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"Lunedì 2 novembre: l’inizio della guerra civile turca"

By Marco Marano




E' questo il titolo di ieri della rivista Nokta di Istanbul, il quale sovrastava una foto del presidente Recep Tayyip Erdogan, all'indomani della consultazione elettorale, che ha dato la maggioranza assoluta dei voti in parlamento al partito del dittatore bianco euro-asiatico. Una copertina che è costata l'arresto del direttore Cevheri Guven e del caporedattore centrale Murat Capan. Le accuse nei loro confronti sono di eversione e istigazione a delinquere. La testata era già da settembre nel mirino del governo, quando Capan, dopo un blitz compiuto nella redazione, era stato arrestato e poi rilasciato, in libertà condizionata, ed il giornale veniva ritirato dalle edicole. Quella volta un'altra copertina era sotto accusa: ritraeva il sultano Erdogan mentre scattava un selfie con sullo sfondo dei soldati che portavano a spalle un feretro avvolto dalla bandiera turca, dato che due mesi prima era riesploso il conflitto contro il PKK. Poi, a due settimane dalla scadenza elettorale, il sito della rivista veniva oscurato da un tribunale di Istanbul, per diffamazione contro il partito AKP. Ma in quella occasione non vi era stata nessuna copertina particolarmente "oltraggiosa", l'organo di giustizia aveva stabilito una sorta di censura preventiva.

 
 
 
 
 
 
Del resto il capo del governo turco, Ahmet Davutoglu, il giorno stesso del responso elettorale lo aveva promesso: "Il popolo ci chiede di governare da soli, e se siamo chiamati a servire il popolo, perché mai dovremmo tirarci indietro? Già da oggi ci metteremo al lavoro". Come si dice: ogni promessa è debito... E il governo turco si è messo al "lavoro" di buona lena nei due giorni successivi alle elezioni.
 
Una maxi operazione di polizia, nella provincia di Smirne, tradizionalmente a vocazione laica, ha portato all'arresto di 40 persone, tra burocrati e funzionari di polizia sospettati di spalleggiare l'imam Fetullah Gulen, prima sponsor del presidente-sultano, poi diventato acerrimo nemico, dal suo esilio statunitense, per questo accusato di attività finalizzate a rovesciare il governo turco. Attenzione, perché l'imam Gulen, è diventato, rispetto alla strategia autoritaria di Erdogan, uno strumento di repressione per coloro che non essendo allineati a partiti di opposizione filo curda, quindi di per sé terroristi, devono essere inseriti dentro un ambito di minaccia alla stabilità del paese. Così come per le testate giornalistiche ostili all'autocrate, afferenti al gruppo editoriale Ipek, messe a tacere cinque giorni prima della scadenza elettorale, sotto commissariamento giudiziario. In questo contesto il "lavoro" profuso nei due giorni successivi alle elezioni ha generato il licenziamento di 58 giornalisti.
 
Il capo degli osservatori dell’Osce, Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, Ignazio Sanchez Amor, così ha dichiarato: "I media sono gravemente sotto pressione... Le indagini penali a carico di giornalisti per sostegno al terrorismo e diffamazione del presidente hanno avuto un effetto spaventoso sui media".

 
 
 

 
 
 
Il "lavoro" del governo turco, all'indomani delle elezioni, procede quindi. Nuovi ed intensi raid aerei, contro rifugi e depositi di armi del PKK si sono susseguiti nel sud-est del paese, tra le zone di Hakkari, Metina, Zap, Avasin-Basyan, Hakurk, Gara e Qandil. Varie poi le operazioni contro postazioni e barricate sempre presso la provincia di Hakkari, dove sono stai uccisi tre militanti curdi, di cui un ventenne nella città di Silvan, dove da ieri tre quartieri sono soggetti a coprifuoco da parte dei militari.
 
Intanto le solite voci preoccupate arrivano dall'Europa e dagli Stati Uniti, inutile persino raccontarle, visto che i primi hanno un accordo da chiudere sull'accoglienza ai migranti in Turchia per non farli passare in Europa, con in cambio vari benefit, tra cui l'entrata nell'Unione europea. Per gli Stati Uniti invece il posizionamento geografico della Turchia è fondamentale per organizzare logisticamente la guerra in Siria... La dichiarazione però di Andrea Gross, capo delegazione degli osservatori del Consiglio d'Europa, è tutta un programma, poiché descrive una realtà che esiste solo nella sua mente, visto il "lavoro" che da subito il capo del governo ha avviato, dopo averlo promesso al suo popolo, che chiede stabilità. Secondo questo funzionario Erdogan sarebbe in difficoltà: "Dovrà unire nuovamente ciò che è stato diviso negli ultimi cinque mesi. Gli chiediamo di dare prova di responsabilità e di abbandonare i toni militanti che ha utilizzato negli ultimi mesi di campagna elettorale"...

 
 



Credit La Presse/EFE, EPA, ANSA, AP

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