoccupati tra giovani e meno giovani, soprattutto uomini. Tra questi dati ci sono anche quelli relativi alle fasce giovanili che il lavoro neanche lo cercano più, perché al di là della crisi sistemica, trovare lavoro in Italia significa avere qualche amico o conoscente che apre delle porte. Nel frattempo però avviene un fatto strano e cioè che nel 2012 le imprese individuali di italiani che hanno chiuso i battenti sono 24.500, mentre quelle dei soggiornanti stranieri sono in aumento di 13 mila unità.
 
In Italia il numero complessivo degli immigrati regolari, inclusi i comunitari e quelli non ancora iscritti in anagrafe ha superato di poco i 5 milioni di persone, di questi il 49,2 per cento sono non comunitari: africani, asiatici e americani. Dal 2007 al 2011 ci sono stati 750 mila nuove assunzioni di lavoro straniero, di cui 170 mila solo nel 2011. Attualmente gli occupati stranieri, incluse anche le categorie non monitorate dall’indagine campionaria dell’Istat, sono circa due milioni e mezzo, cioè un decimo dell’occupazione totale.
 
 
Dal punto di vista impiegatizio, come sottolinea il rapporto Caritas Migrantes,“nell’attuale congiuntura la forza lavoro immigrata continua a svolgere un’utile funzione di supporto al sistema economico-produttivo nazionale per la giovane età, la disponibilità e la flessibilità”. Ciò vuol dire che servizi alla persona e lavori umili, che spesso diventano umilianti, sia per le condizioni di lavoro che per lo sfruttamento economico, costituiscono i principali segmenti di mercato.
 
 
Per ciò che concerne invece l’aumento delle imprese autonome qui il fenomeno diventa più interessante, poiché è la vera chiave di lettura delle trasformazioni in atto, che chi governa i territori non riesce a leggere e quindi non riesce a comprendere… “Con oltre 98 mila attività, - sottolinea il rapporto di Confesercenti - il serbatoio principale dell’imprenditoria immigrata è l’Africa…” Marocco, Tunisia, Senegal, Egitto sono i maggiori paesi d’origine di cittadini che avviano attività imprenditoriali, diventati ormai ambiti produttivi di specializzazione etnica: commercio, manifattura ed edilizia.
 
Ma questi numeri come si traducono dal punto di vista delle dinamiche sociali? Vediamo alcuni elementi.
 
Innanzitutto il modello organizzativo è di tipo nucleare, per cui solo giuridicamente sono imprese autonome, nella realtà sono imprese familiari. In secondo luogo i tempi di lavoro sono molto dilatati, ciò vuol dire che il tempo diventa una risorsa e non un vincolo. Inoltre le aspettative di guadagno sono più limitate, ciò significa che di conseguenza le aspettative sociali diventano più limitate. In buona sostanza, le mete sociali da raggiungere sono molto diverse da quelle del bel paese, laddove gli italiani una volta travolti dalla crisi sistemica vivono un gap culturale oltre che socio-economico, che produce rinuncia e suicidi.
 
 
Infine, vi è un altro elemento da considerare, non indagabile dal punto di vista statistico, ma comunque diretta conseguenza dei processi migratori: pur abbassandosi le aspettative sociali delle famiglie straniere, esiste però un sistema di consumi legato alle loro dinamiche culturali non pienamente soddisfatto, e che una politica di governance del territorio, che sappia leggere i tali processi, potrebbe potenziare, generando sviluppo locale per l’intero territorio di riferimento.
 
 
Perché è proprio questo il punto, cioè il cambiamento epocale che la crisi ha generato dovrebbe produrre nuovi modelli di sviluppo cosiddetti sostenibili, incentivati da governance territoriali attente a redigere nuove strategie economiche e sociali in linea con il sistema dei bisogni, potenziando attività lavorative e processi produttivi dove la crescita sia possibile.
 
 
Un esempio emblematico è la crisi vocazionale del lavoro artigianale, raccontato negli ultimi tre anni dai rapporti di Confartigianato e Unioncamere, che potrebbe essere riattivato proprio da quel mondo immigrato che è portatore di straordinarie tradizioni artigianali, creando sviluppo locale attraverso filiere solidali e responsabili, dove italiani e stranieri possano insieme costruire nuove forme di convivenza sociale ed economica...

 
 
 
 
 
 
 



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