Foto Ansa
Secondo
l’ONU la guerra civile in Siria rappresenta la peggiore crisi del ventunesimo
secolo, e i numeri parlano chiaro: centomila morti, tra eserciti in campo e
popolazione inerme, tra cui ovviamente donne e bambini. Due milioni di profughi
in paesi esteri limitrofi: prevalentemente Libano, Giordania, Turchia e Iraq,
tra questi ovviamente ci sono coloro che arrivano con i barconi sulle spiagge
siciliane e calabresi. Quattro milioni di profughi ancora interni alla Siria,
che poi rappresentano un quarto della popolazione, che conta ventuno milioni di
abitanti.
Ma queste cifre
non raccontano fino in fondo l’atrocità di questa guerra civile, documentata
dalle immagini che una fitta rete di video maker improvvisati, grazie ai
cellulari, è riuscita a registrare e a mandare alle “teste di ponte” di questo movimento
di liberazione, che ha le sue postazioni in Libano e Turchia. Qui un'altra rete
di dissidenti, “Freedom 4566”, finanziati da cittadini siriani che vivono
all’estero, ha costruito un sistema di raccolta di questi materiali video, che
mette su You Tube, ma non solo. Fa anche da fonte ai media di massa, come una
vera e potente agenzia di stampa, proponendosi come raccordo per l’organizzazione di interviste ai
ribelli sul campo.
Nella prima
fase, quella delle proteste di piazza, diventavano emittenti attraverso i
social network, riuscendo ad organizzare
le manifestazioni di massa e di protesta. E questo è stato reso possibile
grazie al fatto che il movimento di liberazione in Siria non è nato durante la
primavera araba ma almeno un anno prima, grazie a questa rete di dissidenti che
hanno lavorato per la circolazione delle informazioni e delle immagini.
Torture, violenze inaudite contro la popolazione, massacri pianificati, diritti
umani calpestati, bambini vittime di pulizia etnica, c’è di tutto su You Tube
per far finta di non sapere…
In tal senso,
attraverso la rete questi giovani professionisti della comunicazione hanno
cercato di compensare i limiti del sistema mediatico tradizionale, nel far luce
sulle atrocità di un dittatore contro il suo popolo. Ed è forse l’esempio più
alto di citizen journalism che attraverso la rete sta cambiando i processi
produttivi dell’informazione.
Se
all’inizio le armi della ribellione erano appunto concentrate sulla
circolazione delle informazioni e le manifestazione di protesta erano libere e
non violente, quando il regime di Assad ha cominciato a massacrare le persone
che protestavano pacificamente, la ribellione si è organizzata militarmente,
soprattutto grazie alle armi provenienti dagli Stati Uniti e dai paesi arabi
come l’Arabia Saudita, e agli addestramenti finalizzati a trasformare i ribelli
in guerrieri. Poi successe qualcosa… Verso la metà del 2012, quando la campagna
elettorale americana aveva già i suoi candidati ufficiali, cioè Obama contro
Romney, il presidente in carica fece un annuncio: “Se il governo siriano
utilizzerà le armi chimiche durante la guerra civile, questo significa superare
la linea rossa”. Quindi superando la linea rossa l’intervento statunitense non
poteva essere impedito.
Nel
maggio del 2013 avviene un fatto strano, e cioè che il rifornimento di armi e
di addestratori viene interrotto dagli Stati Uniti, secondo almeno fonti di
intelligence giordana. La domanda da porsi, lecitamente, è perché? Il 21 agosto
scoppiava il fattaccio! Quasi cinquecento persone, secondo Medici Senza
Frontiere, che abitavano in alcuni centri a sud e a est di Damasco, morivano intossicati
dal gas sarin, lanciato dall’esercito del regime siriano.
Ecco che inizia
il balletto di conferme e smentite, con i documenti filmati che hanno
registrato la realtà e la testimonianza dei medici che hanno dato i soccorsi a
uomini, donne e bambini con la bava alla bocca. I paesi partner della Siria,
come la Russia, vogliono le prove, e alla fine propongono un piano concreto per
mettere l'arsenale chimico sotto controllo internazionale. Mentre gli Stati
Uniti, la Francia e la Gran Bretagna dicono che le prove ci sono e consultano i
loro parlamenti per avere il benestare all’attacco finale, il quale, si badi
bene, non è finalizzato alla defenestrazione del dittatore ma a smantellare le
armi chimiche. Intanto dei rappresentati delle Nazioni Unite sono stati mandati
in loco per raccogliere le informazioni e verificare se esistono le prove. I
parlamenti nel frattempo si schierano contro i loro presidenti, poiché viene
chiesta a gran voce che sia l’Onu a pronunciarsi sull’attacco, ma questo non
potrà mai succedere, poiché la Russia pone il suo veto.
L’ennesimo mistero smarrito nel labirinto dei segni della
civiltà alfabeta, che ha ribaltato i suoi significati, ripropone una civiltà in
perpetua entropia, dove diventa impossibile la comprensione. Innanzitutto
l’affermazione secondo la quale non si può stare a guardare quando donne e
bambini muoiono tra spasimi muscolari è un po’ incomprensibile, poiché questo
presupporrebbe che se donne e bambini venissero massacrati con armi
convenzionali allora si potrebbe restare a guardare… Quindi il mancato rispetto
dei diritti umani, i massacri indiscriminati, le torture e tutto il corredo infernale
di una guerra come questa diventa lecito poiché la linea rossa non è stata
varcata… Da viaggiatori perduti nel
labirinto dei segni, ci sembra di comprendere questo dalle parole dei capi di
stato e di governo…
Se le parole hanno un peso, queste sono pesanti come
macigni, ma visto che le parole sono segni, proviamo a reinterpretarle. Cioè a
dire, partendo dal presupposto che la dottrina della linea rossa così come è
stata elaborata da Obama non ha senso rispetto ai valori della civiltà alfabeta,
di cui egli stesso è un indefesso difensore, quali sono le vere ragioni che
impongono l’intervento americano? Ovviamente, a questa domanda non è possibile
rispondere in modo plausibile, però delle proiezioni si possono fare. Ad
esempio: e se fosse vera l’idea di Papa Francesco secondo il quale dietro
l’intervento americano si nascondono motivi commerciali, legati al business
della vendita di armi? Del resto, in questo senso, la politica estera americana
non si può differenziare, per statuto, a prescindere da chi ci possa essere alla
presidenza, se un democratico o un repubblicano.
Le
guerre agli Stati Uniti hanno sempre fatto comodo, e questa è storia
contemporanea. In tal modo si spiegherebbe perché l’amministrazione di Obama ha
interrotto il flusso di armi e addestratori ai ribelli siriani. Anche perché la
motivazione elaborata da alcuni osservatori è un po’ debole se ci si addentra
nei fatti: “il fronte dei ribelli è assolutamente variegato e frastagliato, e
all’interno di questi gruppi ci sono diverse frange jiadiste, legate al
al-Qaeda, come il fantomatico esercito dello stato islamico dell’Iraq e del levante”.
In
una interessante inchiesta del Wall Streat Journal, giornale statunitense di
tradizioni repubblicane, Elizabeth O’Bagy, un analista dell’Institute for the
study of war di Washington, sovverte questa analisi. Trascorrendo parecchio
tempo tra le fila dei ribelli dell’ESL, Esercito siriano libero, ha potuto
registrare come in realtà la situazione tra le fila dei ribelli sia abbastanza
chiara, poiché l’ESL è un movimento moderato, che ha isolato i gruppi jiadisti,
i quali operano in zone distinte, dal punto di vista territoriale. Anche perché
gli obiettivi dei jiadisti non sono quelli di abbattere Assad ma, a quanto dice
la giornalista americana, quello di costituire una sorta di emirato islamico
nel nord del paese.
L’intelligence americana non sarebbe, dunque, in grado di gestire i ribelli e isolare gli
estremisti in un contesto come questo? Dato che le altre rivoluzioni arabe
hanno visto il prevalere di partiti islamici, i quali hanno voluto imporre la
sharia nelle costituzioni, non sarebbe auspicabile, per le cosiddette
democrazie occidentali, organizzare al meglio le file delle organizzazioni
ribelli, per gestire meglio il dopo?
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