La
nuova legge sul reato di depistaggio se fosse stata in vigore dai giorni della
strage di Bologna avrebbe portato in galera vari politici, con in testa
Francesco Cossiga…
di Marco Marano
Bologna, 2 agosto
2016 – Questo trentaseiesimo anniversario della strage di Bologna,
che ebbe un bilancio di 85 morti e oltre 200 feriti, a causa di un ordigno esplosivo, ha
un sapore diverso dagli altri, poiché coincide con l’entrata in vigore del
reato di depistaggio approvato due mesi fa dal parlamento italiano. Si, perché
come sappiamo oltre ad essere stata la strage più grave della storia repubblicana,
l’ultima frutto della strategia della tensione, quello che successe a Bologna il
2 agosto del 1980 è sicuramente l’evento che è stato soggetto a più depistaggi
nelle vicende delle trame nere e occulte degli anni settanta. E non è un caso
che questa legge sia stata voluta e proposta proprio dall'Associazione vittime della strage di
Bologna, di cui il Presidente Paolo Bolognesi ne è stato artefice.
Il reato è punito da tre a
otto anni, dodici in caso di strage, pene che riguardano sia i pubblici
ufficiali che qualunque cittadino. Questo nuovo delitto punisce il pubblico ufficiale o
l'incaricato di pubblico servizio che, allo scopo di ostacolare o impedire
indagini o processi, “modifica” il corpo del reato o la scena del crimine
oppure mente o è reticente. Ma non solo, perché per chiunque distrugga, occulti
o alteri prove oppure crei false piste la pena aumenta da un terzo alla metà.
Ora, la storia di questa strage è stracolma di uomini
politici che hanno “sponsorizzato” false piste e che continuano a farlo, come
una sorta di gioco di società… Se così stanno le cose, facciamolo noi un gioco
narrativo. Immaginiamo che il reato di depistaggio fosse stato già in vigore
dal quel 2 agosto del 1980. Le domande sono: chi in questi anni sarebbe andato
in galera per aver creato “false piste”? E ancora: quanti anni di carcere
sarebbero stati comminati agli esponenti della classe politica italiana…? Ma
prima riassumiamo brevemente i fatti a contorno dei più famosi depistaggi…
Da subito le
indagini si indirizzano verso la pista neo-fascista e nel 1995 la sentenza
finale condanna Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro «come appartenenti
alla banda armata che ha organizzato e realizzato l'attentato di Bologna» e per aver «fatto parte del gruppo che sicuramente
quell'atto aveva organizzato», cioè i NAR. Nel 2007 si aggiunge anche la
condanna di Luigi Ciavardini, minorenne all'epoca dei fatti.
Il primo tentativo di
depistaggio, relativamente al concetto di “falsa pista” viene prodotto dal
governo stesso, presieduto da Francesco Cossiga, nelle ore immediatamente
successive all’attentato: esplosione di una vecchia caldaia nel sotterraneo
della stazione… Questo, come disse Libero Mancuso, diede la possibilità agli
esecutori di dileguarsi indisturbati… Qui, ci sarebbero i primi “dodici anni di
carcere, circa per Cossiga”…
Poi ci sono i depistaggi con
le quattro piste diciamo così "istituzionali", che in qualche modo, almeno per
due di esse, vedono al centro sempre Cossiga. Le prime due sono quelle portate
in parlamento il 4 agosto ‘80. Da un lato c’è Giovanni Spadolini, l’allora
leader dei repubblicani e futuro Presidente del Consiglio: era sua la pista
libica. La strage era stata commessa da agenti segreti libici insieme al gruppo
del terrorista filo-palestinese Carlos, pupillo di Gheddafi, per punire l’Italia in seguito al trattato di mutuo aiuto con Malta in caso di aggressione libica. “Dodici
anni di carcere anche per Spadolini”…
Sempre nella stessa seduta
parlamentare, dopo la sciocchezza della caldaia esplosa, Cossiga affibbiò la
responsabilità al fascismo internazionale, francese e tedesco, al soldo di
Stefano delle Chiaie, membri delle falangi libanesi, con la manovalanza dei
giovani NAR. La particolarità di questo depistaggio è che i mandanti venivano
individuati nella Loggia P2 di Gelli, il quale a sua volta depisterà l’anno seguente proprio su quella pista:
“altri dodici anni di carcere per Cossiga”…
Ma il depistaggio più
interessante che vede artefice l’ex Capo dello Stato, insieme ai membri della
commissione Mitrokhin, il cui presidente era Paolo Guzzanti, è quello che fa
ricondurre la strage alla pista palestinese… Il movente attiene alla violazione
da parte dell’Italia del lodo Moro, cioè
quell’accordo segreto siglato con l’Olp, informalmente, dallo statista
democristiano, in qualità di ministro degli esteri del governo Rumor, che
garantiva piena libertà di movimento in Italia ai palestinesi in cambio di non
effettuare attentati sul suolo nazionale. Violazione avvenuta a causa dell’arresto
di un membro della frazione marxista dell’Olp PFLP, Abu
Anzeh Saleh, trovato in possesso di un missile. Questa è la
versione del 2005 data al Corriere della Sera.
Ma poco prima di morire Cossiga
variava la sua spiegazione dicendo che quell’ordigno, in mano a qualche
terrorista palestinese di passaggio a Bologna, esplodeva accidentalmente, cosa
palesemente impossibile per una bomba azionata da un detonatore… “Ancora dodici
anni di carcere per Cossiga e altrettanti per Guzzanti”…
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