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RADIO CENTO MONDI NEWS VALUES


TURCHIA

Il PKK mandante contro se stesso.

BULENT KILIC/AFP/Getty Images
 

Secondo il governo turco i responsabili della strage di Ankara che è costata la vita a più di cento persone e 400 feriti, ma il bilancio delle vittime sembra destinato a salire, si aggirano in un range di tre possibilità: l'Isis, le organizzazioni di estrema sinistra e il PKK.

Questa notizia letta così pone in essere un quesito giornalisticamente interessante, perchè in quella manifestazione migliaia di ragazzi stavano manifestando proprio per costringere il governo turco a cessare la guerra ai villaggi curdi difesi dal PKK. Il fatto che questa organizzazione possa diventare mandante contro se stessa rivela un chiaro tentativo di manipolazione di quello che ormai viene definito il nuovo Sultano: il presidente Erdogan.

E ancora, in una situazione in cui un paese che vive una sorta di guerra civile ormai da quest'estate, con la ripresa delle ostilità da parte del governo contro le città curde in Turchia, che è sfociata nell'impedire ai cittadini curdi di andare in soccorso ai combattenti contro l'Isis a Kobane, e dopo che lo stesso PKK ha annunciato di volere unilateralmente cessare le ostilità fino alle elezioni che si terranno fra tre settimane, il governo turco anzichè stemperare la tensione, butta benzina sul fuoco continuando a bombardare i villaggi curdi e le postazioni del PKK, implementando lutti e distruzioni...

Le urla dei manifestanti in tante città turche di questi ultimi due giorni, si scagliano contro il potere del sultano, individuando nello slogan "strage di stato" il topic del tragico evento, ma anche potremmo dire di tutta la questione curda, che ricordiamolo ha proprio generato la rabbia di Erdogan nel momento in cui in giugno il partito moderato curdo dell'avvocato dei diritti umani Selahattin Demirtaş, ha praticamente vinto le elezioni, col suo 13 per cento, impedendo di guadagnare la maggioranza assoluta al sultano, per poter fare una repubblica presidenziale e governare ancora più indisturbato.

Intanto, il sultano continua ad intervenire sulla libertà di stampa impedendo alle emittenti televisive turche di mandare in onda le immagini della strage, cercando addirittura di impedire di mettere dei fiori nel luogo del lutto, innalzando insomma il livello della tensione affinchè, dicono gli osservatori, possa gestire col pugno duro la tornata elettorale del primo novembre, che deve a tutti i costi vincere in modo assoluto, se vuole continuare a regnare per un altro decennio.



BIELORUSSIA

All'ezioni in Bielorussia, svoltesi ieri, Lukashenko vince con una con "maggioranza bulgara".


Questa volta ha superato se stesso Alexander Lukashenko, al potere in Bielorussia da 21 anni. Il quinto mandato presidenziale, secondo quanto riportato dalla commissione elettorale, lo ha portato a casa con l'83,5 per cento di voti e con un'affluenza dell'86 per cento di aventi diritto.

Un tempo si sarebbe parlato di maggioranza bulgara, oggi le opposizioni scese in piazza a Minsk in 5000, parlano di brogli e di elezioni truffa. Certo, per qualsiasi sistema democratico occidentale, costruito su opposizioni strutturate e divisioni dei poteri, questi numeri sono tecnicamente impossibili.
Se il premio nobel per la letteratura Svetlana Alexievich lo descrive come un dittatore di tipo sovietico, visto che molti oppositori al regime visitano le patrie galere per la semplice espressione di dissenso verbale, è soprattutto vero che il sistema economico della Bielorussia è praticamente nazionalizzato e come qualcuno dice "il governo è il principale datore di lavoro". In un sistema pubblico corrotto e soggiogato i milioni di cittadini che vi lavorano vivono nella paura di perdere il loro salario.

Ma questo sistema che produce inefficenza sembra scricchiolare e il dittatore bianco Lukashenko da un lato cerca di farsi togliere le sanzioni dall'UE attivate nel 2004, dall'altro però sembra avere paura che, come in Ucraina, la Russia di Putin possa scegliere di invadere, se entrasse nelle grazie dell'Europa, che ormai è abituata ad accogliere gli autocrati, vedi l'ungherese Orban.

 
 


IRAN

Condannato dai Guardiani della rivoluzione il giornalista del Washigton Post Jason Rezaian.


Quando lo arrestarono, nel 2014, non gli fu neanche comunicata l'aaccusa. Lo tennero in isolamento per mesi e mesi, lo interrogarono fino allo sfinimento, senza, ovviamente, essere difeso da un avvocato. La moglie, giornalista pure lei, invece venne rilasciata subito dietro cauzione. Poi le accuse vennero palesate, quella principale, come è ovvio quando un regime totalitario vuole "chiudere la bocca" ad un giornalista, era spionaggio, ma anche raccolta di informazioni riservate, propagandaa contro il governo iraniano e collaborazionismo con nazioni ostili all'Iran.

Adesso rischia tra i dieci e i vent'anni di reclusione, ma su questo delirante verdetto non si sa di più, anche perchè l'avvocato chel l0 difende Leila Ahsan, non ha potuto neanche parlare con lui. Queste scarne notizie le ha comunicate il Portavoce della Casa Bianca, che non è stato in grado di dire nient'altro. Rezaian che ha la doppia cittadinanza americane e iraniana vive da dieci anni nel paese degli Ayatolla, sembra essere come si suol dire "messo in mezzo", poichè questa detenzione, la più lunga per un giornalista, sembra essere l'oggetto di una disputa tra la diplomazia e lo spionaggio. L'Iran infatti, una volta raggiunta la sentenza "esemplare" potrebbe chiedere agli Stati Uniti in cambio della libertà del giornalista il rilascio di due cittadini iraniani ospiti delle galere statunitensi.


 


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